Una sfida al Polo. Emilio Salgari

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Una sfida al Polo - Emilio Salgari

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      Pensate che per comporlo ci si mette insieme della carne di granchio di mare ben triturata, della salsa di pomodoro, del pepe rosso, del marsala ed infine un mezzo bicchiere di gin-cocktail.

      Si capisce come un simile intruglio possa, anzi debba soddisfare la gola d'un yankee!...

      Mentre l'americano pescava avidamente nel suo grosso bicchiere gelato per raccattare i frammenti della carne del granchio, non cessava di chiacchierare e d'informare il giovane inglese, il quale invece non faceva troppo onore al crabmeat, pur avendolo ordinato lui, più per curiosità che altro.

      — Come vi dicevo, — aveva ripreso il yankee, la cui vociaccia rauca si distingueva abbastanza bene fra gli interminabili hurràh della folla delirante, — due uomini, veramente straordinarî, si contendono il cuore di miss Ellen Perkins.

      Uno è un nobile canadese, più ricco di nobiltà che di dollari, a quanto si dice, ma discendente di quei famosi Montcalm che hanno difeso strenuamente questo paese contro voi, signori inglesi.

      L'altro è un mio compatriotta, il signor Torpon, figlio d'un grande fabbricante d'automobili di Buffalo, padrone di non so quanti milioni.

      — Ah!... — fece il giovane inglese, il quale pareva che si interessasse straordinariamente di quelle spiegazioni.

      — Il signor di Montcalm gode la fama di essere il più celebre sportman del Canadà, mentre il mio compatriotta lo si crede il più celebre degli Stati dell'Unione.

      — E chi ha fatto finora breccia nel cuore di quell'indemoniata fanciulla?

      — Nessuno, finora, quantunque si affermi che miss Ellen Perkins in fondo li ami entrambi.

      — Che cuore largo!...

      — Adagio, giovanotto, — disse l'americano, corrugando la fronte. — Una ragazza del nostro paese non ha che una parola e morrà per mantenerla.

      — Che cosa volete dire, gentleman? — chiese l'inglese, un po' ironicamente.

      — Che ha giurato di impalmare il più forte dei due campioni e che non mancherà di farlo.

      — E qual'è il più forte?

      — Non si sa ancora, perchè pare che un perverso destino perseguiti ostinatamente i due campioni.

      Si sono sfidati alla spada e si sono feriti reciprocamente; si sono sfidati a cavallo e sono caduti entrambi nel salto agli ostacoli; hanno fatto una corsa in canotto-automobile e le loro macchine sono scoppiate in alto mare, e non si sa per quale miracolo si sono salvati....

      — Ed ora?

      — Si sfidano a pugni.

      — Dite, gentleman?

      — Che noi assisteremo ora ad una magnifica partita alla boxe. Chi vincerà avrà la mano ed il cuore di miss Ellen, poichè lo ha solennemente giurato.

      — E sono venuti qui a misurarsi?

      — Giovanotto mio, questo affare ha prodotto un gran chiasso al di là del S. Lorenzo e la polizia si è messa di mezzo per impedire che quei due valorosi finiscano per accopparsi del tutto e perciò siamo passati sul territorio canadese.

      La boxe è tollerata dagli inglesi.

      — Uhm!...

      — Non lo credete? Se si accoppano a gran colpi di pugno nel vostro paese.

      — Sì, una volta; ora non più. —

      L'americano si grattò la testa e fece un moto di stizza.

      — Che anche i policemen inglesi si vogliano occupare di questo affare? — disse poi. — Ciò mi dispiacerebbe perchè io ho scommesso cento dollari....

      — Sul vostro compatriotta?

      — No, sul canadese.

      — Eh!...

      — Gli affari sono affari, giovanotto, ed io ho più fiducia nel signor di Montcalm che in Will Torpon.

      — È strano.

      — Che cosa volete? Quantunque il mio compatriotta sia più grosso e più alto del canadese, io sono certissimo che perderà la mano di miss Ellen Perkins.

      — Questi due rivali sono ricchi, gentleman?

      — Non sono dei Pierpont Morgan, nè dei Carnegie, nè dei Wanderbild, intendiamoci; tuttavia possono permettersi il lusso di gettar via, senza badarci tanto, qualche centinaio di migliaia di dollari.

      Il mio compatriotta ha ereditato da suo padre una mezza dozzina di pozzi di petrolio che sembrano inesauribili, poichè gettano sempre; il signor Montcalm invece è uno dei più grossi proprietarî di terreni del dominio inglese.

      — E la miss?

      — Ne ha dei milioni, la terribile fanciulla. Suo padre, che era proprietario d'una linea di navigazione, le ha lasciato un bel gruzzolo che intascherei ben volentieri anch'io.

      — Assieme ai begli occhi della miss, è vero?

      — In quanto a quello non saprei proprio dirvi un sì. Mi riterrei più fortunato se non ci entrassero nell'affare.

      — Sono bellissimi, gentleman. —

      L'americano, per non rispondere, inghiottì d'un colpo solo quanto rimaneva nel suo bicchiere, poi trasse da una tasca una tavoletta di tabacco, ne ruppe un pezzo coi suoi denti da lupo, e dopo d'aver masticato per qualche istante, disse:

      — Mi pare che i partners (padrini) dei due sportmen si siano già messi d'accordo e che la partita stia per cominciare.

      Volete venire, giovanotto? Non perdete una così bella occasione.

      — Andiamo, gentleman. —

      Stavano per ricacciarsi fra la folla che non aveva cessato un solo istante di dimenarsi furiosamente e di sgolarsi con hurràh, che diventavano ormai sempre più rauchi, quando una voce formidabile rimbombò, coprendo per un istante tutto quel fracasso.

      — I policemen!... —

      A quell'annuncio un silenzio improvviso era successo a tutto quel pandemonio. Si sarebbe detto che le ugole di quei diecimila spettatori si erano spezzate di colpo.

      Fu una cosa che ebbe però la durata di soli pochi secondi.

      Urla più formidabili di prima si erano prontamente alzate in tutte le direzioni.

      — Dove sono quei furfanti?

      — Accoppiamoli!...

      — Gettiamoli nel S. Lorenzo!...

      — A morte!... A morte la polizia!... —

      Un grosso automobile, dipinto in grigio,

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