Senilità. Italo Svevo

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Senilità - Italo  Svevo

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che nei lunghi anni il suo desiderio aveva maturate e affinate, ma, facendole, egli stesso le sentiva rinnovellare e ringiovanire come se fossero nate in quell’istante, al calore dell’occhio azzurro di Angiolina. Ebbe il sentimento che da tanti anni non aveva provato, di comporre, di trarre dal proprio intimo idee e parole: un sollievo che dava a quel momento della sua vita non lieta, un aspetto strano, indimenticabile, di pausa, di pace. La donna vi entrava! Raggiante di gioventù e bellezza ella doveva illuminarla tutta facendogli dimenticare il triste passato di desiderio e di solitudine e promettendogli la gioia per l’avvenire ch’ella, certo, non avrebbe compromesso.

      Egli s’era avvicinato a lei con l’idea di trovare un’avventura facile e breve, di quelle che egli aveva sentito descrivere tanto spesso e che a lui non erano toccate mai o mai degne di essere ricordate. Questa s’era annunziata proprio facile e breve. L’ombrellino era caduto in tempo per fornirgli un pretesto di avvicinarsi ed anzi – sembrava malizia! – impigliatosi nella vita trinata della fanciulla, non se n’era voluto staccare che dopo spinte visibilissime. Ma poi, dinanzi a quel profilo sorprendentemente puro, a quella bella salute – ai rétori corruzione e salute sembrano inconciliabili – aveva allentato il suo slancio, timoroso di sbagliare e infine s’incantò ad ammirare una faccia misteriosa dalle linee precise e dolci, già soddisfatto, già felice.

      Ella gli aveva raccontato poco di sé e per quella volta, tutto compreso del proprio sentimento, egli non udì neppure quel poco. Doveva essere povera, molto povera, ma per il momento – lo aveva dichiarato con una certa quale superbia – non aveva bisogno di lavorare per vivere. Ciò rendeva l’avventura anche più gradevole, perché la vicinanza della fame turba là dove ci si vuol divertire. Le indagini di Emilio non furono dunque molto profonde ma egli credette che le sue conclusioni logiche, anche poggiate su tali basi, dovessero bastare a rassicurarlo. Se la fanciulla, come si sarebbe dovuto credere dal suo occhio limpido, era onesta, certo non sarebbe stato lui che si sarebbe esposto al pericolo di depravarla; se invece il profilo e l’occhio mentivano, tanto meglio. C’era da divertirsi in ambedue i casi, da pericolare in nessuno dei due.

      Angiolina aveva capito poco delle premesse, ma, visibilmente, non le occorrevano commenti per comprendere il resto; anche le parole più difficili avevano un suono di carattere non ambiguo. I colori della vita risaltarono sulla bella faccia e la mano di forma pura, quantunque grande, non si sottrasse a un bacio castissimo d’Emilio.

      Si fermarono a lungo sul terrazzo di S. Andrea e guardarono verso il mare calmo e colorito nella notte stellata, chiara ma senza luna. Nel viale di sotto passò un carro e, nel grande silenzio che li circondava, il rumore delle ruote sul terreno ineguale continuò a giungere fino a loro per lunghissimo tempo. Si divertirono a seguirlo sempre più tenue finché proprio si fuse nel silenzio universale, e furono lieti che per tutt’e due fosse scomparso nello stesso istante. – Le nostre orecchie vanno molto d’accordo, – disse Emilio sorridendo.

      Egli aveva detto tutto e non sentiva più alcun bisogno di parlare. Interruppe un lungo silenzio per dire: – Chissà se quest’incontro ci porterà fortuna! – Era sincero. Aveva sentito il bisogno di dubitare della propria felicità ad alta voce.

      – Chissà? – replicò essa con un tentativo di rendere nella propria voce la commozione che aveva sentita nella sua. Emilio sorrise di nuovo ma di un sorriso che credette di dover celare. Date le premesse da lui fatte, che razza di fortuna poteva risultare ad Angiolina dall’averlo conosciuto?

      Poi si lasciarono. Ella non volle ch’egli l’accompagnasse in città ed egli la seguì a qualche distanza non sapendo ancora staccarsene del tutto. Oh, la gentile figura! Ella camminava con la calma del suo forte organismo, sicura sul selciato coperto da una fanghiglia sdrucciolevole; quanta forza e quanta grazia unite in quelle movenze sicure come quelle di un felino.

      Volle il caso che subito il giorno dopo egli risapesse sul conto dell’Angiolina ben più di quanto ella gli avesse detto.

      S’imbatté in lei a mezzodì, nel Corso. La inaspettata fortuna gli fece fare un saluto giocondo, un grande gesto che portò il cappello a piccola distanza da terra; ella rispose con un lieve inchino della testa, ma corretto da un’occhiata brillante, magnifica.

      Un certo Sorniani, un omino giallo e magro, gran donnaiuolo, a quanto dicevasi, ma certo anche vanesio e linguacciuto a scapito del buon nome altrui e del proprio, si appese al braccio di Emilio e gli chiese come mai conoscesse quella ragazza. Erano amici fin da ragazzi ma da parecchi anni non s’erano parlati e doveva passare fra di loro una bella donna perché il Sorniani sentisse il bisogno di avvicinarglisi.

      – L’ho trovata in casa di conoscenti, – rispose Emilio.

      – E che cosa fa adesso? – chiese Sorniani facendo capire di conoscere il passato di Angiolina e d’essere veramente indignato di non conoscerne il presente.

      – Non lo so, io – e aggiunse con indifferenza ben simulata: – A me fece l’impressione di una ragazza a modo.

      – Adagio! – fece il Sorniani risolutamente come se avesse voluto asserire il contrario, e soltanto dopo una breve pausa si corresse: – Io non ne so nulla e quando la conobbi tutti la credevano onesta quantunque una volta si fosse trovata in una posizione alquanto equivoca. – Senza che Emilio avesse bisogno di stimolarlo più oltre, raccontò che quella poveretta era passata vicino ad una grande fortuna convertitasi poscia , per sua o per colpa altrui, in una sventura non piccola. Nella prima giovinezza aveva innamorato profondamente un certo Merighi, bellissimo uomo, – Sorniani lo riconosceva quantunque a lui non fosse piaciuto – e agiato commerciante. Costui le si era avvicinato con i propositi più onesti; l’aveva levata dalla famiglia che non gli piaceva troppo e fatta accogliere in casa dalla propria madre. – Dalla propria madre! – esclamava Sorniani – Come se quello sciocco – gli premeva di far apparire sciocco l’uomo e disonesta la donna – non si fosse potuta godere la ragazza anche fuori di casa, non sotto gli occhi della madre. Poi, dopo qualche mese, Angiolina ritornò nella casa donde non sarebbe mai dovuta uscire e Merighi con la madre abbandonò la città dando a credere di essere impoverito in seguito a speculazioni sbagliate. Secondo altri la cosa sarebbe proceduta in modo un po’ diverso. La madre del Merighi, scoperta una tresca vergognosa di Angiolina, avrebbe scacciata di casa la ragazza. – Non richiesto fece poi delle altre variazioni sullo stesso tema.

      Ma era troppo evidente ch’egli si compiaceva di sbizzarrirsi su quell’argomento eccitante e il Brentani non ritenne che le parole cui poteva prestare fede intera, i fatti che dovevano essere notorii. Egli aveva conosciuto di vista il Merighi e ne ricordava la figura alta d’atleta, il vero maschio per Angiolina. Rammentava di averlo sentito descrivere, anzi biasimare, quale un idealista nel commercio: un uomo troppo ardito, convinto di poter conquistare il mondo con la sua attività. Infine, dalle persone con le quali aveva da fare giornalmente nel suo impiego, aveva saputo che quell’arditezza era costata cara al Merighi il quale aveva finito col dover liquidare la sua azienda in condizioni disastrose. Il Sorniani perciò parlava al vento perché Emilio ora credeva di poter conoscere con esattezza l’accaduto. Al Merighi impoverito e sfiduciato era mancato il coraggio di fondare una nuova famiglia e così Angiolina, che doveva diventare la donna borghese ricca e seria, finiva nelle sue mani, un giocattolo. Ne sentì una profonda compassione.

      Il Sorniani aveva assistito egli stesso a delle manifestazioni d’amore del Merighi. Lo aveva visto, parecchie volte, di domenica, sulla soglia della chiesa di Sant’Antonio Vecchio, attendere lungamente che ella avesse fatte le sue preghiere inginocchiata presso all’altare, tutt’assorto a guardare quella testa bionda, lucente anche nella penombra.

      «Due adorazioni », pensò commosso il Brentani cui era già facile d’intuire la tenerezza dalla quale il Merighi era inchiodato sulla soglia di quella chiesa.

      – Un imbecille – concluse il Sorniani

      L’importanza dell’avventura crebbe agli occhi

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