I Robinson italiani. Emilio Salgari

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I Robinson italiani - Emilio Salgari

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E di venire tagliato in due da quel mangiatore d'uomini, è vero camerata, — disse il mozzo.

      — Senza il signor Emilio, non so se a quest'ora avrei ancora attaccate le gambe. Grazie, signore; non dimenticherò mai....

      .... aveva atterrato i due furfanti con un buon colpo di manovella sapientemente applicato.... (Pag. 11).

      — Lascia andare, Enrico, — disse Albani, interrompendolo. — Pensiamo invece a levarci d'impiccio da questa situazione che è poco allegra.

      — Non domando di meglio.

      — Hai udito nessun grido.

      — Nessuno, signore. Io credo che i nostri disgraziati compagni siano tutti morti.

      — Povero capitano e poveri marinai!... Maledizione sui traditori!

      — Dio li punirà, signore. Anche avendo la scialuppa non andranno lontani, poichè non devono avere con loro che pochi viveri.

      — Non vi era che una bottiglia vuota nell'imbarcazione, — disse il Piccolo Tonno, col suo accento strascicante dei meridionali. — Io lo so, avendo pulita la scialuppa ieri mattina.

      — Scorgete dei rottami? — chiese il signor Emilio.

      — Non vedo che una botte galleggiare laggiù, — disse il marinaio.

      — Fosse almeno piena.

      — Mi pare vuota, poichè è più di mezza sopra l'acqua.

      — Pure, dei rottami ve ne devono essere. I pennoni e l'albero di trinchetto devono galleggiare e vorrei prima vederli.

      — Cosa sperate, signore?

      — Può esservi qualche naufrago da raccogliere.

      — Non lo credo, — disse il marinaio, crollando il capo. — Avrebbe risposto alle mie ed alle vostre chiamate.

      — I rottami possono essere lontani e.... ma, non vi pare che siamo già molto distanti dal luogo della catastrofe?

      — Infatti, signore, mi sembra che noi ci allontaniamo.

      — Forse qualche corrente ci trascina.

      — Lo credo anch'io.

      — Ciò è grave.

      — Perchè?...

      — Perchè ci allontana dai rottami, mentre avremmo forse potuto raccogliere del legname bastante per costruirsi una zattera e anche qualche cassa o qualche barile contenente dei viveri.

      — Proviamo a chiamare, signore, — disse Ubaldo Piccolo Tonno. — Se qualche nostro compagno si è salvato, cercheremo di raggiungerlo o lui cercherà di raggiungere noi.

      — Proviamo, — disse Albani.

      Tre tuonanti chiamate echeggiarono:

      — Ohe!... Ohe!... Ohe!... —

      Tesero gli orecchi ed ascoltarono con viva attenzione, ma nessuna voce rispose.

      Ripeterono le chiamate con maggior vigore, ma invano. Solamente i gorgoglii dell'acqua ed i soffi rauchi dello squalo, giunsero agli orecchi dei naufraghi.

      — Sono tutti periti, — disse il marinaio. — Non siamo vivi che noi, ma perduti nell'immensità del mare e chissà a quale spaventevole sorte destinati.

      — Non disperiamo, — disse il signor Albani. — Se Dio ci ha conservati in vita, non sarà certo per farci poi morire di fame e di sete o sotto i denti degli squali.

      — Ma come siamo sfuggiti alla catastrofe?

      — Perchè ci siamo gettati in mare prima che la nave scoppiasse.

      — Voi, ma io no, signore, — disse Enrico. — Io stavo per varcare la murata di prua, quando mi sono sentito proiettare in aria in mezzo ad un nuvolone di fumo e poi piombare in mezzo alle onde, mentre intorno a me cadevano, sibilando, rottami d'ogni specie. Come sono tornato a galla ancora vivo? Io non lo so.

      — È stato un miracolo che i rottami non ti abbiano ucciso.

      — Lo credo, signore. Ed ora, cosa faremo? Riusciremo a salvarci o siamo serbati ad una lenta e straziante agonia? —

      Il signor Albani non rispose: cogli sguardi fissi distrattamente sulla luna, che seguiva il suo corso in mezzo ad un cielo senza nubi, pareva che meditasse profondamente.

      Pensava al modo d'uscire da quella situazione che d'ora in ora diventava più grave o alle ultime parole del marinaio?...

      I suoi compagni, pure pensierosi, tristi, tenendosi strettamente a cavalcioni di quell'avanzo della Liguria, gettavano sguardi inquieti sulla sconfinata superficie del mare, forse colla speranza di veder apparire, sulla linea argentea dell'orizzonte, qualche macchia oscura o qualche punto luminoso che indicasse la presenza d'una nave salvatrice.

      — Ascoltatemi, — disse ad un tratto l'ex-uomo di mare, scuotendosi. — Sapete dove precisamente trovavasi la Liguria nel momento del disastro?... Tu, Enrico, eri di quarto, se non m'inganno.

      — All'est delle isole Sulu, — rispose il marinaio.

      — Sapresti dirmi la distanza?

      — Lo ignoro, signore. Quando il capitano ha fatto il punto, non ero presente.

      — E nemmeno io, — disse Piccolo Tonno.

      — Forse siamo a due o trecento miglia da quell'Arcipelago, — disse il signor Albani, come parlando fra sè stesso.

      — Lo credo, — rispose Enrico.

      — Una distanza enorme da attraversare, per degli uomini che sono privi d'un canotto e senza un sorso d'acqua e dei biscotti.

      — Senza poi contare che l'Arcipelago di Sulu è abitato dai più birbaccioni pirati della Malesia, — aggiunse il marinaio.

      — Vediamo, — disse il signor Albani. — Dove ci porta questa corrente, che ci allontana dal luogo del disastro.

      — Aspettate, signore, — disse il mozzo. — Ho una piccola bussola in tasca, regalatami dal capitano. —

      Estrasse il prezioso oggetto, lo espose ai raggi della luna e guardò la lancetta.

      — Andiamo verso l'est, — rispose poi.

      — Verso l'Arcipelago? — chiese il marinaio.

      — Sì, — confermò il signor Emilio.

      — Quale velocità credete che abbia questa corrente?

      — Forse un miglio e mezzo all'ora.

      —

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