Lo Spirito Del Fuoco. Matteo Vittorio Allorio

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Lo Spirito Del Fuoco - Matteo Vittorio Allorio

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l’espressione perplessa del suo interlocutore, Boris precisò:

      «Quando tutto finì, i maghi e le sacerdotesse più potenti fecero un incantesimo marchiando così a vista le discendenze umane. Il fine fu quello di non perderle mai di vista e di riconoscerle sempre. Questa è la croce che portano i discendenti della tua razza. Il marchio della debolezza e della violenza»

      «Non bastava semplicemente cancellare a tutti la memoria senza doverli esiliare?». Jack non capiva, quello che la sua razza aveva subito per colpa di Marmorn era umiliante e doloroso.

      Boris scosse il capo.

      «Ragazzo, la decisione di Astor, per quanto difficile, fu molto saggia. Non devo certo ricordarti che il Re Nero era un umano. Non poteva rischiare in alcun modo che altri della stessa razza ripercorressero il suo cammino. La Grande Costellazione non poteva reggere una seconda guerra. L’esilio completo fu l’unica soluzione. In ballo c’erano le vite degli abitanti dei nove pianeti, un rischio troppo alto da non sottovalutare in alcun modo. Come prova della purezza del suo cuore, Astor diede clemenza e speranza agli incrociati, confidando nella forza del sangue delle altre razze dalle quali erano nati.

      Così, permise loro di continuare a vivere nei nove mondi, con la speranza che i difetti delle vostre genti scomparissero nel corso delle generazioni».

      Era difficile per un sedicenne comprendere pienamente quelle scelte. Sapeva dell’immenso dolore provocato da Marmorn ma, nel pensare a tutti gli innocenti costretti a pagare per delle colpe non loro, gli si strinse il cuore.

      Boris capì pienamente come si potesse sentire. Era la sua razza e sapere la verità sull’esilio e sui marchi non doveva essere di certo facile.

      «Purtroppo Jack, anche se sono sicuro che la Terra sia piena di bravissime persone, la vostra è una delle razze più crudeli e corrotte. Siete deboli e facilmente abbracciate la via del male», terminò cupo il folletto.

      Doveva fargli capire pienamente.

      Quello, l'unico modo per dargli tutte le basi e la consapevolezza per compiere il proprio destino.

      «Se fosse così per tutti, dammi una valida ragione per la quale lo spirito del vostro dio ha scelto me» rispose nervoso Jack, senza accorgersene.

      «Questa, caro mio, è una domanda a cui purtroppo non so rispondere».

      Per quanto fosse informato e preparato su migliaia di cose, Boris non aveva alcuna frase, nessuna informazione valida da potergli fornire. Con lo sguardo rivolto verso il mare di folla, sospirò pensieroso.

      Se l'era chiesto più e più volte da quando era venuto a conoscenza dei fatti, ma quello era un mistero che solo il tempo avrebbe potuto chiarire.

      Improvvisamente, dopo una decina di minuti nei quali entrambi rimasero in silenzio prede dei loro pensieri, tutto iniziò spaventosamente a tremare.

      Colto alla sprovvista, Jack si guardò intorno. A parte lui, nessuno sembrò minimamente turbato dalle forti scosse.

      «Boris!», lo chiamò preoccupato.

      Nello sbucare nuovamente dal mantello, il folletto non si pronunciò fingendo una calma ben lontana dalla verità.

      Erano anni che non tornava a Fati e, nonostante la forte preoccupazione, decise di non spaventare ulteriormente il giovane, conscio della tranquillità delle persone intorno a loro.

      «Tranquillo, non hai da preoccuparti!».

      A seguito di quella finta rassicurazione, un grosso palco di chissà quale animale cadde da una bancarella alla loro sinistra seguito poi dalle molteplici armi poggiate su quella dell'irascibile nano e dai numerosi vasi dei terrazzi circostanti. Il tutto, senza preoccupare minimamente i presenti che, con estrema abilità, schivavano ogni oggetto cadente, continuando comunque a svolgere le proprie faccende.

      Che fossero solo allucinazioni frutto della sua ormai debole mente?

      Jack provò a scuotere il capo, a strizzare con decisione gli occhi e a massaggiarsi le tempie senza successo.

      «Che succede, Boris?» domandò sempre più agitato.

      Il folletto non ebbe il tempo di pensare a cosa dire che tutto fu chiaro.

      In lontananza, dalla folla, due grandi corni bianchi emersero con decisione e, nel vederli dirigersi verso di loro, il giovane trasalì.

      Poi, dopo alcuni secondi, quello che gli si presentò davanti agli occhi lo lasciò a bocca aperta.

      Alti più di quattro metri e larghi come tir, due imponenti rinoceronti avanzavano lenti nella via principale. Magnifici e possenti, i due animali procedevano lungo la strada. I lunghi corni affilati dondolavano a destra e sinistra al ritmo dei loro apatici e pesanti passi. La pelle, grigia e ruvida, sembrava scolpita nella roccia. Nessuno, a parte Jack, sembrò però interessato.

      Quattro individui, avvolti in lunghi mantelli gialli ocra e dalle sfumature arancioni brillanti, camminavano ai due lati, scortandoli e indirizzandone il percorso, armati di lunghe e affilate lance. Alle caviglie delle due creature, grosse catene in ferro dagli anelli arrugginiti andavano via via rimpicciolendosi terminando poi nelle mani libere degli uomini incappucciati.

      «Rinoceronti delle montagne!» spiegò Boris una volta identificati.

      Era la prima volta che ne vedeva uno dal vivo. Conosciuti solo di fama, vederne due in un colpo solo fu una sorpresa e un piacere non da poco.

      Nel sentire la tranquillità di quelle parole, Jack si calmò riuscendo così a godersi quell'insolito spettacolo.

      Rapiti entrambi da quella visione, i due non si accorsero del continuo e veloce avvicinarsi delle due creature e dopo alcuni minuti, le loro fattezze furono decisamente ben visibili.

      «Poveri animali…», Jack ne percepì, essendo a quanto pare l'unico, la chiara sofferenza provata. Con gli occhi spenti, quasi assenti, i due rinoceronti avanzavano in modo meccanico, consci di non avere altra scelta se non quella di ubbidire ai comandi imposti dai loro guardiani.

      «Ragazzo mio, il mercato degli animali è uno dei più corrotti e cospicui che ci siano. Fati ne è il fulcro da anni ormai.» spiegò il folletto stupendosi della profondità delle parole del sedicenne. Si sentì in imbarazzo nel non essere stato lui a pronunciarle. Doveva essere una saggia guida e, scoprendosi solo estasiato, scosse il capo ritrovando il proprio buonsenso per un attimo smarrito.

      La terra iniziò a tremare ancor più forte coinvolgendo così inevitabilmente il piccolo carro. Sotto le forti scosse, cominciò a cigolare.

      In quell'istante, gli occhi di Jack si posarono sul piccolo amico, consci dell'imminente pericolo.

      Dovevano spostarsi al più presto.

      «Ti conviene spostare il carro se non vuoi essere schiacciato, straniero!» suggerì una dura voce da una bancarella alle sue spalle.

      Nel sentirla, il giovane tremò.

      Santos era stato chiaro, non dovevano in alcun modo muoversi da lì. In più, non aveva mai guidato un carro in vita sua.

      Ricoperto in pochi secondi da un viscido alone di sudore, maledì il giorno in cui, durante una gita nelle campagne vicine a Sentils, aveva rifiutato, insieme a Max, di seguire le poche e basilari lezioni di equitazione. L’aveva fatto non tanto per il mancato interesse ma per indispettire quella vecchia megera

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