Promette Di Onorarti. Shanae Johnson

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Promette Di Onorarti - Shanae Johnson

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mantieni la tua promessa fatta al generale.

      La mente annebbiata di Linc si schiarì. Quelle parole bastarono a ricordargli cosa dovesse fare, quale fosse la sua missione… la sua missione finale. Sollevò il borsone, strinse le chiavi della macchina tra le mani e attraversò il cortile fino alla clinica del ranch.

      Passando davanti alle infermiere e ai dottori, Linc sorrise gentilmente. Era difficile per lui associare volti e nomi. Quelli erano gli uomini e le donne che lo avevano aiutato a guarire dopo la sua missione. Non voleva sembrare scortese. Voleva sembrare guarito. Anche se non lo sarebbe mai stato davvero.

      Raggiunta la sua destinazione, Linc non si preoccupò di bussare alla porta. Era socchiusa e all’interno c’erano altri cinque uomini. Un uomo era seduto sul letto e si stava allacciando gli scarponi. Ci metteva tempo poiché usava solo una mano per farlo. La mano sinistra di Jefferson giaceva sul materasso mentre si dibatteva.

      Nessuno degli altri uomini si mosse per aiutarlo. Nessuno di loro parve notare il suo momento di difficoltà. Jeff era l’unico della loro unità che se ne era andato con una ferita visibile. Gli altri uomini riuscivano a nascondere le loro cicatrici, ma solo se non si guardavano negli occhi.

      “Pronto ad andare?” chiese Linc, una volta che Jeff ebbe finito.

      Carter e Truman, i più vicini alla porta, annuirono. Afferrando i loro borsoni, si imbatterono in Lincoln. Wilson, che stava alla finestra, si allontanò dal muro. Prese il suo borsone e poi quello di Jeff prima di stringere la mano in un pugno e allontanarsi. Jeff fece finta di non accorgersene e sollevò il borsone sulla schiena con la mano destra.

      “Ci siamo persi il funerale,” disse Jeff.

      Non si sarebbe potuto fare altrimenti. Erano tutti ricoverati in un ospedale tedesco al momento del funerale del generale Silver, tre mesi prima. Il mese scorso erano stati mandati al Purple Heart Ranch per lavorare su se stessi. Ogni uomo aveva esitato all’idea di venire al ranch di riabilitazione. Ma si trattava di un ordine, l’ultimo del loro comandante in capo.

      Il generale Silver amava chiamare la sua unità ‘gli uomini del Presidente’ perché ognuno dei soldati aveva il nome di un presidente. Linc si era chiesto se il generale avesse scelto i ragazzi proprio per quel motivo. Qualunque fosse stato il processo di selezione del generale, era stato azzeccato. I sei uomini avevano lavorato insieme armoniosamente nel corso degli anni, eseguendo le missioni più difficili che l’esercito aveva messo loro sulle spalle.

      Fino all’ultima missione. Quella che li aveva quasi ammazzati. Quella che si era presa il loro giocatore più prezioso, proprio il generale.

      “Il ranch Silver Star è a trenta chilometri da qui,” disse Linc. “Prendiamo due mezzi e ce ne andiamo. Dovremmo arrivare alle 11.”

      “Questa non è una missione, Linc,” disse Wilson. “Abbiamo chiuso con l’esercito.”

      Era vero. Ognuno degli uomini del Presidente aveva ricevuto un congedo medico dopo il periodo trascorso nell’ospedale tedesco. Insieme a quel congedo onorevole, ogni uomo aveva ricevuto la Medaglia d’Argento d’Onore per le azioni eroiche che tutti avevano compiuto nella loro ultima battaglia.

      “Tutto quello che voglio fare è riposare,” disse Jackson. C’era un tocco di grigio che si insinuava nell’attaccatura dei capelli alle sue tempie.

      “Tutto quello che voglio fare è trovare una brava donna e fare dei bambini,” dichiarò Carter mentre si passava una mano tra i capelli eccessivamente acconciati.

      Truman rimase in silenzio. Come Linc, anche lui voleva tornare nell’esercito. Ma l’unico modo sarebbe stato accettare un lavoro d’ufficio. E sarebbe stata una morte lenta.

      “Abbiamo promesso di farlo,” disse Linc.

      Quell’affermazione li zittì tutti. Anche tre mesi dopo, tutti sentivano ancora fortemente la perdita del loro leader. Linc era sicuro che ogni uomo potesse ancora sentire l’esplosione che si era portata via il loro capo. Tutto quello che gli era rimasto era l’impegno che avevano preso, l’impegno di proteggere le sue sei figlie e vedere se c’era qualcosa che gli uomini del Presidente potessero fare per quelle ragazze.

      “Prepariamoci e andiamo via.”

      Capitolo Tre

      “Gunny, rispondi,” Scout mormorò quell’ordine al cellulare.

      Di solito era fortunata se prendeva tre tacche piene. La copertura al Silver Star Ranch era notoriamente incostante. Ma era una giornata senza nuvole. Uno stormo di cinque uccelli volò in formazione, rispecchiando il forte segnale sul quadrante del suo telefono. L’unico problema era il cinguettio elettronico della suoneria dall’altro capo del telefono.

      “Gunnery Ulysses Silver, è meglio che tu risponda a questo telefono che mi devi aiutare…”

      Un lungo segnale acustico interruppe la minaccia di Scout a sua sorella. Scout si levò bruscamente il telefono dall’orecchio e fissò l’apparecchio. Sbuffando, premette per richiamare.

      “So che ci sei,” sbuffò nuovamente Scout nel ricevitore. In risposta, il telefono squillò e squillò di nuovo. “Ma ce l’hanno la rete nel bel mezzo di… dov’è che è lei già?”

      “Nel deserto del Namib,” disse Brig mentre conduceva un alto Purosangue all’alimentatore lento.

      Il cavallo da corsa, un tempo orgoglioso, camminava lentamente al comando, con la testa bassa. Scout trasalì mentre guardava quel grande sguardo marrone profondo del cavallo restringersi come se ogni passo fosse doloroso.

      Probabilmente era davvero così. Heathcliff era arrivato da loro dopo aver perso la sua decima gara consecutiva due anni prima. Il suo proprietario era stufo e pronto ad abbattere il cavallo poiché in quel momento non era più redditizio. Scout aveva convinto quel miserabile a darle il cavallo. Lei e Saylor avevano lentamente curato il cavallo stanco fino a ridargli una parvenza di salute, anche se non avrebbe mai più corso. Il che fu meglio così.

      Nessuno qui cercherebbe di continuare a spingere un cavallo ad essere per forza il massimo. Potevano essere ciò che volevano. Il Silver Star Ranch era un luogo di riabilitazione, di miglioramento, forse anche un po’ di rinvigorimento. Ma non di recupero.

      I cavalli che arrivavano qui erano stati spezzati, nel corpo o nello spirito, dagli umani che li avevano posseduti. Scout non aveva alcun interesse a rattopparli e rimandarli indietro. Qui gli animali avrebbero vissuto il resto dei loro giorni in pace mentre guarivano dall’interno.

      In origine, era stato un ranch per allevare il bestiame. Ma per il suo ventunesimo compleanno, appena tre anni dopo la morte della madre, e la continua assenza di suo padre mentre intraprendeva una missione dopo l’altra con i militari, Scout aveva venduto il bestiame e trasformato la terra in un ranch di riabilitazione per cavalli maltrattati e fuori dalle corse.

      Suo padre aveva esitato all’idea, insistendo sul fatto che fosse fallimentare. Aveva anche insistito sul fatto che fosse il momento di sposarsi e lasciare gestire a un uomo il ranch per lei. Gli aveva risposto che se avesse voluto un uomo al comando, allora sarebbe dovuto tornare a casa e dirigersi il posto da solo.

      Non era tornato a casa. Le loro chiamate divennero sempre meno frequenti. Fino a quando non ce ne furono più e lui morì.

      Scout inspirò

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