Definita. Dakota Willink

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Definita - Dakota Willink

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Le mogli dei senatori repubblicani sono così felici per il piccolo Austin e hanno organizzato una festa in onore del nascituro.”

       Austin.

      Erano tutte le conferme di cui avevo bisogno. Non potevo negarlo. Il ragazzo che si era presentato sulla mia soglia era, effettivamente, il figlio di Fitz. Chiusi gli occhi, feci un profondo respiro e mi pizzicai il setto nasale. Espirando guardai lentamente in alto verso il soffitto.

       Ho sbagliato in tutti questi anni? Avrei dovuto dirglielo? Avrei dovuto lottare con più forza per Fitz?

      Non sapevo quali fossero le risposte, ma improvvisamente mi trovavo con il dover giustificare le mie azioni. Pensavo di aver fatto la cosa giusta in quel tempo. Avevo i miei genitori per aiutarmi con tutto mentre Fitz non aveva nessuno. I miei genitori appoggiavano la mia scelta. Pensavo di aver seguito la strada altruistica ma ora non ne ero così sicura. Quella che una volta vedevo come una nobile decisione sembrava pronta a esplodermi in faccia.

      Guardai verso la bottiglia di birra ormai tiepida che non avevo toccata e seguii le linee di condensazione che si erano formate attorno alla base. Un piccolo rivolo d’acqua si stava lentamente facendo strada verso il comodino. Il modo in cui l’aveva fatto non seguiva un senso preciso. Si era semplicemente mossa verso il bordo. L’acqua trovava sempre una strada. Desiderai che la mia vita potesse essere così semplice, che avesse quella forza gravitazionale a spingermi verso una destinazione.

      Ero così confusa. Diciassette anni fa mi affidavo ai miei genitori per un consiglio. Ora sedevo da sola alla ricerca di una guida che non sarebbe arrivata mai.

      5

      Cadence

      Lunedì mattina ero seduta alla mia scrivania con Joy seduta proprio davanti a me, il suo volto inorridito dopo che avevo finito di raccontarle quello che era successo nel fine settimana. Il nodo di terrore che mi si era formato allo stomaco venerdì sera era ancora lì, ma stava peggiorando a ogni ora che passava.

      Kallie era tornata dal ballo puntuale, proprio come promesso, ed eravamo rimaste alzate fino alle due del mattino a guardare i nostri musical preferiti. Io avevo scelto come primo film Gli strilloni, la storia liberamente basata sullo sciopero degli strilloni di New York del 1899. Per come la vedevo io, nessuno poteva resistere a un giovane Christian Bale. Lei aveva scelto come secondo musical della notte—Mamma Mia! Tra tutti quelli che avrebbe potuto scegliere... la mia solita fortuna. Mi ero agitata e sentita a disagio per tutto il secondo film, la trama mi era veramente troppo vicina. E ora non riuscivo a togliermi dalla testa quella maledetta canzone della colonna sonora.

      C’erano state parecchie occasioni per dirle di Austin e raccontarle la verità su suo padre, ma ogni volta mi ero tirata indietro quando le parole cominciavano a formarsi sulla lingua. Non riuscivo proprio a dirglielo. Come risultato ora mi stavo ascoltando una lezione da Joy.

      “Cadence, non va bene. Il senatore Quinn è suo padre—l’uomo che si oppone con forza contro tutto quello per cui lottano i Sognatori di Dahlia. Quando verrà a sapere di Kallie e scoprirà cosa fai per vivere, mi piacerebbe dire che addolcirà il suo atteggiamento ma quell’uomo sembra senza pietà.” Joy fece una pausa e sussultò. “Lasciando da parte le implicazioni politiche, devi andare da Fitz. È passato così tanto tempo.”

      “E dirgli cosa? ‘Ehi, ti ricordi di me? Quella stupida ragazza a cui hai dato una botta un’estate di diciassette anni fa? Bene, sei il papà della mia bambina.’ Andiamo, Joy. Probabilmente non si ricorda neppure di me. Non ho bisogno di andare da Fitz, ma devo dirlo a Kallie.”

      “Allora, perché non lo hai fatto? Deve saperlo prima che accada qualcosa di folle. Gesù Santo! Riesci a immaginare cosa accadrebbe se finisse con l’uscire con Austin?”

      Strinsi con forza le labbra fino a farle formare una linea sottile.

      “Fidati, ci ho pensato per giorni. Solo che non so proprio come dirglielo. Sono andata a correre ieri mattina. Avevo bisogno di un po’ di ‘tempo per me’ per schiarirmi le idee. Non ha funzionato, e allora sono andata a correre anche nel pomeriggio. Sono sicura che i tipi che stavano curando il prato attorno al monumento a Washington abbiano pensato che fossi impazzita. Devo essere passata davanti a loro almeno venti volte.”

      “Cosa ci stavi facendo lì?” chiese Joy con un’espressione corrucciata.

      “Stanno facendo dei lavori nel mio quartiere e tutti i marciapiedi sono bloccati. Correre lungo il Mall è stato più facile. In ogni caso ero pronta a dire tutto a Kallie quando sono tornata a casa ma poi mi sono bloccata.”

      Joy scosse la testa.

      “Io credo ancora che dovresti dirlo a Fitz. Non si tratta solo di Kallie. Anche Austin dovrebbe saperlo. E se ha dei sentimenti per lei?”

      Sbattei la testa contro la scrivania.

      “Dovevi ricordarmi anche questo?” mi lamentai.

      “Ehi, lo so che sei in una posizione difficile. Sto solo cercando di aiutarti a vederla da tutte le angolazioni in modo che—”

      “Salve? C’è nessuno?” disse una voce femminile fuori dalla porta del mio ufficio. Joy smise di parlare ed entrambe ci girammo per vedere chi fosse. Quando non entrò nessuno, mi alzai e andai in corridoio.

      Una donna con una bambina piccola stava osservando le porte di legno ormai consunto degli uffici lungo il corridoio. La bambina teneva stretta al petto una bambola dall’aspetto logoro. Si guardava attorno, sembrando confusa mentre la donna che la teneva per mano la trascinava di porta in porta.

      “Posso aiutarla?” chiesi.

      “Oh!” rispose lei colta di sorpresa. “Mi dispiace. Non c’era nessuno in portineria e così ho deciso di vedere se riuscissi a trovare qualcuno in uno degli uffici. Avrei dovuto prendere un appuntamento prima ma io-io non potevo aspettare. Ho bisogno di parlare con qualcuno subito.”

      Aveva un lieve accento che non fui in grado di localizzare ma che sembrava di origine spagnola. Era difficile da dire per iI modo in cui la voce le si rompeva. La sua espressione era terrorizzata, quasi disperata. Era un’espressione che conoscevo anche troppo bene.

      “Per cortesia, entri e si accomodi,” le dissi. Una volta entrata, le feci cenno di sedersi al piccolo tavolo rotondo che c’era nell’angolo. “Mi spiace che non abbia trovato nessuno ad accoglierla. La mia segretaria attualmente è in maternità. Il resto del personale ha cominciato a gestire le cose mentre lei non c’è. Cosa possiamo fare per lei?”

      La donna guardò avanti e indietro me e Joy.

      “il mio…il mio nome è-è Emilia Garcia,” balbettò.

       Impaurita. Arrivano qui sempre impaurite.

      “É un piacere conoscerla.” Mi sedetti davanti a lei al tavolo. Nel corso degli anni avevo scoperto che risultava meno intimidatorio per i nuovi clienti se mi sedevo lì invece che dietro alla mia scrivania. Sembrava le facesse sentire sullo stesso terreno. Allungai la mano verso di lei perché la stringesse, sperando di metterla più a suo agio. Era fredda e sudata, un chiaro segnale che la donna era sull’orlo di un esaurimento nervoso. “Sono Cadence Riley, e lei è la mia collega Joy Martin.”

      Fece un cenno verso Joy, poi cominciò a giocherellare con il bordo della

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