Gli ultimi flibustieri. Emilio Salgari
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Читать онлайн книгу Gli ultimi flibustieri - Emilio Salgari страница 19
“Mio caro don Barrejo, le vostre botti sono troppo pericolose, siano piene di buon vino o vuote.”
– Sono stregate, signor Buttafuoco, – rispose il guascone, ridendo, – e tali sono rimaste anche dopo tutte le benedizioni dei frati.
– Come stanno i nostri prigionieri?
– Russano come canne d’organo, – rispose il basco.
– Sarà meglio rimandare a domani l’interrogatorio. Lasciamoli riposare e cerchiamo anche noi di schiacciare alla meglio un sonnellino.
“Ne abbiamo bisogno.”
Chiusero e sprangarono la porta, fecero una nuova visita alla casetta, poi Buttafuoco e Wandoe si gettarono sulle due altre amache, mentre Mendoza, il guascone e Rios si sdraiavano su un mucchio di vecchie reti.
Al di fuori intanto l’uragano continuava ad infuriare ed il Pacifico scaraventava, dentro il porto di Panama, le sue formidabili ondate, mettendo a dura prova le âncore e le catene dei numerosi velieri che lo ingombravano.
Per Buttafuoco ed il basco fu forse quella la prima notte veramente tranquilla che trascorsero da quando erano giunti nella grande città spagnuola, che allora godeva la fama, come oggi S. Francisco di California, di essere la regina del Pacifico.
Il guascone, abituato ad alzarsi molto per tempo nella sua qualità di taverniere, fu il primo ad aprire gli occhi.
Suo primo pensiero fu quello di fare una visita ai due prigionieri.
Il preteso figlio del grande di Spagna russava ancora; il fiammingo invece si dibatteva come un disperato dentro l’amaca che gli era stata chiusa addosso perché non scappasse, brontolando e facendo delle smorfie cosí ridicole da far scoppiare dalle risa il feroce guascone.
– Compare Arnoldo, mi sembrate un bel pesce dentro la rete, – disse don Barrejo, allentando subito le corde. – Come va dunque la salute, dopo una cosí lunga dormita? Che pessimo soldato sareste voi in guerra!…
– Da pere, – chiese il disgraziato, dopo d’aver dimenata dieci volte la lingua, che doveva essere stata arrostita da quell’abbondante bevuta d’aguardiente.
– Pere qui non ne abbiamo, compare Arnoldo, però vi darò qualche cosa di meglio.
Prese una ciotola di terra, della capacità di un litro, la riempí in un grande vaso poroso che si trovava in un angolo e la porse al povero diavolo, il quale la vuotò senza staccarla un solo istante dalle labbra.
– La va un po’ meglio ora, compare Arnoldo? – Chiese ironicamente il feroce guascone.
– Testa malata, – rispose il fiammingo.
– Bevete e dormite troppo voi, mio caro. Avete delle pessime abitudini e io, se fossi il marchese di Montelimar, non vi perdonerei.
– Montelimar… – borbottò il fiammingo, passandosi una mano sulla fronte.
In quel momento, svegliati da quel chiacchierio, entrarono Mendoza, Buttafuoco, Wandoe e Rios.
– L’avete spedita al Perú la sbornia, signor Arnoldo Pfiffer ecc.? – Chiese Mendoza. – Sono ben lieto di vedervi finalmente in ottima salute.
Il fiammingo, vedendo tutte quelle persone, aggrottò la fronte e divenne pallidissimo.
– Svegliate l’altro, don Barrejo, – disse Buttafuoco.
– Perché? – chiese sotto voce Mendoza.
– Per accertarmi se si conoscono.
– Lo sospettate?
– Scommetterei il mio vecchio e fedele archibugio, che mi ha salvato cento volte la vita, contro una navaja da due piastre.
– Lasciate fare a me, allora, signor Buttafuoco.
Si avvicinò al ferito e cominciò a fargli il solletico sotto la gola, provocandogli subito il singhiozzo.
Il preteso figlio del grande di Spagna era stato un po’ ubbriacato, affinché si mantenesse tranquillo dentro la botte, però non aveva preso la solenne sbornia del fiammingo, sicché dopo tre o quattro sbadigli e molti singhiozzi, si decise finalmente ad aprire gli occhi.
Mendoza, che lo spiava attentamente, lo sollevò, perché potesse vedere il fiammingo che stava seduto nell’amaca vicina.
I due spioni del marchese di Montelimar si guardarono un momento, stupiti di trovarsi insieme; poi dopo d’aver fatta una brutta smorfia, non poterono frenare due imprudenti esclamazioni:
– Aramejo!…
– Stiffel!…
– Datevi il buon giorno, dunque, – disse Buttafuoco. – Siete vecchie conoscenze, a quanto pare.
Il fiammingo e il preteso figlio del grande di Spagna masticarono fra le labbra qualche cosa. Certo non dovevano essere contenti di essere caduti nella trappola cosí abilmente tesa da Buttafuoco.
– Chi è che si chiama Aramejo? – chiese il bucaniere, ridendo.
Il ferito si guardò bene dal rispondere e fissò gli sguardi sul soffitto, per contare forse le ragnatele che vi si trovarono.
Il fiammingo invece preferí sbadigliare, mostrando certi denti degni di non sfigurare in bocca ad un giovane squalo.
– Orsú, – disse Buttafuoco, ironicamente. – Vedo che vi siete riconosciuti. Sarebbe ormai troppo tardi per negarlo.
“Mastro Arnoldo, date dunque la mano a questo figlio d’un grande di Spagna. Sono ben lieto che voi abbiate delle buone relazioni fra l’alta società panamese.”
Il fiammingo sgranò gli occhi, guardando due o tre volte il suo compagno di sventura, poi proruppe in una fragorosa risata.
– Un crande di Spagna!… – esclamò.
– Ohé, mastro Pfiffero, siete allegro stamane, – disse il guascone. – Vi preferisco però cosí. Il mio vecchio aguardiente fa talvolta di questi miracoli.
Il ferito aveva guardato il fiammingo ferocemente, seccato di essere stato tradito cosí presto, però non pronunciò alcuna parola.
– Signori, – disse Buttafuoco, rivolgendosi verso i due prigionieri, – vi avverto che il Consiglio si raduna e che sarà per voi un terribile Consiglio di guerra, perché noi siamo uomini risoluti ad affogarvi in mare con una pietra al collo se vi ostinerete a non parlare.
“La parola a voi, innanzi tutto, don Aramejo, siate o no il figlio d’un crande di Spagna, come ha detto mastro Arnoldo.
“Non dimenticate che giuocate la vostra pelle.
“Che cosa avete fatto della señorita che siete andato a prendere alla posada del Rio Verde adoperando un biglietto che portava la mia firma?”
– Señor… – balbettò il ferito, – che cosa dite voi? Io non so di quale señorita intendete parlare.
– Ehi,