Spasimo. Federico De Roberto
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—Lasciatemi passare!… Ho bisogno d'entrare, vi dico!…
Mentre il commissario andava a vedere chi fosse, il Bérard e la baronessa di Börne s'avvicinarono all'uscio.
—Vérod!—esclamò la baronessa, scorgendo un giovane alto, forte, con i capelli neri e i baffi biondi, il quale, tentato di forzar la consegna, s'inoltrò quando a un cenno del loro superiore le guardie si trassero da parte. Ma dopo aver ottenuto l'intento, mossi rapidamente i primi passi, il nuovo venuto parve a un tratto incerto e titubante; la concitazione che gli accendeva il viso diè luogo a una confusione angosciosa: sulla soglia della camera, scorto il cadavere, portò una mano al cuore e s'addossò allo stipite dell'uscio, sbiancato in viso, sul punto di stramazzare.
—La nostra povera amica!—esclamò ancora la baronessa, stendendogli la destra, quasi a sorreggerlo, a infondergli coraggio.—Chi l'avrebbe detto!… Non par di sognare?… Povera, povera amica!… Uccidersi, così…
Allora il giovane, riscotendosi, si avanzò ancora d'un passo e disse con voce acre:
—No.
Un movimento d'inquieto stupore passò tra gli astanti.
—Voi dite?—domandò il giudice avvicinandosi al Vérod e figgendogli gli occhi negli occhi.
—Dico che questa donna non si è uccisa. Dico che è stata assassinata.
La voce risonava stranamente, come in un luogo vuoto, così gelato silenzio regnava tutt'intorno, tanto sospeso e trepidante era l'animo d'ognuno. Il principe Alessio, diritto, immobile, a testa alta, guardava anch'egli fiso l'imprevisto accusatore.
—Come potete asserirlo?—domandò ancora il giudice.
—Lo so.
—Quali prove ne avete?
—Nessuna prova materiale; tutte le morali certezze.
—Chi l'avrebbe uccisa?
Il giovane stese il braccio appuntando l'indice contro il principe e la straniera, e disse:
—Costoro.
Ora tutti gli attoniti sguardi si rivolgevano verso gli accusati.
Dapprima la fisonomia del principe Zakunine era rimasta vuota d'espressione, come se egli non avesse udito o non avesse compreso; a poco a poco una tra amara ed ironica contrazione del labbro, l'increspamento delle ciglia sugli occhi impiccoliti e quasi ridenti d'un doloroso riso, rivelarono il senso d'incredulo e in certo modo ilare stupore che l'inopinata accusa destava nell'animo suo. Quanto alla sconosciuta, ella restava con le braccia incrociate al seno e guardava l'accusatore senza che il suo viso di statua esprimesse sdegno o stupore.
—Prima di dir nulla contro nessuno,—riprese il giudice con tono grave d'ammonimento,—bisogna esser certi di ciò che si dice.
—Se non fossi certo non avrei parlato.
—Quale interesse avrebbe armato queste persone?
Il giovane proruppe, studiando invano di contenersi:
—La malvagità dell'animo loro. Il piacere selvaggio di fare il male, di distruggere una vita, di spargere il sangue. La voluttà di chiudere con la morte il lungo martirio inflitto alla infelice.
La sua voce tremava, tremavano le sue mani, gli occhi erano gonfii di lacrime. Ma la commozione che quelle parole suscitavano nei circostanti diede improvvisamente luogo a un altro sentimento, a un sentimento di vera paura, quando il principe, avvicinatosi all'accusatore, col pugno stretto, le mascelle contratte, lo sguardo duro e cattivo, pronunziò:
—Pazzo, che dici?
I due uomini si guardarono. Lame arrotate ed aguzze, lame cozzanti e sprizzanti scintille erano i loro sguardi. Pareva che si volessero penetrare sino all'anima.
Il giudice e il commissario furono costretti a frapporsi.
—Dite donde viene la vostra certezza!—ingiunse il primo.
—Da tutto! da tutto! Dai sentimenti di questa creatura, ch'io conobbi ed apprezzai; dalla cristiana rassegnazione, dall'angelica mitezza dell'animo suo. Dalla violenza di costoro, dai loro istinti sanguinarii, dalla complicità del male al quale sono intenti. Nessuno fra quanti lessero in lei crederà mai che ella abbia portato la mano sopra sè stessa. Chiedetene a chi volete, chiedetene a chiunque… dite voi…—aggiunse, come ebbe scorto la familiare nel guardarsi intorno a provocare la testimonianza dei presenti;—dite voi che la conosceste, che ne aveste l'affetto, se è possibile, se è credibile…
Il giudice, fermandogli ancora in faccia gli sguardi indagatori, lo interruppe:
—Questa donna ha detto il contrario. Ha dichiarato che la sua padrona tentò più volte d'uccidersi; che la mandò via apposta, stamani; che mise in atto un antico e fermo proponimento!
—Voi pensate questo?—esclamò l'altro, smarrito.—Voi avete detto così?
La donna non rispose. Girava intorno gli occhi, sbalordita, sgomenta: pareva non capire, non vedere.
—Di chi era quest'arma?—le domandò il magistrato.
—Era di lei.
—Poteva qualcuno servirsene? Dove la teneva?
—Chiusa, nascosta.
—Voi vedete,—disse egli ancora, rivolgendosi al giovane,—che niente conforta la vostra accusa. La ripetete ancora?
Parlava con voce grave, quasi in tono di sdegnato biasimo per la leggerezza della quale gli vedeva dar prova. Ma il giovane, dopo un momento di silenzio durante il quale si passò una mano sulla fronte e girò tutto intorno un dubitoso sguardo, mirò ancora una volta il corpo esanime disteso per terra, le forme irrigidite dalla morte, il viso ancora più bianco sul quale le gocce del sangue perdevano la loro porpora aggrumendosi, la bocca ancora un poco più aperta, gli occhi già stravolti, non più beati, tremendi; e allora, steso il braccio, con voce sorda e fremente:
—Attesto,—ripetè,—che questa donna è stata assassinata. Chiedo di parlare al giudice istruttore.
II.
LE PRIME INDAGINI.
Francesco Ferpierre, giudice d'istruzione presso il Tribunale cantonale di Losanna, era molto giovane: non aveva ancora quarant'anni. Una cultura legale solidissima, molta scienza della vita e del cuore umano, la nativa attitudine all'osservare che nell'esercizio della professione era divenuta geniale chiaroveggenza e quasi prescienza fatidica, facevano di lui una delle migliori forze della magistratura elvetica. Pure la sua prima vocazione era stata un'altra.
Egli aveva cominciato a coltivare le lettere; aveva anzi, sul principio, trascurato gli studii legali come inutili e ingrati, e nutrito una specie di rancore contro la famiglia che lo esortava a compirli. Scrivendo