I minatori dell' Alaska. Emilio Salgari

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I minatori dell' Alaska - Emilio Salgari

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sul fianco destro. Coricati sulle erbe, si vedevano alcuni cavalli ammucchiati alla rinfusa, sopra i quali volteggiavano, descrivendo ampi giri, degli avvoltoi neri. Più oltre, si scorgevano delle casse sventrate, altri cavalli morti, qualche coperta di lana che il vento mattutino gonfiava e sbatteva; il tutto circondato da un gruppo di quindici o venti animali simili ai nostri lupi, ma col muso di volpe, il pelame abbondante, di tinta giallognola a macchie rossastre, e il corpo robusto, lungo dai sessanta ai settanta centimetri e le gambe piuttosto alte. Era una banda di coyote, lupi di praterie, intenti a spolpare i cadaveri. Vedendo avvicinarsi i due cavalieri, i lupi si affrettarono a disperdersi, mostrando i loro musi aguzzi lordi di sangue e mandando brevi latrati.

      – Al diavolo, dannati mangia-morti! – gridò Bennie, alzando minacciosamente il fucile, mentre il suo cavallo, spaventato da quei latrati, s’impennava.

      – Guarda!… – esclamò in quell’istante Back, che aveva trattenuto il suo corsiero.

      – Che cosa c’è?…

      – Un uomo scotennato!… – Bennie si era rizzato sulle staffe, curvandosi dinanzi.

      In mezzo alle erbe giaceva un uomo di alta statura, calzato con alti stivali di pelle non conciati e vestito di panno azzurro, stretto ai fianchi da una cartuccera piena per metà. Giaceva coricato sul fianco destro, con le mani strette attorno al viso bruttato di sangue. La sua capigliatura, strappata insieme con la pelle del cranio dal coltello di un indiano, era scomparsa, e si vedeva invece una superficie rotonda, coperta qua e là da grumi di sangue coagulato, di un aspetto raccapricciante.

      – Canaglie!… – mormorò Bennie, rabbrividendo. – Quel povero diavolo è stato scotennato.

      – E vedo là due indiani che sono caduti l’uno sull’altro – disse Back. – Questo emigrante non si è lasciato scotennare senza lotta. Allontaniamoci, Bennie: questa scena mi fa rabbrividire.

      Stavano per spingere innanzi i due cavalli, quando videro quel disgraziato così atrocemente mutilato tare un lieve movimento con una mano, poi lo udirono mormorare con voce semispenta:

      – Da… bere…

      II – SCOTENNATO DAGLI INDIANI

      Le immense praterie del nord-ovest americano, come quelle non meno immense della Patagonia e dell’Australia, offrono risorse infinite ai grandi allevatori di bestiame. Quelle pianure sterminate, sparse di alte graminacee e di erbe succolente chiamate buffalo-grass, sono il vero paradiso dei cavalli, dei buoi e dei bisonti che vi ingrassano rapidamente, quasi senza spesa per i loro proprietari. Essendo per lo più lontane dai centri abitati, e di proprietà esclusiva delle tribù indiane che le considerano come loro territori di caccia, i grandi allevatori, per mandarvi le numerose mandrie, hanno imitato i loro compatriotti dell’America del sud, gli Argentini. Questi affidano i loro cavalli e i loro buoi ai gauchos, cavalieri indomiti della pampa; gli americani del nord hanno invece i cow-boys. Gli uni valgono gli altri. Se i primi sono quasi dei selvaggi, dotati di temperamento violento e battagliero, sempre in armi, pronti a respingere gli assalti dei patagoni e degli araucani, i cow-boys dell’America del nord non sono da meno. In ogni caso si tratta di coraggiosi che sfidano intrepidamente la morte e che difendono strenuamente il bestiame loro affidato, contro i lupi e gli orsi e la rapacità degli indiani.

      Sempre in sella, essendo tutti instancabili cavalieri, non hanno altra cura che di impedire al bestiame di disperdersi, poiché ogni capo che si allontana può considerarsi perduto. I lupi seguono con ostinazione quelle mandrie, per mesi e mesi, sempre pronti a piombare sull’animale che rimane indietro, o che di notte si allontana dall’accampamento. I cow-boys si fermano dove le erbe sono migliori, e l’acqua è vicina. Un carro colossale serve loro di casa; due sassi bastano per improvvisare il fornello su cui faranno friggere il lardo e cucineranno le focacce impastate alla meglio, o arrostiranno qualche pezzo di selvaggina. Sono uomini frugali, che si accontentano di poco; d’altronde il proprietario della mandria non fornisce loro di più, forse vi aggiunge qualche sacco di legumi. Finché la stagione è buona, i cow-boys non abbandonano le praterie. Continuano ad avanzare, di pianura in pianura, attraverso territori quasi vergini, lottando coraggiosamente contro tutti gli ostacoli, battendosi quasi costantemente contro gli indiani che non li vedono di buon occhio, e non ritornano se non quando le prime nevi cominciano a coprire la prateria, e anche molte mandrie sono passate nelle mani dei pellirossa, ma che importa? Sono semplici incidenti che non scoraggiano gli altri cow-boys, nè i proprietari del bestiame. Sembra che quella vita libera, indipendente, piena di emozioni, di lotte, di avventure, eserciti su di loro un’attrattiva irresistibile. Il cow-boy, anche diventato ricco, il che è un caso rarissimo, non lascia più il suo mestiere. Tornerà sempre nella prateria finché ci lascerà la pelle o la capigliatura; tutt’al più diventerà un cacciatore di qualche compagnia di pellicce. Bennie e Back erano dunque due cow-boys. Il primo non era alle prime armi. Canadese d’origine, era stato prima cacciatore di professione, poi minatore nelle miniere d’argento del Colorado, quindi, perduti tutti i suoi risparmi, era diventato vaccaro. Bell’uomo quel Bennie, il vero tipo dello scorridore della prateria. Alto, muscoloso, dalle braccia poderose, il petto ampio, con una testa energica, coperta da una lunga capigliatura nera, inanellata, che cominciava già a brizzolarsi, con occhi penetranti e una barbetta tagliata a due punte.

      Non aveva ancora abbandonato il pittoresco costume dei cacciatori della prateria. Invece del largo cappello usato dai cow-boys, aveva conservato il suo berretto di pelle di raccoon, adorno della coda che gli pendeva su di una spalla; aveva il petto racchiuso dentro una comoda giacca di panno grosso, azzurro-cupo, stretta alla cintura da una cartuccera e da un’alta fascia sostenente uno di quei lunghi coltelli, chiamati dagli americani bowie-knife: calzoni di pelle, adorni ai lati di piccole strisce di pelle e alti stivali muniti di speroni messicani, dalla grande rotella. Il suo compagno Back, era invece tutto l’opposto: forse di dieci o dodici anni più giovane, era molto bruno, paffuto, con baffetti appena nascenti, con gli occhi nerissimi, il vero tipo ispano-americano. Messicano d’origine, avido di emozioni e di avventure come i suoi compatriotti, era emigrato, nelle regioni occidentali degli Stari Uniti, attiratevi dalla febbre dell’argento. Dopo aver fatto il minatore nelle ricche miniere argentifere della Nevada e del Colorado, ma con poca fortuna, a causa della sua giovinezza e della poca esperienza, s’era associato o meglio aggrappato ai panni di Bennie, dividendo con lui i pericoli. I due amici, diventati inseparabili, avevano già esercitato il loro duro mestiere sulle falde delle Montagne Rocciose, per due stagioni di seguito, alle dipendenze di un grande proprietario di Lytton, poi erano passati ai servigi del signor Harris, uno dei più grandi allevatori dell’Alberta. Partiti da Edmonton, piccola città situata sulle rive dello Saskatchewan del Nord, insieme con due altri compagni, duecento buoi e ventiquattro cavalli, ai primi di marzo 1897, avevano già attraversato il fiume Athabasca, dirigendosi verso il piccolo lago degli Schiavi, dove contavano di passare la buona stagione in quelle ubertose praterie. Durante il viaggio però, in uno scontro con gli indiani, avevano perduto un compagno, mentre l’altro era stato costretto a tornare indietro, per curarsi una grave ferita.

      Alla metà dello stesso mese si accampavano presso le rive del lago.

      . . . . . . . . . . . . . . .

      Udendo quella voce fioca che chiedeva da bere, i due cow-boys avevano trattenuti i loro cavalli, guardando lo scotennato che essi avevano ritenuto morto da parecchie ore.

      – Corna di bisonte!… – esclamò Bennie, al colmo dello stupore. – Che i miei orecchi mi abbiano ingannato o che io sia in preda a qualche sogno?… Un uomo che ha subito quella spaventevole mutilazione, dopo quattro ore dà ancora segno di vita!… Ecco un caso straordinario!…

      – Ma che sia lui che ha parlato?… – chiese Back con viva emozione.

      – Se l’hai udito anche tu, vuol dire che non sono sordo.

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