Sumalee. Storie Di Trakaul. Javier Salazar Calle
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«Grazie. Vedo che sei preparata. Brava, così mi piace. E tu come ti chiami?» chiesi rivolgendomi al quarto amico. «Sono sempre David ...», dissi sorridendo.
«Mi chiamo Pamos, Juan Pamos», rispose imitando lo stile di James Bond.
«Stai attento con lui, David», mi avvertì Dámaso. «È un playboy. Dovrebbe essere uno specialista di cinema, ma non so se ha mai iniziato la sua professione. I suoi genitori sono ricchi uomini d'affari che si occupano di questioni legate all'esportazione, ma va semplicemente di festa in festa e flirta con tutte le ragazze che può; anche se sono fidanzate. Rinuncia alle feste solo per giocare a golf con me e Nacho.»
«Golf? È chiaro come hai conosciuto i tuoi amici. Beh, sono solo qui, senza una compagna, e non sono una ragazza; quindi, non ho nulla di cui preoccuparmi. Forse puoi presentarmi a una tua bella amica ...», risi di gusto.
Restai un bel po' a chiacchierare con tutti, colleghi e nuove conoscenze. Più tardi, durante una passeggiata verso il bagno, un uomo con un accento inglese mi si avvicinò e mi offrì non so quale sostanza che non conoscevo ma che era senza dubbio una specie di droga. Rifiutai con decisione e proseguii per la mia strada. Non avevo mai preso droghe, nemmeno nei miei giorni più ribelli, né volevo iniziare adesso. Non mi piaceva che qualcosa controllasse la mia vita e quella era la strada giusta diventare schiavo della mia dose quotidiana. In questo ero molto radicale. Non fumavo nemmeno, anche se lo avevo fatto per un po', ma dovetti smettere perché era incompatibile con l'esercizio fisico che praticavo e, anche se bevevo, non avevo mai permesso che l'alcol mi facesse perdere il controllo di me stesso. A volte i miei amici mi prendevano in giro, soprattutto Dámaso, che si prendeva delle sbornie da campionato, ma mi era sempre piaciuto sentire di avere il controllo delle situazioni. Ero un po' ossessivo al riguardo.
Quando tornai, mi offrii di andare a prendere qualcosa da bere a Tere e al mio collega, il matto Jérôme. Mentre ero al bar ad aspettare che un cameriere mi servisse, una ragazza molto carina dall'aspetto thailandese o simile mi si fermò accanto. I suoi lunghi capelli castani erano pettinati in due trecce che le scendevano sul seno. Indossava un berretto di stoffa verde e una canotta verde. Con un viso tondo e un bel sorriso evidenziato con labbra dipinte di un colore rosso molto tenue. I suoi occhi erano marrone scuro, leggermente obliqui, ma non troppo sottili. Abbastanza alta, circa un metro e ottanta ed era magra. Non potrei dire di essermi innamorato a prima vista, sarebbe sciocco, ma i miei ormoni maschili iberici fecero un triplo salto mortale; soprattutto quando si voltò verso di me parlandomi in un inglese perfetto con una voce dolce e musicale che riuscii a sentire solo perché coincideva con un calo del volume della musica.
«Scusa, non ti sarò passata davanti?»
«No, certo che no! Non ti preoccupare. Sto ancora aspettando di essere servito. Ordina per prima, non devi far aspettare il tuo accompagnatore.»
«Il mio accompagnatore? No, sono da sola. Sono venuta con un'amica, ma è dovuta andare via ... Aspetta! Era una strategia per scoprirlo, giusto?»
«Beh, mi hai beccato», ammisi, sorridendole «Anche se trovo difficile credere che una donna così bella non abbia compagnia.»
Sembrò molto divertita dal mio commento e iniziò a ridere con una risata canterina che mi affascinò subito. Per qualche istante restammo in silenzio a guardarci.
«Scusa, non mi sono presentato», dissi, reagendo. «Il mio nome è David, sono uno degli espatriati spagnoli omaggiati da questa festa.»
«Spagnolo? Per il tuo inglese, pensavo fossi un americano...», affermò atteggiando la bocca ad un piccolo broncio.
«Questo perché mia madre è americana. Di Boerne, una cittadina di 10.000 abitanti in Texas vicino a San Antonio. Un paradiso escursionistico ricco di percorsi bellissimi, anche se non belli quanto te, che non ho mai visto in vita mia. Come ti chiami? Penso che ti sia dimenticata di dirmelo, o è un segreto?»
«No, no, non è un segreto. Mi chiamo Sumalee, Sumalee Sintawichai. In thailandese il mio nome significa bel fiore.»
«Bel fiore? Mi risparmierò il facile complimento, ma ovviamente è un nome perfetto per te. Dicono che la Thailandia sia il Paese dei sorrisi. Se tutti hanno un sorriso bello come te, deve essere davvero il Paradiso.»
«È difficile non sorridere ad un ragazzo come te», rispose.
Giuro che il sorriso che mi rivolse valeva una guerra. Era incantevole. Era chiaro che questa donna aveva catturato la mia attenzione.
«Hai detto Simalee Sintawachi?» gridai, cercando di sovrastare il rumore intorno a me. «Faccio fatica a memorizzarlo.»
«No, Sumalee Sintawichai», ripeté, avvicinandosi al mio orecchio per non dover urlare e facendomi venire la pelle d'oca. «Anche se per ora basterà Sumalee. Inoltre, non voglio che la tua testa esploda il primo giorno.»
Il primo giorno? Voleva che ci vedessimo di nuovo? Perché io sì lo volevo, questo mi era chiaro. Tutto il possibile. Una ragazza così carina l'avevo sempre voluta al mio fianco. Non replicai nulla al suo commento e la invitai ad unirsi a noi. Accettò con piacere a condizione che io non la lasciassi mai da sola. Non mi costò affatto accettare le sue condizioni e, una volta ordinato il bicchiere di Jérôme e quello di Tere, e uno che offrii a lei, andammo verso il gruppo. La presentai a tutti i miei colleghi e rimasi stupito di quanto fosse a suo agio di fronte a così tanti sconosciuti. Quando fu il turno di Dámaso, che era già ubriaco per l'alcol, lui cominciò a gridarle complimenti per farsi sentire ed io dovetti fermarlo.
«Stai fermo, bestia! Tieni a posto le mani se non vuoi che te le tagli. Conserva il tuo fascino per un'altra donna. Sumalee è con me stasera. Abbiamo fatto un accordo, giusto?»
«Certo che sì. Solo per te», disse mentre mi strizzava l'occhio maliziosamente e mi afferrava il braccio. «Oggi abbiamo deciso di non separarci nemmeno per un istante.»
Dámaso, Jérôme, Josele e Diego mi guardavano stupiti. Non sapevano se pensare che avessi vinto alla lotteria o se dietro tanta fortuna ci fosse una trappola. A me non importava, volevo solo che quella notte durasse per sempre. Mi sentivo euforico. Ero appena arrivato e avevo già conosciuto una ragazza. Era chiaro che i miei sette anni con Cristina non mi avevano fatto perdere la mia leggendaria abilità con le donne.
Passammo l'intera festa a parlare senza sosta. Ci sentivamo molto a nostro agio insieme, come se ci conoscessimo da sempre. Mi raccontò che lavorava in un'agenzia di viaggi, preparando viaggi organizzati principalmente per la Thailandia, il suo Paese, o per i thailandesi verso Singapore. Aveva dovuto andarsene perché sua madre era malata e lei aveva bisogno di guadagnare molti soldi per pagare le cure. In Thailandia aveva un buon lavoro, ma gli stipendi erano molto bassi ed era venuta a Singapore su consiglio di un'amica. Con quello che risparmiava, riusciva ad inviare a casa abbastanza soldi per le medicine della madre. Era originaria di una zona chiamata Chiang Rai, nel nord del Paese, quasi al confine con Myanmar e Laos. La sua famiglia era povera e aveva dovuto lottare molto per ottenere una borsa di studio e studiare Marketing all'Università di Thammasat. Dopo la laurea, aveva ottenuto un buon lavoro in una grande azienda, ma gli stipendi erano troppo bassi e questo l'aveva spinta a venire a Singapore, fortunatamente per me.
Avevamo molto in comune. Entrambi amavamo lo sport, viaggiare, leggere, provare cose nuove, l'avventura, tutto ciò che riguardava lo spazio ... Come se fossimo due anime gemelle. Non potevo credere alla mia fortuna. Quella notte prometteva di essere una festa.
Non so a che ora della serata arrivammo a quella situazione, ma quando me ne resi conto, continuammo a parlare con la sua mano destra appoggiata