Definita. Dakota Willink

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Definita - Dakota Willink

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ora sono sveglia. Cosa intendi dire con hai visto Fitz? Ne sei sicura?”

      “Sì, ecco, no. I suoi capelli erano leggermente più lunghi ma… sì, sono sicura fosse lui.”

      “Dove lo hai visto, Cadence?”

       Bingo. É lei.

      Un’ondata di soddisfazione mi travolse prima che un altro pensiero mi colpisse sul petto come una martellata.

       Cadence. É veramente lei, in carne e ossa e solo a pochi passi da me.

      Ricordi di caldi serate estive mi passarono davanti agli occhi. La vidi di nuovo, vicino al lago con i suoi occhi verdi scintillanti e i capelli luccicanti alla luce di un tramonto che stava scolorendo. Potevo quasi sentirla tra le mie braccia—anche ora. Il calore del suo abbraccio, il modo in cui sussurrava il mio nome quando la baciavo…

      Cadence cominciò a parlare di nuovo, strappandomi da un passato lontano.

      “Durante la mia corsa del mattino,” la sentii spiegare alla persona al telefono. “Stava correndo anche lui. Gli sono passata vicino ma non sono sicura che abbia capito che ero io.”

      “Gli hai parlato?”

      “Sei pazza?” urlò Cadence, poi sembrò riprendere il controllo. Si guardò nervosamente attorno per un momento e dovetti accucciarmi per restare nascosto. Quando parlò di nuovo, la sua voce era decisamente più bassa e dovetti sforzarmi per sentirla. “Seriamente, Joy. Quali sono le probabilità di vederlo correre al Mall dopo tutto questo tempo? E specialmente ora!”

       Joy. La ragazza afroamericana che lavorava al negozio con Cadence.

      Sorrisi tra me, compiaciuto per qualche strano motivo del fatto che fossero rimaste amiche dopo tutto quel tempo.

      “Tutto questo è inquietante—come se ci fosse qualcosa di spettrale da capire,” disse Joy. “Non so, cara. Le stelle sembrano allinearsi in un modo veramente strano. Non importa quanto sia passato. Devi dirglielo.”

      “Oddio. Non so se posso farlo!”

      “Beh, qualcosa ti sta dicendo che è ora. Ci sono già state anche troppe coincidenze.”

      “Hai ragione. Posso farlo. Un gioco da ragazzi,” rispose Cadence, ma il suo tono era quasi sarcastico.

      “Bene. Sono felice che sia chiaro. Ora me ne torno a letto. Non devo essere al lavoro per almeno altre due ore.”

      “Aspetta, Joy–” Si fermò subito, guardò il telefono e imprecò. “Maledizione!”

      Si alzò e cominciò a camminare avanti e indietro, sembrando persa nei suoi pensieri. Seguii le linee del suo piccolo corpo. Stava bene, veramente bene in realtà. Le sue curve erano più pronunciate, I seni e i fianchi più armoniosi di quanto ricordassi ma ancora snelli e in forma. Il corpo che stavo guardando apparteneva a una donna, non alla giovane ragazza di cui mi ero innamorato. Tuttavia, nonostante gli anni che erano passati, desideravo allungare il braccio e toccarla.

      Non avrei dovuto origliare la sua conversazione, ma nel momento in cui avevo sentito il mio nome non avevo potuto farne a meno. Ero curioso di sapere di cosa stessero parlando e di cosa si presumeva dovesse dirmi.

      Ed ero molto curioso su di lei.

      Era la ragazza che aveva scosso il mio mondo circa diciassette anni prima, e da allora avevo raramente pensato a un’altra donna—e questo valeva anche per gli anni che avevo passato da sposato. Mentre mi domandavo se uscire dal mio nascondiglio e farmi vedere, mi resi conto dell’ironia della situazione. La stavo spiando, proprio come avevo fatto il primo giorno che l’avevo vista al lago. E ora ero qui anche oggi. Forse, come si dice, la storia si ripete. Toccava a me cambiare il suo corso.

      “Cadence,” dissi ad alta voce quando mi mossi da dietro il monumento.

      Lei fece un salto e si girò portandosi la mano al petto.

      “Mi hai spaventata da morire!”

      “Mi dispiace. Non volevo farlo,” mi scusai mentre mi avvicinavo. La mia memoria non le rendeva giustizia. Era ancora più meravigliosa di quanto ricordassi, facendomi quasi sussultare per l’incredulità. Non pensavo fosse possibile che lei fosse ancora più splendida di quanto era una volta. Mi schiarii la gola. “Devo dire, è un piacere incontrarti qui.”

      Riprendendosi dallo shock della mia improvvisa apparizione, sembrò riaversi.

      “Sì, già, un piacere. Ecco, io io…” balbettò. “Io in realtà devo andare. Stavo giusto per riprendere a correre.”

      “Aspetta,” dissi e allungai la mano per afferrarle il braccio. Quando il mio palmo toccò la sua pelle, si bloccò. Così feci io e la stessa aria sembrò sfrigolare. Io quasi non ero in grado di parlare o di riordinare il mio cervello per farmi muovere. Era la prima volta che la toccavo in più di diciassette anni. La mia gola divenne secca in modo ridicolo e dovetti schiarirmela prima di poter parlare di nuovo. “É passato così tanto tempo. Come stai?”

      Lei si liberò il braccio e si massaggiò la zona dove era stata la mia mano. L’azione non sembrava dire che era stata offesa dal mio tocco, ma piuttosto che il contatto l’aveva fatta sentire come mi ero sentito io. I suoi occhi verdi brillavano come smeraldi nel primo sole del mattino.

       Erano sempre stati così accesi?

      “Io bene,” rispose. “Tu?”

      Cominciai a parlare di nuovo ma le parole non volevano uscire. Era come se stessi ancora assorbendo tutta l’incredulità di vederla di nuovo. Dovetti ricordarmi che era reale e non un folle sogno che si era ripetuto per gli ultimi diciassette anni.

      “Non male,” fu tutto quello che riuscii a dire.

      “Bene, ottimo. Ma, ecco, come ti ho detto, devo andare.”

      Sembrava nervosa, ma non potevo lasciare andare via—non di nuovo. Almeno non fino a quando non avessi capito di cosa trattasse la sua conversazione telefonica. Quando lei mi fece un piccolo cenno con la mano e si girò per ricominciare a correre, corsi in avanti per mettermi nel gradino vicino a lei. Lei piegò la testa per guardarmi con curiosità ma non disse nulla.

      “Vivi da queste parti?”

      “Sì, nella zona di Washington, sì.” La sua risposta fu cauta. Fui in grado di apprezzarla. Dopo tutto, era passato così tanto tempo. Per quel che ne sapeva, potevo essere diventato uno psicopatico. Tuttavia, dovevo continuare a parlare.

      “Io vivo ad Alexandria, ma il mio ufficio è nell’East End. Il Mall è comodo e corro su questo percorso quasi ogni giorno. Stranamente non ti ho mai vista fino a oggi. Corri spesso qui?”

      “No, ho appena cominciato a venire qui perché stanno facendo dei lavori sui marciapiedi del mio quartiere.” Una ciocca di capelli uscì dalla treccia mentre correvamo. Ebbi il desiderio di allungare il braccio e mettergliela dietro l’orecchio ma mi trattenni.

      “Credo che allora dovrei ringraziare il DDOT.”

      “Per cosa?”

      “Per

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