Per Sempre È Tanto Tempo. Morenz Patricia

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Per Sempre È Tanto Tempo - Morenz Patricia

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di Bryan e anche lui mi osserva, c’è una specie di complicità tra noi, sono molto contenta che continui dopo tutti questi anni.

      Quando sua madre ci serve il dessert che ho portato, un sorbetto alla mela verde, lo vedo gesticolare un “grazie” verso di me e so che ne è valsa la pena.

      «Credo che chiamerò a casa per farmi venire a prendere» dico in salotto, dove stiamo tutti parlando dopo la cena.

      «Ti posso accompagnare io» si offre Jake.

      «Assolutamente no» interviene Scott. «Ti porterò io Jocelyn, andiamo.»

      Si alza senza lasciare spazio a dubbi. Alzo le spalle verso Jake e poi saluto tutti.

      Lui ci accompagna fino al portico davanti a casa con le mani in tasca. Indosso la mia giacca nera e lo abbraccio forte.

      «Di nuovo auguri e grazie per avermi invitata.»

      «Grazie a te per essere venuta e per il dessert, era delizioso.

      «Grazie. Ci vediamo lunedì?»

      «Sì, buona notte.»

      Mi dirigo alla macchina di Scott, lui mi aspetta con la portiera aperta e un gesto cavalleresco, rende tutto così comico che è impossibile non ridere. Guida piano e si ferma ad un paio di case di distanza dalla mia.

      «Mmm, credo che forse non ti ricordi che casa mia è più in là» gli faccio notare.

      «Mi ricordo, non sono così vecchio come sembro.» non posso fare a meno di ridere di nuovo. Sì, certo, Scott vecchio «Voglio solo dirti una cosa.»

      «Va bene» divento nervosa.

      Lui spegne il motore e si volta il più possibile per stare di fronte a me, cerco di fare la stessa cosa in attesa delle sue parole.

      «Ascolta, Lyn. Davvero sono molto contento che tu sia tornata, nonostante le circostanze che ti hanno riportata qui. Ma sono preoccupato per mio fratello» fa una pausa troppo prolungata. «Per favore non dirgli che te l’ho detto, ma quando te ne sei andata lui ha sofferto molto, forse penserai che era un bambino affezionato a te, ma forse tu eri e sei molto importante per lui e non so se sopporterebbe di perderti un’altra volta. Non mi piacerebbe vedere la sua faccia da bambino piagnone.»

      «Io … non sono andata via di mia volontà ed anch’io ho sofferto nel separarmi da lui.»

      «Lo so, ma adesso che entrambi siete un po’ cresciuti, restate uniti, okay?»

      «Okay.»

      «Ma non tanto, non voglio ancora diventare zio» e torna sull’argomento.

      «Scott! Basta. Jake è il mio migliore amico.»

      «Ricorda solo quello che ti ho detto “piccola” Jocelyn.»

      «Basta» rido di fronte al suo tono sardonico.

      Non riesco a smettere di pensare a quello che mia detto Scott nella sua auto. Jake aveva sofferto tanto per me? Ero tanto concentrata sulla mia sofferenza da sminuire quella degli altri. Ma allora, perché non mi ha ancora rinfacciato niente? Dovrebbe essere furioso con me, urlarmi contro, ignorarmi, darmi qualche segnale che è ancora ferito per la mia partenza e non chiamarmi più. Invece mi ha accolta a braccia aperte.

      Decisamente non mi merito la sua amicizia, ma da adesso farò di tutto per conservarla. Mi addormento sognando due bambini che vanno in bicicletta e ridono. Bei tempi.

      «Jocelyn, la colazione è pronta» l’inconfondibile voce di Elena che mi sveglia di domenica. C’è un modo peggiore per svegliarsi?

      «Adesso scendo!» É il mio unico commento.

      Ho tanto sonno che l’ultima cosa che voglio è fare colazione con la famiglia felice. Ma davvero non ho molta scelta. Prima di andare in bagno controllo il mio cellulare e vedo che ho un messaggio di Jake di questa mattina presto.

      “Grazie per il quaderno, ma più di tutto grazie per le tue parole sul biglietto. È molto importante per me saperlo, anch’io ti voglio molto bene.”

      Un enorme sorriso si allarga sul mio viso, e non mi importa più chi mi sveglia a con chi farò colazione fra poco. Questa è diventata una bella giornata, con cinque parole di Jake il mio cuore torna a vivere. Penso di rispondere al suo messaggio, ma forse sta ancora dormendo, così rinuncio. Ricordo cosa gli ho scritto.

      “Mi dispiace essermi persa i tuoi compleanni precedenti, ma oggi sono qui per dirti che non ti ho mai dimenticato, che sei molto importante per me e che ti voglio tanto bene. Buon compleanno, Jake!!! Con affetto: Jocelyn.”

      «Come è andato il compleanno di Jake?» chiede papà.

      Ieri sera appena tornata sono andata nella mia stanza e ho detto a tutti e due che stamattina avrei raccontato quello che volevano sapere. Ero stanchissima.

      «Solo una cena con la sua famiglia e degli amici.»

      «A proposito di compleanni, voglio chiederti cosa vuoi fare per il tuo.»

      Non ci voglio nemmeno pensare. Sarà il primo compleanno senza la mamma e in questa farsa di famiglia. L’idea non mi entusiasma per niente. Come può chiedermi una cosa del genere?

      «Non voglio niente …» dico fissando i pezzi di frutta nel mio piatto.

      «Potresti invitare Jake e chi vuoi. Potremmo organizzare un pranzo o una cena, quello che vuoi tu.»

      In realtà l’unica attrattiva di questa proposta è stare con Jake, così la prendo in considerazione.

      «Ci penserò» rispondo alla fine, senza decidere niente.

      «Va bene, fammelo sapere entro il fine settimana» annuisco soltanto riempiendomi la bocca di pezzi di mela.

      Mio padre fa qualche commento su cose di lavoro con Elena; chiacchierano in realtà, non parlano solo superficialmente, non presto attenzione al contenuto, posso solo vedere un uomo diverso da quello che stava con mia madre e non posso evitare di sentirmi arrabbiata con lui. Dov’era quest’uomo quando mia madre ne aveva bisogno? Dov’era quando il suo matrimonio cadeva in pezzi e lui non faceva nulla per evitare che i pezzi mi seppellissero in mezzo a loro due? Perché questa donna poteva averlo e mia madre non ha mai potuto farlo? Non è giusto. Desidero solo non aver mai conosciuto questa donna o voglio soltanto di nuovo mia madre, di nuovo la mia famiglia.

      «Jocelyn» una voce mi sussurrava all’orecchio, «Tesoro. Buon compleanno …»

      Aprii subito gli occhi vedendo un luce riempire la mia piccola stanza a casa di mia nonna.

      «Grazie, mamma» pronunciai con voce roca.

      «Alzati così facciamo colazione e poi andremo a casa di tua zia, sulla spiaggia.»

      «Sì, mamma. Ma non sono più una bambina, ora ho quattordici anni.»

      «Lo so e anche quando ne avrai quaranta sarai sempre la mia bambina» mi abbracciò quasi soffocandomi.

      Trascorsi

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