Per Sempre È Tanto Tempo. Morenz Patricia

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Per Sempre È Tanto Tempo - Morenz Patricia

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chiave dalla tasca destra mentre terminiamo di salire i pochi gradini fino al portico davanti.

      «Benvenuta di nuovo in casa Johnson» recita prima di aprire la porta con aria drammatica.

      «Grazie» entro e una sensazione calda s'impadronisce di tutto il mio corpo.

      «Vuoi qualcosa da bere o da mangiare?» chiede mentre io osservo in giro con curiosità.

      «No, sto bene così, grazie» rispondo mentre lo immagino crescere in questi anni tra queste pareti. «Posso vedere la casa sull’albero?»

      «Certo» annuisce come se fosse ovvio.

      Passiamo per la cucina ed eccola lì, a prendersi gioco del passare del tempo. La ricordavo molto più grande o forse è solo il fatto che io sono cresciuta. Ci avviciniamo alla piccola scala appesa che ci porta proprio all’ingresso.

      «Prima le signore» dice reggendo un’estremità della scala e cedendomi il passo.

      «Che cavaliere!» esclamo in tono giocoso e inizio a salire con le mani che mi sudano, rendendolo più difficile.

      Raggiungo l’ingresso e mi sposto all’interno, ricordo perfettamente l’ultima volta che sono stata qui e no, l’ultima volta non fu quella del bacio, anche se la ricordo molto bene.

      «Mamma cosa succede?!» chiesi appena entrai in casa, da fuori avevo sentito i miei genitori discutere.

      «Figlia mia, fai le valigie, ce ne andiamo subito» rispose mia madre in fretta mentre mio padre ardeva di una furia silenziosa.

      «Cosa?!!!» esclamai fuori di me «Dove? Papà, che succede?» mi rivolsi a mio padre che si passava le mani sulla faccia senza dire niente.

      «Sì, Charles, dì a tua figlia cosa sta succedendo.»

      Non capivo niente. Guardavo entrambi e nessuno dei due riusciva a darmi una spiegazione chiara per questo disastro.

      «Jane, per favore … Non farlo» e iniziarono a ignorarmi, mentre io restavo nell’occhio del ciclone preparandomi al peggio.

      «Non devo farlo?! Sei stato tu a farlo!» recriminò mia madre «Jocelyn, finisci di fare le valigie, ho già raccolto i tuoi vestiti, porta solo le cose assolutamente necessarie.»

      «Ma mamma!» protestai.

      «Ma niente … fai solo quello che ti dico» disse in un tono aspro che non avevo mai sentito nella sua voce, così obbedii.

      Entrai, per quella che pensavo sarebbe stata l’ultima volta, nella mia camera da letto e mi buttai sul letto tra i singhiozzi, mentre elaboravo l’idea di andarmene e abbandonare tutto quello che conoscevo fino a quel momento. E all’improvviso mi venne in mente un nome. Jake.

      No, no, no. Non potevo lasciare Jake. Anche se mi aveva appena baciata, lui era ancora il mio migliore amico. Non avrei potuto dirgli addio. Afferrai un foglio di carta pensando di scrivergli qualcosa, ma non sapevo nemmeno dove stavo andando.

      Sentii mamma gridare il mio nome dal salotto e presi la borsa che era sopra il mio letto cominciando a riempirla con tutto quello che poteva starci.

      Foto, i miei quaderni gialli di appunti, ricordi che non volevo perdere e all’improvviso in un angolo la vidi. La chitarra marca Taylor di mio nonno. Me l’aveva lasciata quando era mancato, lui era un po’ bohemienne e aveva sempre provato a insegnarmi, ma le mie dita erano semplicemente fatte per un’altra cosa. E inoltre ero una bambina, l’ultima cosa che volevo era suonare la chitarra.

      Pochi giorni prima quando stavamo ascoltando musica nella casa sull’albero, Jake disse che gli sarebbe piaciuto imparare a suonare qualche strumento ed ebbi l’idea di regalargli la chitarra per il suo compleanno, ma ora che non sarei più stata qui quel giorno, non sapevo cosa fare.

      «Papà? Perché mamma ed io ce ne andiamo? Non ci vuoi più qui?» chiesi singhiozzando appena arrivai in salotto. Mamma stava aspettando in auto.

      Papà adesso sembrava molto più vecchio, più stanco del suo giorno peggiore al lavoro, e papà era medico e poteva operare per ore; aveva gli occhi così rossi che temevo sanguinassero. Sollevò la testa e mi osservò prima di ricomporsi, tentando di trovare le parole che mi facessero meno male. Ma non esistevano.

      Si avvicinò e prese il mio viso tra le mani, asciugando le mie lacrime con le dita.

      «Non dirlo mai più figlia mia … L’unica cosa che devi sapere è che ti voglio bene, non importa che io stia o meno con tua madre. Va bene?»

      No. Non andava bene niente. E ancora non avevo idea di cosa stava succedendo.

      «Allora … Non ami più mamma?» insistetti.

      «Jocelyn, quando crescerai capirai tutto. Capirai che a volte è molto difficile cambiare io, con il noi. Che a volte l’amore si dà per scontato e quando pensiamo che sia eterno finiamo per perderlo.»

      «Ma perché non parli con mamma? Anch’io posso parlare con lei.»

      «No, tesoro. Tua madre ha già preso la sua decisione e dobbiamo rispettarla. Ricorda solo che io per te ci sarò sempre. Sai il mio numero, puoi chiamarmi a qualunque ora.» Annuii mentre all’esterno mia madre suonava il clacson perché facessi in fretta.

      «Non voglio andarmene papà … Cosa farai tu da solo?» lo abbracciai mentre piangevamo entrambi.

      «Non preoccuparti per me, starò bene, ora vai con tua madre.»

      Mi accompagnò fino al portico e dopo un enorme abbraccio mi disse che mi amava. Mamma scese dall’auto per aiutarmi con il borsone, tutto il resto era già stato caricato in macchina.

      «Possiamo fermarci un momento a casa di Jake?» avevo un’idea.

      «Tesoro, non è un buon momento per le visite» mi rimproverò mentre si asciugava le lacrime con un Kleenex stropicciato.

      «Solo cinque minuti per favore, voglio salutarlo» rimase incerta per un attimo, ma alla fine annuì.

      L’auto iniziò a muoversi in retromarcia, mentre io dicevo addio a papà con la mano e con gli occhi annebbiati dalle lacrime. Lo vidi diventare sempre più piccolo in lontananza ed io mi sentivo più piccola e anche fragile.

      «Cinque minuti» mi avvertì mamma fermando l’auto di fronte alla casa di Jake e mettendo in chiaro che avrebbe spettando lì.

      Scesi con la chitarra tra le mani, attraversai la strada con le gambe che mi tremavano e invece di dirigermi alla porta principale costeggiai la casa. Quando arrivai in fondo mi accertai che lì intorno non ci fosse nessuno e salii rapidamente sulla casa sull’albero, lasciai la chitarra in un angolo e fui quasi grata che nessuno di noi avesse un cane. Scesi da lì tentando di non fare rumore e quando arrivai di nuovo al marciapiede mi misi a correre verso l’auto di mamma.

      «E la chitarra? L’hai dimenticata?» chiese mamma un po’ stanca perché pensava che ora sarei dovuta andare a cercarla e avremmo perso altro tempo.

      «No, l’ho lasciata a Jake. Lui se ne prenderà cura» sapevo di sorprenderla quando mi osservò troppo a lungo.

      «Sei sicura? Era di tuo nonno.»

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