Le vergini delle rocce. Gabriele D'Annunzio

Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу Le vergini delle rocce - Gabriele D'Annunzio страница 8

Автор:
Серия:
Издательство:
Le vergini delle rocce - Gabriele D'Annunzio

Скачать книгу

delle balestre, che scaglieranno pericolosamente quel busto elegante appena il nemico si mostri. “Cave adsvm„: ben gli si addice l'antica insegna. Vestito d'un'arme leggerissima, damaschinata certo da un artiere sommo, egli ha le mani ignude: mani pallide e sensitive ma pur con un non so che di tirannico e quasi di micidiale nel lor disegno netto: la sinistra appoggiata su la gòrgone dell'elsa, la destra contro lo spigolo d'un tavolo coperto di velluto cupo, del quale appare un lembo. Accanto alle manopole e al morioncello, posano sul velluto una statuetta di Pallade e una melagrana che porta sul gambo anche la sua foglia aguzza e il suo fiore ardente. Dietro il capo allontanasi per entro al vano d'una finestra una campagna spoglia terminata da una chiostra di colline su cui si eleva un còno, solo come un pensiero superbo. E in basso, su un cartiglio, leggesi questo distico:

      FRONS VIRIDIS RAMO ANTIQVO ET FLOS IGNEVS VNO

      TEMPORE [PRODIGIVM] FRVCTVS ET VBER INEST.

      In qual luogo e per quale evenienza Alessandro erasi incontrato la prima volta col maestro fiorentino che allora attingeva il massimo splendore della sua virilità? Forse in un festino di Ludovico, pieno delle meraviglie create dalle arti occulte del Mago? O piuttosto nel palazzo di Cecilia Gallerani, dove gli uomini militari ragionavano di scienza bellica, i musici cantavano, gli architetti e i pittori disegnavano, i filosofi disputavano delle cose naturali, i poeti recitavano i loro e gli altrui componimenti “alla presenza di questa eroina„, come narra il Bandello. Quivi appunto mi piace imaginare il primo incontro, nel tempo in cui la favorita del Moro già incominciava ad amar segretamente Alessandro.

      Quale fiamma d'intelligenza audace e di volontà dominatrice doveva trasparire dalle sembianze del giovine perchè Leonardo ne fosse preso fin da quel giorno! Forse Alessandro ragionò con lui in disparte “su i modi di ruinare ogni rocca o altra fortezza se non fondata in sul sasso„ e si appassionò ai segreti formidabili di quell'affascinante creator di madonne il qual superava in novità d'ingegni tutti i maestri e compositori di strumenti bellici. Forse, nel corso del ragionamento, Leonardo proferì qualcuna di quelle sue parole profonde su l'arte della vita; e, scrutando gli occhi del giovine fattosi muto, riconobbe in lui uno spirito deliberato a trarre dalla vita tutto ciò ch'ella poteva dargli, un ambizioso disposto non già a seguir ciecamente la sua ventura ma a conquistare il dominio con il soccorso di quella scienza che moltiplica e converge allo scopo le forze dell'operatore. E colui che alcuni anni dopo doveva divenire l'architetto militare di Cesare Borgia, colui che invocava ed aspettava un principe magnanimo il quale gli offerisse senza misura i mezzi per porre in atto i suoi innumerevoli disegni, colui vide forse nel patrizio chiomato il futuro fondatore di una dinastia regale e lo amò riponendo in lui le più superbe speranze.

      Mi piace imaginare che si riferisca alla sera del primo incontro il breve ricordo nei comentarii del Vinci (allora tutto intento agli studii per la statua equestre di Francesco Sforza): “A dì penultimo d'Aprile 1492. Ginnetto grosso di Messer Alessandro Cantelmo: ha bel collo e assai bella testa.„

      Uscendo insieme dal palazzo di Cecilia si soffermarono entrambi su la via sempre ragionando; e, come Leonardo scorse il ginnetto, gli si appressò per osservarlo. Palpando il bel collo egli espresse con qualche esclamazione spontanea il terribile travaglio che davano al suo spirito incontentabile le continue ricerche intorno al monumento con cui il Moro voleva glorificar la fortuna del padre conquistatore del ducato ed espugnatore di Genova. La sua mano creatrice delineò nell'aria il colosso con qualche largo gesto rendendolo visibile agli interni occhi del giovine. Cadeva il giorno; l'ora del vespero primaverile fluttuava su i pinnacoli della città gaudiosa; una compagnia di musici passava cantando; e il cavallo per l'impazienza nitrì. Un sentimento eroico dilatò allora l'anima di Alessandro agguagliandola al fantasma del gran capitano. “Ah, partire per la mia conquista!„ egli pensava balzando in sella. E poichè in realtà egli non partiva se non verso una qualche cura della vita comune, disse d'improvviso in un impeto d'amarezza: “Pare a voi, maestro Leonardo, che metta conto di vivere a un uomo nel mio stato?„ E Leonardo che quelle inattese parole non meravigliarono: “Tutto è che l'aquila pigli il primo volo.„ E forse il cavaliere imberbe che si allontanava con la sua gente gli parve essere stato fatto re dalla natura “come quello che nell'alveare nasce condottiero delle api„.

      Il mattino seguente un servo condusse il ginnetto in dono allo statuario insieme col saluto del suo signore.

      Tale imagino il principio delle mutue liberalità. Il maestro compensava il discepolo con la vera ricchezza, poichè “non si dimanda ricchezza quello che si può perdere„. Come Socrate egli prediligeva i discepoli ornati di rare eleganze e di belle capellature. Come Socrate, egli eccelleva nell'arte di elevare l'anima umana all'estremo grado del suo vigore. Alessandro fu certo per qualche tempo l'eletto in quella Academia Leonardi Vincii dove una nobile genitura spirituale dischiudevasi a poco a poco sotto un insegnamento che traeva il suo calore dalla verità centrale come da un sole non oscurabile. “Nessuna cosa si può amare, nè odiare, se prima non si ha cognizion di quella. L'amore di qualunque cosa è figliuolo di essa cognizione. L'amore è tanto più fervente quanto la cognizione è più certa.„

      Si trovano qua e là negli interrotti comentarii di Leonardo i segni della curiosità appassionata con cui lo sperimentatore indefesso vigilava l'anima preziosa del suo giovine amico. Egli non aveva segreti per lui, volendo concorrere con tutti i suoi mezzi ad accrescerne le potenze accumulate, a renderne più efficace l'azione futura su un vasto campo. Egli notava per ricordarsene: “Parla col Volturara di questi tali modi di trarre i dardi.„ E ancóra: “Mostra al Volturara modi di levare e ponere ponti, modi di ardere e disfare quelli dell'inimico e come si piantan bombarde e bastioni di dì e di notte.„ Oppure: “Messer Alessandro mi vol dare il Valturio De re militari e le Deche e Lucrezio Delle cose naturali.„

      Come i detti brevi e fieri del giovine lo colpivano, egli ne notava alcuno. “Disse Messer Alessandro che convien prender la fortuna a man salva dinanti, perchè retro è calva.„ E ancóra: “Sendo io in sul libro del dividere li fiumi in molti rami e farli guadabili, disse ardito il Volturara: Affè che Ciro di Cambise ben seppe fare il simile al fiume Ginde per castigarlo, sol per avere quello toltogli uno cavallo bianco.„

      Un giorno — imagino — erano entrambi convenuti nella casa magnifica di Cecilia Gallerani; e Leonardo aveva rapito gli animi sonando quella nova lira fabbricata di sua mano quasi tutta d'argento in forma d'un teschio di cavallo. Nella pausa che seguì l'entusiasmo, la rinata Saffo si fece recare un mirabile cofanetto ricco di smalti e di gemme inviatole dal duca in dono; e mostrandolo chiedeva ai presenti quale oggetto tanto prezioso potesse a lor giudizio meritare d'esservi riposto. Ciascuno espresse un diverso parere. — E voi, Messer Alessandro? — domandò Madonna Cecilia, con dolci occhi. Rispose l'audace: — Di quello che fra i tesori di Dario fu trovato, del quale nulla fu visto che fosse più ricco, uno antico Alessandro volle far la custodia alla Iliade di Omero.

      Sùbito il Vinci segnò nei comentarii quella risposta; e v'aggiunse: “Ei si vede chi si nutrica di midolle e nervi di lione.„

      Un altro giorno erano entrambi convenuti nel giardino della medesima ospite, e Alessandro, dopo aver disputato con qualcuno di quei “famosi spiriti„, s'era tratto in disparte per seguire qualche pensiero nuovo che il calor della disputa aveagli dischiuso nell'intelletto denso di germi. Chiamandolo la bella contessa bergamina a più riprese, egli non si voltò se non tardi perchè tardi udì il richiamo. A un grazioso rimprovero, o forse a un motto pungente, rispose egli sorridendo: — Non si volta chi a stella è fisso.

      La sera, il Vinci segnò nei comentarii anche quella risposta; e v'aggiunse la sua profezia: “Presto piglierà il primo volo, empiendo l'universo di stupore, empiendo di sua fama tutte le scritture e gloria eterna al loco dove nacque.„

      Forse in quella sera medesima, considerando l'intensità e la molteplicità di quella precoce giovinezza, il suo spirito inclinato alle significazioni occulte degli emblemi e delle allegorie trovò il bel simbolo della melagrana compendiosa che reca sul gambo

Скачать книгу