Futuro Pericoloso. Mª Del Mar Agulló

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Futuro Pericoloso - Mª Del Mar Agulló

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che, data l’importanza della novità, dovessi dirglielo di persona.

      – Va bene. Devo dirvi una cosa e non vi piacerà – Norberto divenne serio —. La prossima settimana verrà a trovarci un gruppo di virologhi cinesi del prestigioso laboratorio Albero Alto. Non si tratta di una visita di cortesia, vogliono vedere come lavoriamo e naturalmente vogliono lavorare con voi per tutto il tempo che rimarranno qui.

      – Ma questo potrebbe ritardare il nostro lavoro – si lamentò la ragazza inglese.

      – In effetti questo è il mio timore più grande. Se invece di andare avanti con la ricerca dovrete fargli vedere le tecniche, come funzionano i nostri aggeggi e via dicendo, mi preoccupa che ci mettiate troppo tempo per trovare degli antigeni. Farò il possibile perché vi lascino in pace. Keysi, a che punto sei con i possibili antigeni che mi avevi detto?

      – C’è qualcosa che non va. Quando applico il virus sulle cellule sintetiche e poi inietto i miei antigeni, il virus cresce. Non so come, ma lo massimizzo, quando in realtà cerco di fare il contrario.

      – È chiaro che hai una o più variabili al contrario – disse Carolina.

      – È quello che ho pensato. Ho fatto altre combinazioni coerenti, ma continua a non funzionare.

      – A volte essere incoerente è la cosa più coerente – disse Norberto.

      – Come vanno i ProHu del virus indiano? – chiese Keysi, preoccupata se per caso il suo antigene avesse fallito.

      – Stanno tutti benissimo e senza effetti secondari, non devi preoccuparti di niente. L’antigene è stato un successo.

      Due ore dopo c’era un ProHu pronto per provare l’antigene creato da Carolina. Era un uomo giovane, di circa trenta anni, che sudava per l’ansia, steso su una barella.

      – Si rilassi – gli disse una delle infermiere che lavoravano nella Sala delle prove.

      – Hai una famiglia? Figli? – gli chiese Carolina per farlo rilassare.

      – Due divorzi, quattro figli – rispose l’uomo senza guardarla.

      – Sei molto coraggioso, poca gente osa essere ProHu.

      – Lo faccio per i miei figli.

      – Vuole essere addormentato durante il processo? L’avverto che questo potrebbe avere degli effetti negativi – lo informò l’infermiera.

      – Mi ha chiesto se voglio morire addormentato?

      – Non dire così, non morirai.

      – A essere sincero, per me fa lo stesso. Chissà chi avrà creato questo siero miracoloso che mi inietteranno?

      – Questo siero miracoloso come lo chiama lei è possibile che eviti che migliaia di persone muoiano e che altrettante vengano contagiate e finiscano allo stesso modo. E l’ho creato io – disse Carolina arrabbiata.

      – Mi dispiace – si scusò l’uomo, guardando in faccia Carolina per la prima volta —. Sei molto giovane, non sapevo che le persone che studiano queste cose fossero così giovani. Sei anche molto bella.

      Carolina arrossì di fronte al complimento dell’uomo.

      – Farà male?

      – Non lo so.

      L’infermiera entrò nel modulo di isolamento dove si trovava il ProHu. Con la sua tuta di isolamento si avvicinò a lui, gli iniettò il virus e subito dopo gli iniettò l’antigene.

      – Rimarrò qui un po’ a osservarlo. Se ho bisogno di aiuto, chiamerò uno dei medici.

      – Adesso non resta che aspettare – disse Carolina all’infermiera.

      6. Ti sei perso, ma io ti ho trovato

      Samuel si svegliò alle quattro del mattino piangendo per colpa di un incubo. Trovò Monica al piano di sotto seduta sul divano, con un’espressione addolorata. Monica aveva passato tutta la notte a svegliare tutti i suoi conoscenti e vicini per chiedergli se sapevano dov’era suo figlio Oscar. Nessuno sapeva niente.

      Monica rimase seduta sul divano, con Samuel che dormiva con la sua testolina sulle sue gambe, ed era addolorata per la discussione con suo figlio. L’unica persona che non aveva chiamato era il padre di suo figlio, ma escluse subito che Oscar potesse essere con lui. Non sapeva dove viveva e non si era portato dietro il cellulare, quindi in pratica era impossibile.

      La sveglia iniziò a suonare alle sette del mattino. Quel giorno iniziava a lavorare di nuovo. Monica si alzò dal letto, aveva dormito solo pochi minuti. Al suo fianco stava dormendo suo figlio minore. Dopo essersi vestita, lo svegliò.

      – Svegliati, cucciolo – Samuel emise un lamento —. Svegliati o ti faccio il solletico.

      – No! – protestò il piccolo.

      – Preferisci Maribel o Rocío?

      – Nessuna delle due.

      – Devi scegliere, la mamma deve lavorare.

      – Non posso rimanere con il mio fratellino?

      – Il tuo fratellino non c’è, scegli – lo sollecitò Monica mentre si pettinava.

      – Rimango solo.

      – Non è possibile.

      – Vengo con te.

      – Non è possibile neanche questo.

      – Cavolo, mamma, è che Maribel e Rocío non mi piacciono.

      Trentadue minuti dopo, Monica arrivava a casa del suo cliente. La casa era una grande villa in periferia, circondata da alberi rigogliosi.

      Un uomo imbronciato, con un vestito completamente bianco e con un fazzoletto viola nella tasca della sua giacca, che teneva in mano un bicchiere di plastica pieno di caffè, aprì la porta posteriore della limousine che guidava Monica.

      – È consapevole del fatto che è arrivata due minuti più tardi? Spero che non si ripetano più dei ritardi, sennò dovrò licenziarla – l’uomo fissò il sedile di copilota —. Chi è questo bambino? – Monica arrossì.

      – Mi dispiace, è mio figlio, non sapevo dove lasciarlo e… – si scusò Monica.

      – Già, sì, si risparmi le sue scuse, non mi interessano e non mi piacciono le persone che ne hanno sempre una pronta, preferisco le persone decise. Non mi importa che abbia portato suo figlio, mi piacciono i bambini. Ma perché non parte?

      – Mi dispiace, non so dove lavora. Potrebbe dirmi dove andare?

      – Non le hanno dato l’indirizzo?

      – No.

      L’uomo sospirò.

      – D’accordo, stavolta le dirò dove andare. E, per favore, non si scusi più e non mi dia del lei, non sono così anziano.

      L’uomo aveva

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