Maria (Italiano). Jorge Isaacs

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Maria (Italiano) - Jorge Isaacs

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Camminammo lentamente e in silenzio verso la casa, e la mia anima e quella di Maria non solo furono commosse dalla lettura, ma furono sopraffatte dal presentimento.

      Capitolo XIV

      Dopo tre giorni, una sera, scendendo dalla montagna, mi sembrò di notare un sussulto nei volti dei domestici che incontravo nei corridoi interni. Mia sorella mi disse che Maria aveva avuto un attacco di nervi e, aggiungendo che era ancora insensibile, cercò di placare il più possibile la mia dolorosa ansia.

      Dimenticando ogni precauzione, entrai nella camera da letto dove si trovava Maria e, dominando la frenesia che mi avrebbe spinto a stringerla al cuore per riportarla in vita, mi avvicinai sconcertata al suo letto. Ai piedi di esso sedeva mio padre: fissò su di me uno dei suoi intensi sguardi e poi, rivolgendolo a Maria, sembrò volermi rimproverare mostrandomela. Mia madre era lì; ma non alzò gli occhi per cercarmi, perché, conoscendo il mio amore, mi compianse come una buona madre compiange il proprio figlio, come una buona madre compiange il proprio figlio in una donna amata dal proprio figlio.

      Rimasi immobile a guardarla, senza osare scoprire cosa avesse. Era come addormentata: il suo volto, coperto da un pallore mortale, era seminascosto dai capelli scompigliati, nei quali erano stati accartocciati i fiori che le avevo regalato la mattina; la fronte contratta rivelava una sofferenza insopportabile, e una leggera sudorazione le inumidiva le tempie; le lacrime avevano cercato di sgorgare dagli occhi chiusi, che luccicavano sulle ciglia.

      Mio padre, comprendendo tutta la mia sofferenza, si alzò in piedi per ritirarsi; ma prima di andarsene si avvicinò al letto e, tastando il polso di Maria, disse:

      –È tutto finito. Povera bambina! È esattamente lo stesso male di cui soffriva sua madre.

      Il petto di Maria si sollevò lentamente come per formare un singhiozzo, e tornando al suo stato naturale, espirò solo un sospiro. Mio padre se ne andò, mi misi alla testa del letto e, dimenticando mia madre ed Emma, che rimasero in silenzio, presi una mano di Maria dal cuscino e la bagnai con il torrente delle mie lacrime fino ad allora trattenute. Misurò tutta la mia disgrazia: era la stessa malattia di sua madre, che era morta molto giovane di un'epilessia incurabile. Questa idea si impossessò di tutto il mio essere per spezzarlo.

      Sentii qualche movimento in quella mano inerte, alla quale il mio respiro non riusciva a restituire il calore. Maria cominciava già a respirare più liberamente e le sue labbra sembravano lottare per pronunciare una parola. Muoveva la testa da un lato all'altro, come se cercasse di liberarsi di un peso opprimente. Dopo un attimo di riposo, balbettò parole incomprensibili, ma alla fine il mio nome fu chiaramente percepito tra di esse. Mentre ero in piedi, con lo sguardo che la divorava, forse strinsi troppo le mie mani nelle sue, forse le mie labbra la chiamarono. Lei aprì lentamente gli occhi, come ferita da una luce intensa, e li fissò su di me, sforzandosi di riconoscermi. Un attimo dopo si alzò a sedere: "Cosa c'è?", disse, prendendomi in disparte; "Cosa mi è successo?", continuò, rivolgendosi a mia madre. Cercammo di rassicurarla, e con un accento in cui c'era qualcosa di rimprovero, che al momento non riuscivo a spiegarmi, aggiunse: "Vedete, avevo paura.

      Dopo l'accesso, era dolorante e profondamente rattristata. Tornai a trovarla la sera, quando l'etichetta stabilita in questi casi da mio padre lo permetteva. Mentre la salutavo, tenendomi per un attimo la mano, mi disse: "Ci vediamo domani", e sottolineò quest'ultima parola come era solita fare ogni volta che la nostra conversazione si interrompeva in qualche serata, aspettando il giorno dopo per concluderla.

      Capitolo XV

      Mentre uscivo nel corridoio che conduceva alla mia stanza, una brezza impetuosa faceva ondeggiare i salici del cortile; e avvicinandomi al frutteto, la sentii squarciare gli aranceti, da cui sfrecciavano gli uccelli spaventati. Deboli lampi, come il riflesso istantaneo di una fibbia ferita dal bagliore di un fuoco, sembravano voler illuminare il cupo fondo della valle.

      Appoggiata a una delle colonne del corridoio, senza sentire la pioggia che mi sferzava le tempie, pensai alla malattia di Maria, sulla quale mio padre aveva pronunciato parole così terribili; i miei occhi volevano rivederla, come nelle notti silenziose e serene che forse non sarebbero mai più tornate!

      Non so quanto tempo fosse passato, quando qualcosa come l'ala vibrante di un uccello venne a sfiorarmi la fronte. Guardai verso il bosco circostante per seguirlo: era un uccello nero.

      La mia stanza era fredda; le rose alla finestra tremavano come se temessero di essere abbandonate ai rigori del vento tempestoso; il vaso conteneva già i gigli appassiti e svenevoli che Maria vi aveva posto al mattino. In quel momento, una folata di vento spense improvvisamente la lampada; e un tuono che si alzava rimbombò a lungo, come se fosse quello di un gigantesco carro che precipitava dalle cime rocciose della montagna.

      In mezzo a quella natura singhiozzante, la mia anima aveva una triste serenità.

      L'orologio del salotto aveva appena battuto le dodici. Sentii dei passi vicino alla porta e poi la voce di mio padre che mi chiamava. "Alzati", disse appena risposi; "Maria non sta ancora bene.

      L'accesso era stato ripetuto. Dopo un quarto d'ora ero pronto a partire. Mio padre mi stava dando le ultime indicazioni sui sintomi della malattia, mentre il piccolo Juan Angel nero tranquillizzava il mio cavallo impaziente e spaventato. Montai; i suoi zoccoli scricchiolavano sul selciato e un attimo dopo scendevo verso le pianure della valle, cercando il sentiero alla luce di alcuni lampi lividi. Ero alla ricerca del dottor Mayn, che stava trascorrendo una stagione in campagna a tre leghe dalla nostra fattoria.

      L'immagine di Maria come l'avevo vista a letto quel pomeriggio, mentre mi diceva: "Ci vediamo domani", che forse non sarebbe venuta, mi accompagnava e, accelerando la mia impazienza, mi faceva misurare incessantemente la distanza che mi separava dalla fine del viaggio; un'impazienza che la velocità del cavallo non bastava a moderare,

      Le pianure cominciarono a scomparire, fuggendo nella direzione opposta alla mia corsa, come immense coperte spazzate via dall'uragano. Le foreste che credevo più vicine a me sembravano allontanarsi mentre avanzavo verso di loro. Solo il gemito del vento tra gli ombrosi alberi di fico e i chiminangos, solo il respiro affannoso del cavallo e lo sferragliare dei suoi zoccoli sulle selci scintillanti, interrompevano il silenzio della notte.

      Alcune capanne di Santa Elena erano alla mia destra e poco dopo ho smesso di sentire l'abbaiare dei loro cani. Le mucche addormentate sulla strada cominciarono a farmi rallentare.

      La bella casa dei signori di M***, con la sua cappella bianca e i suoi boschetti di ceiba, si intravedeva in lontananza ai primi raggi della luna crescente, come un castello le cui torri e i cui tetti si erano sgretolati con il passare del tempo.

      L'Amaime stava salendo con le piogge della notte, e il suo fragore me lo annunciò molto prima che raggiungessi la riva. Alla luce della luna che, bucando le fronde delle rive, andava ad argentare le onde, potei vedere quanto fosse aumentata la sua portata. Ma non potevo aspettare: avevo fatto due leghe in un'ora, ed era ancora troppo poco. Misi gli speroni ai posteriori del cavallo che, con le orecchie rivolte verso il fondo del fiume e sbuffando sordamente, sembrava calcolare l'impeto delle acque che gli sferzavano i piedi: vi affondò le mani e, come vinto da un terrore invincibile, si rigirò sulle gambe. Gli accarezzai il collo, gli inumidii la criniera e lo spinsi di nuovo nel fiume; allora alzò le mani con impazienza, chiedendo allo stesso tempo tutta la corda, che gli diedi, temendo di aver mancato la buca. Risalì la riva per una ventina di canne, prendendo il fianco di una rupe; avvicinò il naso alla schiuma e, sollevandolo subito, si tuffò nel torrente. L'acqua mi copriva quasi interamente, arrivando fino alle ginocchia. Le onde si arricciarono presto intorno alla mia vita. Con una mano accarezzai il collo dell'animale, l'unica parte visibile del suo corpo, mentre con l'altra cercai di fargli descrivere la linea di taglio più curva verso l'alto, perché altrimenti, avendo perso la parte inferiore del pendio, era inaccessibile a causa della sua altezza

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