Lo Spirito Del Fuoco. Matteo Vittorio Allorio

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Lo Spirito Del Fuoco - Matteo Vittorio Allorio

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materasso.

      Non capì.

      Cosa gli era successo e dove si trovava?

      Di Santos, lo strano individuo che lo aveva trascinato in quel luogo, neanche l'ombra.

      Che lo avesse abbandonato definitivamente?

      Forse si era sbagliato nel crederlo il salvatore e, una volta accortosi dell'errore, se ne era subito liberato.

      Il respiro aumentò. Agitato, chiuse gli occhi cercando di portare alla luce ogni cosa.

      Dopo una manciata di minuti, nel buio dei suoi ricordi, come lampi balenarono improvvisamente alcune immagini sfocate, anticipate però da un’innaturale voce metallica. Dei brividi gli percorsero la schiena facendolo tremare, poi nulla.

      «Finalmente hai riaperto gli occhi», apparve Santos sul ciglio della porta di fronte a lui.

      «Avevo chiesto a Boris di tirare le tende per permetterti di riposare ancora un po’ ma, a quanto vedo, se n'è scordato», continuò non ricevendo alcuna risposta.

      Vedere il maestro lo bloccò e avvolto da strani sentimenti, un sorriso gli illuminò il volto.

      Non lo aveva abbandonato ma era lì a prendersi cura di lui.

      Si sentì uno stupido nell'aver dubitato e imbarazzato arrossì di gioia.

      «Vedo che sei di buon umore» osservò il maestro ricambiandogli il sorriso.

      Senza pensarci, Jack provò nuovamente ad alzarsi ottenendo però lo stesso e dolorante risultato.

      «Hai dormito per due giorni Zeno. Non ti preoccupare, i dolori che senti sono normali. Il tuo corpo è stato sottoposto a uno sforzo che in pochi avrebbero superato».

      Nella sua mente, un’infinità di domande.

      «Rilassati e riposa ancora se ne senti il bisogno. Partiremo quando sarai pronto».

      Jack annuì, desideroso di rimettersi il prima possibile.

      «Se hai fame troverai del cibo sul tavolo in cucina». Santos svanì nel buio del piccolo corridoio richiudendosi la porta alle spalle.

      Era stato un colloquio veloce e sintetico ma vitale per farlo riprendere emotivamente. Jack restò per qualche minuto a fissare il cielo dalla finestra ammirandone ogni dettaglio.

      Azzurro, calmo e con qualche grossa e morbida nuvola sparsa qua e là, lo tranquillizzò. In quel posto così lontano, tutto sembrava avvolto da un'aura particolare e con lo sguardo fisso nel manto celeste, trovò la pace.

      Quello, un momento importante per la sua crescita. Finalmente, per la prima volta, stava accettando la sua situazione pronto a viverla concretamente nonostante l'enorme paura.

      Quando decise di alzarsi, le vertigini lo colpirono nuovamente ma con meno intensità. Con stupore, riuscì ad attraversare la stanza.

      Superato il piccolo corridoio nella penombra, raggiunse la cucina.

      Sulle pareti turchesi, all’altezza degli occhi, lunghe file di candele fluttuanti illuminavano l’arredamento.

      Molto più spaziosa e priva di finestre, lasciò il giovane spaesato. Due credenze, piene di ampolle dalle svariate misure contenenti ambigui liquidi dai mille colori, riempivano la parete alla sua destra. La fila di candele deviava il suo percorso alzandosi per superarle, creando così strani giochi di ombre. Accanto alla parete opposta, un meraviglioso tavolo rotondo dalle accurate decorazioni incise nel legno coperto da una soffice tovaglia bianca. Su di essa, poggiavano una piccola tazza di tè e un cestello con dei biscotti. L’odore gli invase le narici. Appena sfornati e ancora fumanti, i dolci lo riportarono indietro nel tempo quando, a pochi anni, passava i pomeriggi a casa dell’adorata nonna ormai scomparsa. Quello, un ricordo al quale era molto legato. L’anziana donna, ogni pomeriggio gli preparava la merenda con amore per poi portarlo al parco a giocare fino all’arrivo della madre.

      Affamato, si sedette e cominciò a mangiare con foga. In pochi secondi, della ventina di biscotti rimasero solo più le briciole. Con la bocca impastata, si scolò l'intera tazza bollente ustionandosi la lingua.

      «Sono felice che ti siano piaciuti» disse una voce femminile alle sue spalle.

      Il cuore gli sobbalzò. Quella voce, sensuale, penetrante e metallica, l’aveva già sentita e in un secondo le immagini di quel che era successo gli invasero la mente.

      Spaventato, si voltò lentamente con la bocca ancora ricoperta dalle briciole.

      Nel vederla perse il fiato. Bellissima oltre ogni immaginazione, Aura lo guardò teneramente. Brillava della stessa luce dei fiori che aveva visto nei boschi durante il viaggio per Fati e che tanto lo avevano affascinato. La pelle, di un azzurro chiaro quasi trasparente, era ricoperta qua e là di minuscoli cristalli luminosi. Gli occhi, color ghiaccio, rendevano un viso dai lineamenti perfetti, ancor più stupendo e incantevole.

      A coprirle il sinuoso corpo, una semplice tunica di pizzo bianca legata in vita da un soffice nastro viola che terminava con un tenero fiocco sul fianco destro. La veste lasciava scoperte solo le caviglie, accarezzate da due semplici sandali chiari. I capelli, dello stesso colore degli occhi, scendevano morbidi seguendo i delicati lineamenti del viso.

      «Santos ti aspetta, il carro è pronto».

      Jack annuì timidamente, era bellissima. Imbarazzato, si pulì la bocca con la manica della maglia per poi alzarsi goffamente colpendo il tavolo con le ginocchia. Provò a nascondere il dolore con una smorfia provocando così divertimento nella ninfa.

      Nel guardarlo, Aura vide l’asprezza e la purezza della sua giovane età. Quello davanti a lei era poco più di un bambino, un blocco di ferro grezzo che doveva essere assolutamente forgiato. Confidava nelle abilità dell'astro ed era certa che da quell’involucro ne sarebbe uscito fuori un guerriero, il loro salvatore.

      I muscoli non dolevano più e il giovane capì che, perso davanti alla finestra del cortile interno, aveva trascorso più del tempo che pensava.

      «Questo ti appartiene», gli porse il mantello Aura. Se ne era completamente dimenticato. Lo prese e con un filo di voce ringraziò la ninfa impegnandosi in un buffo inchino. Imbarazzato, si diresse verso l’uscita nella stanza accanto. Lei rimase lì, immobile e fiduciosa, si lasciò andare in un sorriso carico di sentimento.

      Anche se la minaccia era dietro l’angolo, in un modo o nell’altro, tutti riuscivano ancora a sorridere. Non dovevano abbattersi ed era in quei piccoli gesti che dovevano trovare sempre e comunque la forza di ridere. Zeno aveva bisogno di persone forti al suo fianco e in grado di condurlo lungo il cammino.

      Avvolto dal logoro mantello, aprì la porta.

      Il sole alto lo accecò e rapido chiuse gli occhi infastidito.

      Ritrovarsi nuovamente prigioniero di quel pezzo di stoffa nero lo angosciava. Voleva inspirare a pieni polmoni, lasciare liberi i capelli al vento e godersi il calore di quella splendida giornata. Purtroppo però era pericoloso e in alcun modo, nessuno doveva notarlo.

      Stava scendendo l’ultimo dei tre gradini ancora incredulo dall'angelica visione quando, senza pensarci, sentì il bisogno di voltarsi per vederla ancora una volta. Ma alle sue spalle, la grossa porta in legno era già chiusa. Dispiaciuto, si voltò raggiungendo i due compagni distanti pochi metri.

      «Ma

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