Dopo il divorzio. Grazia Deledda

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Dopo il divorzio - Grazia Deledda

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diavolo), tanto era avido di denari.

      «Era un tristo, un avoltoio giallo, Dio l'abbia perdonato: basta, si dice che abbia fatto morire la moglie di fame. Ecco, Costantino restò sotto la sua tutela; aveva qualche cosa, il bimbo; lo zio gli mangiò tutto, poi lo bastonava, lo legava tra due pietre, in campagna, e lo lasciava al sole ed alle api che gli pungevano persino gli occhi.

      «Basta, arrivò un giorno che Costantino scappò di casa; aveva sedici anni. Mancò tre anni: egli disse d'essere stato a lavorare nelle miniere, io non so, egli disse così.

      — Sì, sì! Egli è stato a lavorar nelle miniere! — proruppe Giovanna.

      — Non so! — disse la madre, stringendo la bocca in atto dubbioso. — Basta, fatto sta che durante l'assenza di Costantino fu su Basile l'avoltoio sparato un colpo di fucile mentre stava in campagna. È vero che egli aveva dei nemici. Quando Costantino tornò, confessò che era scappato per sfuggire alla tentazione di ammazzare lo zio, che aveva odiato a morte; ora però il giovane cercò e ottenne di far pace con l'avoltoio... Ora senti, Paolo Porru...

      — Dottor Porru! Dottor Pededdu! — gridò il nipotino, correggendo l'ospite. Questa lo guardò con ira e fu per dargli uno schiaffo, un piccolo schiaffo; Giovanna si mise a ridere.

      Nel veder ridere l'ospite addolorata, che aveva lo sposo in carcere e che quindi appariva circondata da un'aureola romantica, anzi tragica, la pallida e scarna Grazia si mise anch'essa a ridere nervosamente; anche Minnìa rise, anche il piccolo paesano e lo studente risero. Zia Bachisia si guardò attorno con occhi fosforescenti. Perchè ridevano? Erano matti? Alzò la mano gialla e magra, ma mentre stava per lanciare uno schiaffo, non sapeva bene se a sua figlia od al bimbo, ecco zia Porredda coi maccheroni fumanti.

      Dietro di lei veniva zio Efes Maria Porru, uomo grosso, imponente, col petto molto stretto nel velluto turchino del giustacuore. Egli era un contadino che posava a letterato: aveva un faccione grigio che pareva un mascherone di marmo vecchio, con la corta barba a riccioli, le labbra grosse spalancate, e gli occhi grandi e chiari.

      — Presto, presto a tavola! — disse zia Porredda, sbattendo il piatto in mezzo alla tavola. — Ah, voi ridete? Il piccolo dottore vi fa ridere?

      — Io stavo per dare uno schiaffo a vostro nipote, — disse zia Bachisia.

      — Perchè, anima mia? Venite dunque a tavola. Giovanna qui. Dottor Porreddu, venga qui.

      Lo studente si gettò supino sul letto, stese le braccia, sollevò le gambe per aria, le riabbassò, si rialzò, balzò giù in piedi, sbadigliando.

      E i ragazzi e Giovanna ricominciarono a ridere. Egli disse:

      — Un po' di ginnastica fa bene. Oh Dio, come dormirò stanotte! Ho tutte le ossa slegate. Come ti sei fatta grande, Grazietta; sembri una pertica.

       La ragazza arrossì e chinò gli occhi; zia Bachisia sporse il muso, scandolezzata perchè lo studente pensava a tutt'altro che alla storia da lei narrata, e perchè gli ospiti tutti facevano poco caso della disgrazia di Costantino. D'altronde anche Giovanna sembrava dimenticare, e solo quando zia Porredda le ebbe messo davanti una enorme porzione di maccheroni rosei fragranti di sugo, la giovine si rifece scura in volto e rifiutò di mangiare.

      — Ve l'avevo detto io! — esclamò zia Porredda, meravigliata. — Essa è matta, in verità mia è matta! Perchè non mangiare ora? Che c'entra il mangiare, ora, con la sentenza di domani?

      — Via, — disse zia Bachisia, non senza un po' d'acredine, — non far sciocchezze; non disturbar la gioia di questa brava gente.

      E zio Efes Maria si mise signorilmente il tovagliuolo sotto il mento, e sputò la sua sentenza letteraria.

      — Cuor forte contro la sorte, dice Dante Alighieri. Via, Giovanna Era, dimostra che tu sei un fiore delle montagne, più forte delle pietre. Il tempo appianerà ogni cosa.

      Giovanna cominciò a mangiare, ma con un singhiozzo in gola che le impediva d'ingoiare le vivande.

      Paolo stava zitto, curvo sul suo piatto: e questo era già pulito quando Giovanna arrivò a ingoiare il primo maccherone.

      — Sei un vento, figlio mio, — disse zia Porredda. — Che fame da cane hai tu! Ne vuoi altri? Sì; e altri ancora? Sì?

       — Oh bravo! — disse zio Efes — parrebbe che nella Città Eterna tu non abbia visto mai roba da mangiare.

      — Eh, l'ho detto io, — affermò zia Porredda, — luoghi belli, se volete, ma là tutto si compra a soldi contanti. Io l'ho sentito dire, in verità mia: nelle case non ci sono provviste, come da noi, e quando nella casa mancano le provviste, voi sapete bene che non ci si sazia mai...

      Zia Bachisia annuì, perchè purtroppo ella sapeva ciò che è una casa senza provviste.

      — È vero o non è vero, dottor Porreddu?

      — È vero, — egli diceva, mangiando e ridendo, e agitando le mani larghe e bianche dalle unghie lunghissime.

      — Perciò egli è diventato una sanguisuga, un vampiro! — osservò zio Efes Maria, rivolto alle ospiti. — Non mi lascia una stilla di sangue nelle vene. Corpo del demonio, si mangia denaro a Roma!

      — Ah, se sapeste, — sospirò Paolo, — tutto, tutto è così caro! Una pesca venti centesimi. Ah, ora sto bene!

      — Venti centesimi! — dissero tutti ad una voce.

      — Ebbene, zia Bachisia, e poi? Quando Costantino tornò?... — chiese Paolo.

      — Ebbene, Paolo Porru... ah, io continuo a darti del tu, sebbene tu sii fra poco dottore, perchè quando eri ragazzino ti ho dato persino qualche scappellotto...

      — Non ricordo; andate avanti, — disse il giovine, mentre le narici di Grazia fremevano per la stizza.

       — Ebbene, ti dissi che Costantino mancò tre anni e che...

      — Stette nelle miniere; benissimo, poi ritornò e fece pace con lo zio.

      — Ed ecco che vide Giovanna mia, questa ragazza, e s'innamorarono: lo zio non voleva, perchè la ragazza è povera. Ricominciarono ad odiarsi; Costantino lavorava per l'avoltoio, e l'avoltoio non gli dava un centesimo. Allora Costantino venne da me e disse: — io sono povero, non ho denari per comprare i gioielli alla sposa e per fare la festa e il banchetto delle nozze cristiane, e anche voi siete povere: ebbene, facciamo così, sposiamoci soltanto civilmente, per ora; lavoreremo assieme, accumuleremo la somma necessaria per la festa e ci sposeremo poi con Dio. — Siccome molti usano far così, lo facemmo anche noi. Si fece in silenzio il matrimonio civile e vivemmo assieme d'accordo. L'avoltoio schiantava dall'ira; egli veniva ad urlare persino nella nostra strada, e provocava da per tutto Costantino. E noi lavoravamo. Dopo la vendemmia, l'anno scorso, mentre preparavamo i dolci per le nozze, Basile Ledda fu trovato ammazzato nella sua casa. La sera prima Costantino fu visto entrare da lui: era andato per annunziargli le nozze e chiedergli pace. Ah, povero ragazzo! egli non volle fuggire come io gli consigliai. E fu arrestato.

      — Perchè era innocente... mamma... mia...

      — Ecco che quella sciocca ricomincia a piangere. Se non taci, io non dico più nulla, ecco. Ebbene, Costantino fu arrestato, ed ora si fa il dibattimento ed il pubblico ministero ha chiesto i lavori forzati. Ma è un cane quel pubblico ministero? Ci son delle prove è vero,

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