Per Sempre È Tanto Tempo. Morenz Patricia

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Per Sempre È Tanto Tempo - Morenz Patricia

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di diverso.

      «Buongiorno, Jocelyn» mi saluta Elena appena entro in cucina. Lei sta facendo colazione.

      «Sì, anche a te» brontolo. Non le direi mai buongiorno.

      «Tuo padre ha dovuto andare al lavoro prima del solito, aveva un’emergenza, ma possiamo fare colazione insieme.»

      «Grazie per l’informazione e no grazie, me ne vado anch’io» annuncio e inizio a uscire.

      «Devi fare colazione, inoltre il tuo amico non è a ancora arrivato.»

      Non le rispondo, vado ad un pensile e prendo un paio di barrette di cereali. La guardo come per dire: contenta? Ed esco senza dire altro.

      Ma ha ragione, è presto perché Jake sia qui e sorrido mentre mi incammino per fargli una sorpresa. Scarto una delle barrette di cereali e mi godo la mia colazione sotto un cielo splendente, oggi sarà una bella giornata.

      Jake chiude la porta di casa e scende le scale in fretta, corre verso il marciapiede e si ferma di colpo vedendomi a un paio di metri di distanza. Vedo incredulità nei suoi occhi.

      «Che cosa fai qui?» chiede mentre mi affianca. Sorride per tutto il tragitto.

      «Ti stavo aspettando» rispondo facendo finta di niente. «Vieni o no?» inizio a camminare mentre lui mi segue, facendo segno di no con la testa.

      «Ehi!» mi lamento quando lo vedo prendere un pezzo della mia barretta ai cereali. «È la mia colazione.»

      «Cosa? Perché non hai fatto colazione a casa?»

      «Mio padre non c’era e non volevo fare colazione da sola con Elena.»

      «Prendi» mi restituisce il pezzo di barretta.

      «Certo che no, lo hai già toccato» è solo uno scherzo, non sono schizzinosa.

      «È la tua colazione, mangia» cerca di infilarmelo in bocca, mentre corro e ridiamo entrambi.

      Mentre riprendiamo fiato dopo la corsa e aspettiamo l’autobus, finisco di fare colazione. Lui non sembra contento. Posso quasi sentirlo fare il discorso che la colazione è il pasto più importante della giornata, ma si astiene vedendo il mio sguardo di avvertimento.

      «Perché non le dai una possibilità?»

      «A chi?»

      «A Elena» e mi si gela il sangue.

      «Di cosa cavolo stai parlando?» chiedo sulla difensiva, non finirà bene se lui sta dalla sua parte.

      «Dico … lei non è la donna con la quale tuo padre ha ingannato tua madre, lei ha conosciuto tuo padre molto dopo. Non sembra una cattiva persona, non ha colpa per quello che è successo con la tua famiglia e so che magari non sarete mai amiche, ma perlomeno potresti fare colazione in pace con lei. No?»

      «NO» assicuro decisa. So che ciò che dice Jake è molto logico, ma semplicemente non posso, non ci riesco. «Lei non sarà mai mia madre.»

      «Lo so …» sospira profondamente come se non sapesse come spiegarmi qualcosa di ovvio, ma fortunatamente arriva l’autobus e lì muore questa conversazione inutile.

      «Fine della conversazione» sentenzio prima di salire.

      «Okay» annuisce alzando le mani in segno di resa. «Ci ho provato.»

      Sono in fila aspettando di ritirare il mio pranzo quando alcune ragazze dietro di me iniziano a ridere. Tutti i peli del mio corpo si rizzano anticipando un brutto momento.

      «Sai?» commenta una di loro all’altra, «non avere la mamma deve essere orribile.»

      «Per questo puoi capire perché le ragazze orfane si vestono in modo orrendo» risponde l’altra.

      «Oh no, Lara. Non c’è nessuna scusa per vestirsi male, forse anche sua madre aveva lo stesso cattivo gusto.»

      In questo momento ho due opzioni. Opzione a) fare finta di non avere udito nulla, che quelle ragazze non stanno parlando di mia madre e di me e che non sono crudeli di proposito. Opzione b) dimenticare completamente la mia natura non violenta e fare stare zitte le loro maledette bocche. Risultato: senza dubbio opzione B.

      Non ha nemmeno il tempo di reagire quando mi lancio su Gina e inizio a tirare i suoi capelli perfetti e a colpirla mentre lei grida tentando di liberarsi di me.

      «Devi chiudere la tua maledetta bocca se non hai niente di buono da dire!» le urlo fuori di me.

      Gli altri si mettono in cerchio intorno a noi e incitano alla lite. Mi rendo conto che non sento più le grida di Lara che tenta di aiutare Gina, forse quella codarda è fuggita. Prima di riuscire a terminare con Gina sento delle braccia avvolgermi ai fianchi e sollevarmi da terra, mentre io scalcio in aria cercando di riprendere la lite. Gina prova ad alzarsi da terra con la faccia più rossa del drappo di un torero e i suoi capelli biondi sempre lucidi come sulla copertina di una maledetta rivista sembrano aver affrontato un branco di gatti furiosi. Sorrido davanti a questa immagine, ma il mio sorriso non dura molto. Sento le braccia di Jake cedere e appoggio i miei piedi a terra.

      «Che cosa sta succedendo qui?» borbotta il preside come una sentenza e allora comprendo cosa ho fatto.

      «Questa selvaggia si è buttata su di me!» grida Gina indicandomi.

      «Proprio così signor preside, io ne sono testimone» la appoggia Lara.

      «Avete dimenticato di dire perché. Avete cominciato voi» faccio notare difendendomi.

      «Tutte e tre nel mio ufficio, adesso!» ordina il preside «Gli altri tornino al loro pranzo.»

      Sento la mano di Jake stringere leggermente la mia, dandomi il suo appoggio. Lo ringrazio con gli occhi prima di allontanarmi lungo il corridoio. Vedo la faccia angosciata di Meryl e quella sorpresa di Bryan. Tutti gli altri sono divertiti per lo spettacolo. Non tutti i giorni una ragazza come me colpisce una ragazza così popolare e tanto meno davanti a tutti.

      «Non posso crederci, Jocelyn!» grida papà appena saliamo in auto. Il preside lo ha chiamato. «Non avrei mai pensato di venire qui e trovare mia figlia in punizione per aver picchiato una delle sue compagne.»

      «Non mi pento» affermo convinta.

      «Cosa?! Dovrai scusarti con quella ragazza, qualunque cosa ti abbia detto non merita di essere picchiata, per Dio, a cosa stavi pensando?» dice furioso e non riesco più a trattenere le lacrime.

      In presidenza mi ero rifiutata di scusarmi, per cui ero ufficialmente in punizione. Anche se, ancora una volta, il preside ha avuto pietà di me, la povera ragazza orfana.

      «Forse quello che ha detto su di me non meritava uno pugno, ma non permetterò mai a nessuno di parlare male di mia madre» mio padre si zittisce per un attimo e vedo il suo volto rilassarsi solo un po’ senza sapere come ribattere alle mie parole.

      «Andiamo a casa.»

      Dopo la predica di mio padre durante la cena, faccio una doccia calda e prendo il mio quaderno giallo, scrivo fino a cadere addormentata. Negli anni scrivere è diventata la mia passione ed è

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