Per Sempre È Tanto Tempo. Morenz Patricia

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Per Sempre È Tanto Tempo - Morenz Patricia

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so come far tornare indietro il tempo e il suo silenzio mi sta uccidendo. Allora mi viene in mente un’idea, forse non posso tornare al momento in cui la nostra amicizia è finita, ma almeno posso provare a riprendere la nostra ultima conversazione. Spero che funzioni.

      Strappo un foglio di carta senza fare tanto rumore e scrivo la risposta che gli devo da cinque anni, mentre ricordo il sapore dei biscotti con scaglie di cioccolato sfornati da mia madre. Piego il foglio e appena la prof ci da le spalle per scrivere qualcosa alla lavagna, mi armo di coraggio e mi sporgo per toccargli il braccio senza smettere di guardare davanti a me, anche così sento la sua sorpresa (e quella di Meryl che non smette di fissarmi, incuriosita).

      Trattengo il respiro mentre lo vedo aprire il foglio e l’aria torna nei miei polmoni quando noto il barlume di un sorriso che s'impegna a trattenere, con la coda dell’occhio vedo che mi osserva un attimo prima di piegare di nuovo il foglio, continuando a scrivere.

      Non so perché l’ho fatto, appena l’ho visto leggere quello che avevo scritto mi sono pentita del mio impeto di sincerità, ero disperata per vedere se il mio amico se ne era andato per sempre, oppure no, in ogni caso non avevo scritto nessuna bugia e lui meritava una risposta, anche dopo tanti anni dalla domanda.

      Lui mi aveva chiesto se mi era piaciuto il bacio che mi aveva dato nella casa sull’albero. Mi ci erano voluti anni per accettarlo, ma oggi ho soltanto una risposta ed è quella che gli do adesso: sì, mi è piaciuto.

      La mensa della scuola è molto rumorosa. Ho tentato il più possibile di ritardare il mio ingresso in quel recinto infernale. Mi sono accordata con Meryl per incontrarci qui e non sapevo se lei era già arrivata. Do un’occhiata in giro e non la vedo da nessuna parte, ma dei capelli scuri attirano la mia attenzione. Jake, è di spalle e noto che lo sguardo del suo amico si rivolge verso di me con curiosità, stanno pranzando su un tavolo in disparte, da soli. Mi viene l’idea di andare là senza essere invitata, ma non credo sia corretto, quindi cerco un tavolo vuoto all’estremità opposta e aspetto la mia amica.

      È stata una mattinata orribile di presentazioni, ho tentato di schivare le domande personali e sono stanchissima, non vorrei fare pena a nessuno. Ho visto alcune facce familiari, ma nessuno mi ha rivolto la parola in tutta la mattinata.

      Vedo Jake voltarsi e guardarmi solo una volta, so che lotta con l’idea di avvicinarsi a me o fare finta che non ci sono, ma qualcun altro prende la decisione al posto suo.

      «Ciao, mi dispiace per il ritardo, eccomi qui» dice Campanellino «com'è andato il resto della tua mattinata?».

      «Niente di buono» mi esprimo, senza molta emozione.

      «Sì, un ragazzo ha continuato a darmi dei soprannomi per tutta la lezione, mi ha chiamato persino Campanellino. Ci credi?» non posso evitare di sorridere per queste parole.

      «Mi dispiace, ma davvero le assomigli. Ma non farci caso, i ragazzi sono degli idioti.»

      «Lo so …» sospira profondamente. «Ma tu, cos’hai con quel ragazzo? Ho visto che gli hai dato un biglietto. Ti piace?» chiede con emozione trattenuta nella voce.

      «No !!!» esclamo troppo in fretta.«Lui … una volta era mio amico. Il mio migliore amico, in realtà.»

      «E cosa è successo?»

      «Me ne sono andata e non ho più saputo nulla di lui.»

      «E perché adesso non riprendete la vostra amicizia?»

      «Non lo so …» mi stringo nelle spalle.

      Il resto della giornata è una noia mortale, abbiamo un’assemblea di benvenuto per i nuovi studenti che viene posticipata, davvero non so come potrò sopravvivere alla scuola superiore. Sono sicura di essere diventata la nemica della ragazza più popolare della scuola quando mi sono scontrata accidentalmente in corridoio con il suo stupido ragazzo, anche lui mi guarda come se avessi dei vermi in faccia. Ragazzi stupidi.

      Sono contenta quando termino le ultime ore, ma poi mi ricordo che vedrò Jake continuare la propria vita e il suo nuovo amico sull’autobus e il mio stato d’animo finisce tre metri sottoterra.

      Meryl cerca di essere amichevole e simpatica nonostante la sua timidezza, ma in realtà non voglio fare amicizia, voglio solo che finisca questa maledetta giornata. L’autobus si ferma alla mia fermata e vedo Jake alzarsi in piedi mentre io faccio lo stesso. Si avvicina un silenzio imbarazzante, ho questo presentimento.

      Iniziamo a camminare senza dire una parola; non avevo mai pensato che il rumore dei passi potesse essere così sconfortante.

      «E allora … com'è andata la tua vita?» chiede timoroso.

      «Un disastro» ammetto con sincerità, lui sembra sorpreso.

      Continuiamo in silenzio per qualche altro metro.

      «Mi puoi raccontare, se vuoi» m'incoraggia e lo guardo confusa.

      «Perché vorresti saperlo?»

      «Perché siamo amici» risponde in un sussurro.

      «Lo siamo?»

      «Spero di sì.»

      «E tu?» cambio argomento «Come va la tua vita?»

      «Poteva andare meglio» mi osserva con attenzione.

      «Mi puoi raccontare, se vuoi» ripeto le sue parole e questa volta sorridiamo entrambi.

      «Sarà per un altro giorno, stiamo già arrivando a casa tua.»

      «Sì, ci vediamo domani.»

      «Ciao.»

      Per la prima volta in tutta la giornata ho la speranza che forse non tutto è perduto.

      Elena è stesa sul divano quando entro in casa, credo che stia guardando qualche serie televisiva, è troppo concentrata. Non voglio disturbarla, così salgo tranquillamente nella mia stanza. Va bene, sto mentendo. Sì, voglio disturbarla ed è proprio quello che faccio. Lei è la mia matrigna, ma in realtà non ho alcun rispetto né per lei né per nessun'altra donna che sta con mio padre, che non sia mia madre. Si è sposata con mio padre appena un anno fa e si crede la padrona e la signora della casa.

      «Ma tu davvero non hai un lavoro? Eh?» più che una domanda è un'affermazione. Lei subito mi lancia occhiate di fuoco, ma si ricompone.

      «Ne avevo uno, ma ho deciso di lasciarlo per un periodo, per occuparmi di tuo padre, della casa e ora anche di te.»

      «Di me?!» esclamo offesa. «Non ho bisogno di nessuno che si occupi di me e tantomeno di te o di qualunque donnina che mio padre decida di mettere qui in casa.»

      «Jocelyn, non parlare così, tutti vogliamo appoggiarti in questo momento così duro che stai attraversando.»

      «L’unica maniera in cui puoi aiutarmi è non incrociando la mia strada» dico con tutto il disprezzo che sento e corro verso la mia stanza.

      Mamma … quanto mi manchi. Non dovevi andartene, c’è tanta spazzatura nel mondo che forse questo non era un posto per te, ma ancora non smette di fare male. Mi addormento piangendo, quando vengo svegliata da alcuni

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