Saving Grace. Pamela Fagan Hutchins

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Saving Grace - Pamela Fagan Hutchins

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sicuramente. “Siamo da sballo,” dissi, per poi mettermi a ridere. Da sballo. Come se l’avessi mai detto prima.

      “Yah mon,” disse Ava.

      La cameriera stava dondolando di nuovo verso di noi, portando i nostri drink su un vassoio. Mentre passava davanti ad un tavolino rotondo dall’altra parte della sala karaoke, una donna si alzò e la prese per il braccio che aveva libero. La sua voce echeggiò tra il rumore della folla.

      “Dov’è il mio drink? Ho ordinato cinque minuti fa,”

      “Lo porto al più presto,” disse la cameriera, togliendosi il braccio della donna di dosso.

      “Voglio il mio drink adesso. Che cosa ridicola. Dov’è il tuo capo?” chiese la donna, lasciando trapelare dal suo accento di essere di New York o dintorni.

      La cameriera annuì, sorrise, e disse, “Oh, sì, signora, glielo porto subito.”

      Riprese a camminare verso di noi, ancora più lentamente. Quando ci raggiunse, Ava le disse, “Wow, qualcuno si crede speciale.”

      “Davvero,” concordò la cameriera. “Sta per passare una bella sete.”

      Lasciò i nostri drink sul tavolo e se ne andò. “Cosa ti ho detto?” mi disse Ava.

      “Me la devo prendere comoda,” dissi.

      Bevemmo il nostro champagne da dei bicchieri di plastica con dei delfini blu disegnati sui lati. Presi un sorso e le bollicine mi solleticarono il naso. Ridacchiai di nuovo. Non bevevo mai questa roba. Non ridacchiavo neanche. “Salud,” dissi, alzando il bicchiere. Ava ed io battemmo i bicchieri, schizzandoci lo champagne sulle braccia. Ridacchiai di nuovo.

      “Questa sedia è occupata?” chiese una voce profonda. Uno dei nostri ammiratori, forse? Le sue spalle larghe bloccavano i raggi del sole, wow. Peccato non ci fossero raggi di sole nel casinò. Bloccavano la luce dei dozzinali lampadari. In controluce, non riuscivo a vedere il volto a cui apparteneva la voce.

      Ava però la riconobbe. “Jacoby, siediti, meh son.” Diede una pacca alla sedia rivestita in ecopelle accanto a lei. Che piccola quest’isola.

      Darren Jacoby, ancora in uniforme, si sedette davanti ad Ava e i due si scambiarono baci sulla guancia.

      “Salve, signora Connell,” disse, da sopra la spalla.

      Sembrava proprio non volesse chiamarmi Katie. E vabbè. “Salve, Agente Jacoby.”

      “Non posso fermarmi a lungo,” disse ad Ava. “Sono in servizio. Il mio turno finisce alle dieci. Ero qui di pattuglia, quando ti ho vista. Cosa fate?”

      “Siamo state dall’investigatore privato che ci ha consigliato,” dissi al suo profilo.

      Si girò verso di me, senza espressione sul viso. “Beh, spero che si dimostri utile. Quando torna negli Stati Uniti?”

      Non andava per il sottile. “Tra cinque giorni,” dissi.

      “Faccia attenzione, allora.” Spostò nuovamente l’attenzione su di Ava. “Vuoi fare qualcosa dopo? Ho il DVD di Love and Basketball.”

      Oh mamma, ancora meno per il sottile. Ormai poteva anche farle un cartellone.

      “Oh, Jacoby, non posso. Ho un appuntamento.”

      Strinse la mascella e la rabbia gli riempì gli occhi così velocemente che quasi non me ne accorsi. “Sempre con qualcuno, eh, Ava?” Rilassò la mascella. Le sue grandi spalle si fecero piccoline. “Beh, un’altra volta.”

      “Certo,” rispose.

      “Me ne vado, allora.”

      Si scambiarono di nuovo baci sulle guance, lui si girò, chino il capo verso di me e se ne andò, con la sua stazza da orso delle nevi. Non mi piaceva molto, ma mi dispiaceva comunque per lui.

      Ava aveva una faccia triste. “Non cambia mai. Non si arrende facilmente.” Tirò fuori il telefono e disse, “Fammi controllare per l’appuntamento”. Qualche click più tardi, disse, “Guy ha prenotato una stanza qui, sulla collina. Una suite. Oh là là.”

      “Me lo farai conoscere?” chiesi.

      “No. È molto discreto su di noi.” Indicò l’anulare della mano sinistra e sussurrò la parola sposato. “Non mi contatta nemmeno personalmente. È come avere una relazione con il suo assistente, Eduardo.”

      “Mi dispiace,” dissi, dal momento che non sapevo che altro dire. Sembrava un viscidone.

      “Oh, va tutto bene,” disse Ava, allontanando con la mano il problema immaginario. “È un senatore. Le persone lo conoscono. È un’isola piccola.”

      L’avevo notato.

      Ripensai a come mi sentivo quando Nick mi ignorava in pubblico. E non eravamo nemmeno in una “relazione”. Anche Jacoby non stava con Ava, ma questo non gli impediva di avere opinioni forti sui suoi appuntamenti. “Ma non ti fa stare male?”

      Ava serrò le labbra. “Non lo amo, Katie. È carino, e sta cercando di far girare uno show televisivo sull’isola, con la sottoscritta come protagonista. Otteniamo ciò che vogliamo l’uno dall’altra. Preferisco la ricchezza al potere, comunque, e lui non è ricco.” Prese un altro sorso di champagne.

      Sistemai i capelli dietro le orecchie. Uno show televisivo? Il senatore Guy doveva essere il mio compagno di bevute sull’aereo. Decisi di non raccontaglielo, dal momento che ci aveva provato spudoratamente con me. Ehi, se il loro accordo stava bene ad Ava, avrei dovuto farlo stare bene anche a me. Forse sarei più felice se fossi distaccata quanto lei. Forse. Ma probabilmente no.

      “Quindi, chi è il ragazzo sbagliato che mi dicevi?” disse.

      “Cosa?” chiesi, pensando per un momento che stessimo ancora parlando del suo ragazzo sbagliato.

      “Quello per cui non dovresti struggerti.”

      Ah, lui. Feci segno alla cameriera di portare più champagne. Poi, scrupolosamente, iniziai a raccontare la storia, cercando di non attivare nessuna bomba che potesse far andare in frantumi lo statuto di pace tra me e Nick.

      Ava disse, “Stai meglio senza di lui. Mi prenderò cura io di te, e troverò un uomo che possa farti tenere la mente occupata questa settimana.”

      “Niente uomini, Ava.”

      “Uhm. Quindi continuerai a struggerti? Sembra che tu non voglia allontanarti da lui.”

      “Non mi struggerò. Mi voglio allontanare. Davvero.”

      Ava non sembrò convinta. “Se lo dici tu, Katie. Se lo dici tu.”

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