Definita. Dakota Willink

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Definita - Dakota Willink

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Smisi di correre e tornai indietro camminando verso di lei.

      “Lo hai fatto?” disse con un tono di voce molto alto.

      “Sì, mi spiace. Non avrei dovuto. Dopo tutto. Già una volta mia hai fatto una lezione sul fatto che spiare non fosse educato,” dissi sorridendo sperando di metterla a suo agio richiamando un vecchio ricordo. “Ora però sono curioso. Cosa dovevi dirmi?”

      “Nulla,” disse, solo un po’ troppo velocemente.

       Interessante.

      Ora ero veramente curioso.

      “Guarda, è passato un bel po’ di tempo Cadence. Per quanto mi stia piacendo questa corsa inaspettata con te, preferirei parlare senza ansimare per lo sforzo. Perché non ci fermiamo e andiamo a prendere una tazza di caffè? Possiamo recuperare.”

      Lei abbassò lo sguardo e scosse la testa. Quando alzò gli occhi per guardarmi di nuovo, i suoi occhi erano addolorati. Allungai il braccio e le presi una mano, capendo subito che era un errore. Era sempre stata uno dolore costante nel mio petto e questo movimento mi portava pericolosamente vicino a lei. Guardai verso le sue labbra a forma di cuore. Il bisogno di baciarla fu innegabile.

       Cristo, datti una calmata.

      Non so come succedesse così velocemente, ma non avrei dovuto esserne sorpreso. Anche quando eravamo più giovani le cose erano andate velocemente. Ora, con la sua piccola mano tra i miei palmi, seppi con assoluta certezza che non volevo lasciarla andare. Non riuscii a obbligarmi a fare un passo indietro.

      Per la prima volta dopo diciassette anni, lei mi stava guardando. Pensavo mi fosse passata, ma solo tenerle la mano mi fece capire che non era così—proprio per nulla. In qualche modo, nel corso di un’estate, Cadence mi aveva virtualmente reso inutile per qualsiasi altra donna. Volevo poterlo negare, ma se ci avessi provato, sarebbe stato solo mentire a me stesso. Sicuramente mi ero imbattuto in altre donne meravigliose nel corso della mia vita ma nessuna di loro mi aveva mai attivato come aveva fatto Cadence. La forza magnetica che sentivo sempre verso di lei era ancora presente, forte proprio come il giorno in cui ci eravamo incontrati. Questa poteva essere la mia possibilità per spiegarmi—per scusarmi per non aver avuto le palle di oppormi a mio padre tanti anni prima. Lei doveva sentirmi e sapere che non era passato un singolo giorno senza che avessi pensato a lei.

      “Non credo che il caffè sia una buona idea, Fitz,” sussurrò.

      “Perché no?”

      “Perché io…” iniziò a dire.

      Poi mi venne un altro pensiero e guardai velocemente in basso verso la sua mano ancora nella mia—nessun anello. Cercai di nascondere il mio sollievo. Ero stato così preso dall’averla vista di nuovo, che non mi era proprio venuto in mente che lei poteva essersi concessa a qualcun altro. Solo l’idea che lei stesse con un altro uomo mi fece contrarre le viscere anche se non ne avevo alcun diritto.

      “É solo un caffè, Cadence.”

      Lei si liberò la mano e fece un passo indietro. La sua postura si irrigidì e il suo sguardo divenne più freddo.

      “Invece di chiedere a me di uscire per un caffè forse dovresti pensare di portarci tua moglie,” disse con un tono acido. Il modo con cui aveva enfatizzato l’ultima parola mi fece vacillare. Battei le palpebre per un attimo sperduto prima che mi si accese una lampadina.

       Lei non lo sa.

      “Cadence, non sono sposato. Mia moglie è morta undici anni fa.”

      I suoi occhi si spalancarono e lei cominciò a ridere ma in un modo che non sembrava per nulla felice.

      “Certo che è morta! Non è ironica la vita?” Fece cadere lo sguardo verso terra. Quando lo rialzò la sua espressione era sospettosa. “Guarda, Fitz, mi dispiace per tua moglie—veramente. Ma non so a cosa tu stia pensando. Fare qualsiasi cosa insieme è una cattiva idea. Correre, un caffè, Sono tutte cattive idee. Non c’è modo di recuperare. Sono passata diciassette anni. Quella nave è ormai salpata.”

      “Lo è?” chiesi.

      La fissai intensamente mentre sollevava le braccia con esasperazione.

      “Ci siamo incrociati per caso. E allora? Diciamoci ‘è stato bello vederti’ e andiamo avanti con le nostre vite.”

      Attirato come una falena da una fiamma, o forse voglioso di essere punito le presi di nuovo la mano. Lei non si ritrasse.

      “Prendi un caffè con me,” insistetti di nuovo. “Per favore.”

      Il conflitto era chiaro nei suoi occhi. Cosa non avrei dato per strisciare nel suo cervello e capire i suoi pensieri. Tutto quello che sapevo era che avevo sognato quegli occhi verdi, quelle labbra morbide, quei capelli biondi per troppo tempo.

      “C’è un bar qui vicino lungo Maryland Avenue,” disse alla fine. “Ho tempo solo per una tazza veloce. Devo andare al lavoro alle nove e devo avere il tempo di andare a casa e fare una doccia prima.”

      Le lasciai la mano e feci un cenno nella direzione a cui si era riferita.

      “Fa’ strada, dolcezza.”

      La sua testa scattò in alto per guardarmi. Io le feci l’occhiolino e le lanciai un sorrisetto impertinente che le diceva in silenzio che era vero—mi ricordavo.

      Prima che avessimo finito questo improvvisato appuntamento al bar lei avrebbe saputo che io non avevo dimenticato nulla—e che non avevo dimenticato lei.

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