Il tenente dei Lancieri. Gerolamo Rovetta

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Il tenente dei Lancieri - Gerolamo Rovetta

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poi – rispose forte e in fretta per finirla – un conto di cravatte, due o tre paia di guanti e dodici lire alla confetteria di Santa Margherita.

      – E altro?

      La signora Maddalena, per quanto avara, pareva desiderasse, in quel momento, che il figlio avesse un monte di debiti.

      – Proprio nient’altro? – domandò con una strizzatina d’occhi significante. – E… la signorina del ritratto?

      – Questo è affar mio. Quanto ai miei debiti, se ti paion pochi, non posso inventarne degli altri per farti piacere.

      – Eh, eh! signorino! – Non le pare che ce ne sia abbastanza?

      La signora Maddalena, a poco a poco riprendeva il sopravvento sulla madre.

      – Che cosa si può sperare, quando, sotto la mia educazione e col mio esempio, uno scapestrato che non ha ancora vent’anni spreca un mucchio di danaro per la gola, per la vanità, per fare il milordino? Io posso vantarmi di non aver mai buttato via quattrini nè per la moda, nè pei capricci, e non ho mai sciupato dodici lire dal pasticciere, avendo da mangiare a casa mia.

      Povero Giacomino! La signora Maddalena non poteva immaginarsi che quelle dodici lirette erano state rosicchiate in tanti confetti dai candidi dentini di mademoiselle Fanny.

      – Dovrò partire, quando? – demandò il giovanotto, che voleva finirla; anche per trovarsi solo ed essere padrone del suo dolore, per sfogarsi, per piangere.

      – Partirete… quando avrò la risposta del Rosasco: gli scrivo subito. Andate.

      Ma la signora Maddalena, anche questa volta, girò gli occhi per non guardarlo in faccia.

      – Sta bene – rispose Giacomino. Si avviò, poi tornò indietro. – Siamo intesi: lo dirai tu al babbo… perché io… (sentì inumidirsi le palpebre), perché io non gli dirò nulla – concluse arrogantemente, con un’alzata di spalle. Si rizzò, s’inchinò e – uno, due, tre – se la battè con un colpo secco dei tacchi.

      – Siamo intesi: buon giorno. – E se ne andò.

      – Superbo, donnaiolo, dissipatore! Io devo difendere la casa; la ditta Monghisoni – borbottò la signora Maddalena rimasta sola. E quand’ebbe finita e chiusa la lettera al signor Antonio Rosasco, armatore, a San Pier d’Arena, vi scrisse sopra: Urgentissima.

      III

      Tutti erano assai inquieti nel fondaco. Perché la signora Maddalena si era chiusa nello scrittoio con Giacomino? Come mai?

      Di solito, quando andava in bestia, strillava come un’anima dannata, anche davanti alla gente, e quella volta non si udiva nemmeno la sua voce!…

      – Dio, Dio, Dio! Che cosa gli farà? – gemeva la signorina Cammilla, e diventava pallida pensando a Giacomino. – Che cosa gli dirà? Che cosa gli farà confessare? – pensava alla sua volta il signor Daniele, più stralunato, più arruffato, più giallo che mai, sbirciando alla sfuggita l’uscio del casotto, dove la sua signora si era chiusa col figliuolo.

      Pure la Cammilla si consolava un poco quando Gian Maria e Temistocle rispondevano con un’alzata di spalle che quell’altro non aveva paura di nessuno e avrebbe saputo difendersi. Il signor Daniele invece si sentiva sempre più scombussolato e sgomento, sbagliava nel far le somme, gli tremava la mano nel pesare, non capiva più niente.

      E aveva ben ragione di essere inquieto; stava peggio lui di Giacomino: l’aveva fatta più grossa.

      – Dio, Dio, Dio! Se Giacomino, messo alle strette, minacciato, spaventato, facesse una frittata? Se confessasse che i denari li aveva avuti da suo padre?… Che a giuocare a biliardo, al Biffi, ci andava con suo padre? Se… Dio, Dio, Dio! (e da giallo diventava verde), se Giacomino confessava, tutto il resto!… Se parlava di madamigella Fanny?…

      Quando il ritrattino della cavallerizza era saltato fuori dalla tasca di Giacomo, nessuno l’aveva visto, tranne la signora Maddalena. Se il signor Daniele fosse stato presente, sarebbe scappato Dio sa dove!… A Melegnano da’ suoi parenti, e più in là, anche in capo al mondo!

      E causa di tutto, l’amor paterno. Un cieco, un eccessivo amor paterno; un misto d’affetto e d’orgoglio pel suo bel ragazzo così ardito, così sano, così prepotente! Insomma così diverso da lui!

      Il signor Daniele era la gallina che aveva covato un uovo di aquila; rimaneva come sbalordito e timoroso dinanzi a quel figliuolo, che non pareva dello stesso sangue dagli altri: lo ammirava, nelle sue qualità, ne suoi difetti, nei suoi vizi; e non solo, ma di soppianto dalla madre, lo contentava in ogni capriccio, quasi cedeva alle sue volontà e ne seguiva persino i cattivi esempi.

      Dal figliuolo si era lasciato indurre una sera ad entrare al caffè Biffi: passeggiavano da un pezzo sotto la Galleria, quando ad un tratto Giacomo scorse seduti ad un tavolino del caffè alcuni suoi antichi condiscepoli dell’istituto tecnico, e tutti volontari di cavalleria.

      Come avrebbe potuto il signor Daniele trattenere quel diavolo di Giacomino, che senza alcun riguardo si era buttato allegramente fra le braccia dei compagni?

      – Addio, Moretti!

      – Oh, Trebeschi!

      – Cosa fai?

      – Come stai?

      – Sono in cavalleria!

      – Anch’io quest’inverno! Anch’io entro in cavalleria! – Ma, per il momento, entrarono invece nella, sala da biliardo, dopo aver traversato rumorosamente il caffè, urtando la gente… e il signor Daniele dietro, trasognato, meravigliato per la disinvoltura e la baldanza del figliuolo.

      – Permettete? Facciamo le presentazioni: mio padre.

      E Giacomino, con signorile eleganza, appoggiandosi ad una stecca di biliardo, fece tutte le presentazioni speditamente e coi dovuti inchini, mentre il buon Daniele sorrideva come uno stupido e s’imbrogliava nello stringere tutte quelle mani.

      – Complimenti!… Servitor suo! – e guardava Giacomino per farsi coraggio.

      E proprio lì, proprio in quel maledetto caffè Biffi, sempre per causa di quel diavolo scatenato, una bella sera egli aveva fatto la conoscenza, e aveva parlato la prima volta con madamigella Fanny. Cioè, parlato no. Egli si era contentato di dirle: bon soàr, madamoasèl, quando la signorina si era alzata per andar via. Ma intanto aveva cominciato col pagare il punch frappé… e dopo… dopo non c’era stato più rimedio.

      – Se Maddalena venisse a saperlo!… Che finimondo! – E il signor Daniele, tremante, tornava a guardare verso il bugigattolo e l’uscio sempre chiuso. A poco a poco, l’oppressione, l’affanno gli toglievano il respiro.

      Gli, pareva a volte che il casotto traballasse, che sua moglie ne scattasse fuori come una bomba, mettendo sossopra tutto il fondaco, tutta la via Lentasio, vomitando ingiurie e vituperi.

      E il signor Daniele, riguardoso e delicato, soffriva in cuore suo, anche nel pensare alle brutte parolacce che senza dubbio avrebbero colpito ingiustamente quella gentilissima signorina, così piena di sentimenti dignitosi e disinteressati: con quel piccolo neo dietro l’orecchio, col collo d’avorio, sottile e trasparente nel cravattone rosso, e… e che, gli stringeva la mano con tanta forza da storpiargliela, dicendogli: mon cher ami!

      – Babbo!

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