Senilità. Italo Svevo
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Il Balli stette a udirlo con l’aspetto più evidente della meraviglia. Era l’amico del Brentani da oltre dieci anni, e per la prima volta lo vedeva accalorarsi per una donna. Se ne impensierì scorgendo subito il pericolo da cui il Brentani era minacciato.
L’altro protestò: – Io in pericolo, alla mia età e con la mia esperienza? – Il Brentani parlava spesso della sua esperienza. Ciò ch’egli credeva di poter chiamare così era qualche cosa ch’egli aveva succhiato dai libri, una grande diffidenza e un grande disprezzo dei propri simili.
Il Balli invece aveva impiegati meglio i suoi quarant’anni suonati, e la sua esperienza lo rendeva competente a giudicare di quella dell’amico. Era men colto, ma aveva sempre avuto su lui una specie d’autorità paterna, consentita, voluta da Emilio, il quale, ad onta del suo destino poco lieto ma per nulla minaccioso, e della sua vita in cui non v’era niente di imprevisto, abbisognava di puntelli per sentirsi sicuro.
Stefano Balli era un uomo alto e forte, l’occhio azzurro giovanile su una di quelle faccie dalla cera bronzina che non invecchiano: unica traccia della sua età era la brizzolatura dei capelli castani, la barba appuntata con precisione, tutta la figura corretta e un po’ dura. Era talvolta dolce il suo occhio da osservatore quando lo animava la curiosità o la compassione, ma diveniva durissimo nella lotta e nella discussione più futile.
Il successo non era arriso nemmeno a lui. Qualche giuria, respingendo i suoi bozzetti, ne aveva lodata questa o quella parte, ma nessun suo lavoro aveva trovato posto su qualcuna delle tante piazze d’Italia. Egli però non aveva mai sentito l’abbattimento dell’insuccesso. S’accontentava del consenso di qualche singolo artista ritenendo che la propria originalità dovesse impedirgli il successo largo, l’approvazione delle masse, e aveva continuato a correre la sua via dietro a un certo ideale di spontaneità, a una ruvidezza voluta, a una semplicità o, come egli diceva, perspicuità d’idea da cui credeva dovesse risultare il suo «io » artistico depurato da tutto ciò ch’era idea o forma altrui. Non ammetteva che il risultato del suo lavoro potesse avvilirlo, ma i ragionamenti non lo avrebbero salvato dallo sconforto, se un successo personale inaudito non gli avesse date delle soddisfazioni ch’egli celava, anzi negava, ma che aiutavano non poco a tener eretta la sua bella figura slanciata. L’amore delle donne era per lui qualcosa di più che una soddisfazione di vanità ad onta che, ambizioso, prima di tutto, egli non sapesse amare. Era il successo quello o gli somigliava di molto; per amore dell’artista le donne amavano anche l’arte sua che pure era tanto poco femminea. Così, avendo profondissima la convinzione della propria genialità, e sentendosi ammirato e amato, egli conservava con tutta naturalezza il suo contegno di persona superiore. In arte aveva dei giudizi aspri e imprudenti, in società un contegno poco riguardoso. Gli uomini lo amavano poco ed egli non avvicinava che coloro cui aveva saputo imporsi.
Circa dieci anni prima, s’era trovato fra’ piedi Emilio Brentani, allora giovinetto, un egoista come lui ma meno fortunato, e aveva preso a volergli bene. Da principio lo predilesse soltanto per la ragione che se ne sentiva ammirato; molto più tardi l’abitudine glielo rese caro, indispensabile. La loro relazione ebbe l’impronta dal Balli. Divenne più intima di quanto Emilio per prudenza avrebbe desiderato, intima come tutte le poche relazioni dello scultore, e i loro rapporti intellettuali restarono ristretti alle arti rappresentative nelle quali andavano perfettamente d’accordo perché in quelle arti esisteva una sola idea, quella cui s’era votato il Balli, la riconquista della semplicità o ingenuità che i cosidetti classici ci avevano rubate. Accordo facile; il Balli insegnava, l’altro non sapeva neppure apprendere. Fra loro non si parlava mai delle teorie letterarie complesse di Emilio, poiché il Balli detestava tutto ciò che ignorava, ed Emilio subì l’influenza dell’amico persino nel modo di camminare, parlare, gestire. Uomo nel vero senso della parola, il Balli non riceveva e quando si trovava accanto il Brentani, poteva avere la sensazione d’essere accompagnato da una delle tante femmine a lui soggette.
– Infatti – disse dopo di aver uditi da Emilio tutti i particolari dell’avventura, – un certo pericolo non dovrebbe esserci. Il carattere dell’avventura è già fissato da quell’ombrellino scivolato tanto opportunamente di mano e dall’appuntamento subito accordato.
– E vero, – confermò Emilio il quale però non disse come a quei due particolari egli avesse dato tanto poca importanza che essi, rilevati dal Balli, lo avevano sorpreso come dei fatti nuovi. – Credi dunque che il Sorniani abbia ragione? – Nel suo giudizio sulle comunicazioni del Sorniani egli certo non aveva tenuto conto di quei fatti.
– Me la presenterai – disse il Balli prudentemente – e poi giudicheremo.
Il Brentani non seppe tacere neppure con sua sorella. La signorina Amalia non era stata mai bella: lunga, secca, incolore il Balli diceva che era nata grigia – di fanciulla non le erano rimaste che le mani bianche, sottili, tornite meravigliosamente, alle quali ella dedicava tutte le sue cure.
Era la prima volta ch’egli le parlava di una donna, e Amalia stette ad ascoltare, sorpresa e con la cera subito mutata, quelle parole ch’egli credeva oneste, caste , ma che in bocca sua erano pregne di desiderio e di amore. Egli non aveva raccontato nulla, ed ella, già spaventata, aveva mormorata l’ammonizione del Balli: – Bada di non fare delle sciocchezze.
Ma poi volle ch’egli le raccontasse tutto, ed Emilio credette di poter confidare la sua ammirazione e la felicità provata quella prima sera, tacendo dei suoi propositi e delle sue speranze. Non s’accorgeva che quella che diceva era la parte più pericolosa. Ella stette ad ascoltarlo, servendolo muta e pronta a tavola acciocché egli non avesse da interrompersi per chiedere una cosa o l’altra. Certo, col medesimo aspetto, ella aveva letto quel mezzo migliaio di romanzi che facevano bella mostra di sé, nel vecchio armadio adattato a biblioteca, ma il fascino che veniva ora esercitato su lei – ella, sorpresa, già lo sapeva – era del tutto differente. Ella non era passiva ascoltatrice, non era il fato altrui che l’appassionasse; il proprio destino intensamente si ravvivava. L’amore era entrato in casa e le viveva accanto, inquieto, laborioso. Con un solo soffio aveva dissipata l’atmosfera stagnante in cui ella, inconscia, aveva passati i suoi giorni ed ella guardava dentro di sé sorpresa ch’essendo fatta così, non avesse desiderato di godere e di soffrire.
Fratello e sorella entravano nella medesima avventura.
II
Ad onta dell’oscurità, la riconobbe subito alla svolta del Campo Marzio. Per riconoscerla gli sarebbe bastato oramai di vederne procedere l’ombra con quel movimento senza ritmo perché senza scosse, il procedere di un corpo portato da mano sicura, affettuosamente. Le corse incontro e dinanzi al colore sorprendente di quella faccia, strano colore, intenso, eguale, senza macchia, sentì salirsi dal petto un inno di gioia. Ella era venuta e quando si poggiò al suo braccio, a lui parve gli si desse tutta.
La condusse verso il mare, lontano dal viale ove si muovevano ancora alcuni passanti, e, alla spiaggia, si sentiron ben soli. Avrebbe voluto baciarla subito ma non osò ad onta ch’ella, che non aveva detto parola, gli sorridesse incoraggiante. Già l’idea che osando avrebbe potuto posarle le labbra sugli occhi o sulla bocca, lo commosse profondamente, gli tolse il fiato.
– Oh, perché ha tardato tanto? Temevo ch’ella non venisse. – Parlava così, ma il suo risentimento era dimenticato; come certi animali, in amore sentiva il bisogno di lagnarsi. Tant’è vero che poi gli parve d’aver spiegato il suo malcontento con le parole gioconde: – Mi pare impossibile d’averla qui accanto a me. – La riflessione gli diede intero il sentimento della sua felicità. – Ed io credeva non ci potesse essere una serata più bella di quella della settimana scorsa. – Oh, era tanto più lieto ora che poteva gioire della conquista già fatta.
Troppo