Il figlio del Corsaro Rosso. Emilio Salgari

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Il figlio del Corsaro Rosso - Emilio Salgari

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– disse. – La cinquantina ha avuto piú paura di noi e non ha osato darci la caccia. Prima che ne incontri altre o che si rifornisca di cane, passerà del tempo e noi potremo raggiungere la villa della marchesa, senza essere piú disturbati.

      – Se non sapete nemmeno dove si trovi! – disse Mendoza, il quale aspirava, come un mantice da fucina, la fresca brezza notturna.

      – Camminando sempre, si va anche a Parigi – rispose Barrejo.

      – Nel mio paese si dice che tutte le vie conducono a Roma – aggiunse il conte.

      – Ma non alla villa di Montelimar – ribattè Mendoza il quale sembrava di pessimo umore.

      – Voi, camerata, brontolate sempre contro il vostro capitano – disse il guascone. – Anche questo è un brutto vizio.

      – Mi correggerò col tempo.

      – Siete ormai troppo vecchio per farlo.

      – I filibustieri sono sempre giovani. Lo sanno gli spagnuoli.

      – Oh, non lo nego, amico! Avete sempre il fuoco nel petto.

      – E non le vostre gambe.

      – Orsú, che cosa facciamo ora, don Barrejo? – chiese il conte.

      – Io per conto mio, farei colazione – disse Mendoza. – Questa corsa mi ha messo un appetito da pescecane.

      – Contentati di accendere la tua pipa, per ora – rispose il conte. – Se non basta, stringi bene la cintura.

      – Ottimo consiglio! – sentenziò gravemente il guascone.

      – Che non farà bene a nessuno – brontolò Mendoza – Mettetelo in pratica voi.

      – Ne avete qualche altro da suggerirci don Barrejo? – chiese il conte.

      – Sí, quello di sdraiarci in mezzo a queste fresche erbe e di tirare il fiato fino all’alba.

      – E i caimani? – chiese Mendoza. – prima avevate una gran paura di quelle bestiacce.

      – Sono lontani da qui, e poi non chiuderemo gli occhi

      – Visto e considerato che non vi è di meglio da fare, lo metto in esecuzione – disse il conte, lasciandosi cadere fra le erbe e allungandosi con visibile soddisfazione. – Sono due giorni che io e questo eterno brontolone non ci riposiamo: è vero, Mendoza?

      – Saranno forse di piú – rispose il filibustiere imitandolo.

      Il guascone guardò attentamente in tutte le direzioni, si chinò, accostò un orecchio a terra, ascoltò attentamente e poi, a sua volta, si allungò fra le fresche erbe, dicendo:

      – Nulla: possiamo riposarci.

      Non era però troppo facile socchiudere gli occhi.

      I grossi rospi muggivano sempre, con un crescendo spaventoso; i caimani facevano del loro meglio per imitarli ed i batraci gareggiavano fra di loro per fischiare con maggior furore, come se si fossero messi d’accordo per impedire a Mendoza di schiacciare un sonnellino, fosse pure d’un quarto d’ora.

      Era però molto tardi, e l’alba non doveva tardar molto a spuntare. Nel Golfo del Messico il sole tramonta presto e si alza anche molto presto.

      Alle tre e mezzo, durante l’estate, il cielo si tinge dei primi riflessi dell’aurora e le stelle scompaiono.

      I tre filibustieri – poiché ormai anche il guascone si poteva considerare come tale – si riposavano da un paio d’ore, tendendo continuamente gli orecchi, per paura che i cani delle cinquantine, li sorprendessero, quando le tenebre cominciarono a diradarsi.

      – In marcia, signor conte – disse il guascone, alzandosi rapidamente. – Cercherò di orientarmi.

      – È stata accomodata la bussola piantata in mezzo al vostro cervello? – chiese Mendoza beffardamente.

      – S’incaricherà il sole di rettificarla – rispose l’avventuriero.

      – Speriamo che sia un abile meccanico.

      – Vedrete, camerata.

      Stavano per mettersi in cammino, quando udirono a breve distanza uno sparo.

      – La cinquantina! – gridò Mendoza facendo un salto.

      – Sí, che spara con le sue alabarde! – osservò il guascone sorridendo. – Io scommetto invece che è la colazione che giunge. Signor conte, siete conosciuto fra i bucanieri?

      – Se non io, erano troppo noti i tre corsari: il Rosso, il Nero e il Verde.

      – Questa archibugiata deve averla sparata un bucaniere.

      – Andiamo a trovarlo – rispose il signor di Ventimiglia.

      Attraversarono di corsa una folta macchia e, giunti sul margine, scorsero, in mezzo ad una radura erbosa, un uomo piuttosto attempato, vestito malamente.

      Aveva un grembiale di pelle ed un largo cappello di feltro in testa e stava ritto accanto ad un gigantesco bue selvaggio il quale stava spirando. Vedendo quegli stranieri, il cacciatore fece alcuni passi indietro, e gridò con voce minacciosa:

      – Chi siete? Rispondete, o vi uccido prima che possiate giungere fino a me!

      – Siamo filibustieri, camuffati da spagnuoli – rispose il conte in francese purissimo, perché l’intimazione era stata fatta in quella lingua. – Io sono il figlio del Corsaro Rosso e nipote del Verde e del Nero.

      – Del Corsaro Nero! – gridò il bucaniere, lasciando cadere l’archibugio e facendosi innanzi. – Di quello che con Grammont, Laurent e Wan Horn ha espugnato Vera-Cruz? Io ho combattuto con lui! Tonnerre de Brest! Signore, sono ai vostri ordini! Comandate!

      CAPITOLO VI. IL BUCANIERE

      Seccare e affumicare sotto semplici capannucce formate di frasche, il piú delle volte malamente intrecciate le pelli e le carni degli animali uccisi a caccia, esprimevasi dagli indiani delle grandi isole del Golfo del Messico col vocabolo bucan, e da quello venne il nome di bucaniere.

      Quei formidabili cacciatori, che piú tardi dovevano fornire tanta gente ai filibustieri della Tortue e dare un’infinità di fastidi agli spagnuoli, si erano specialmente stabiliti nell’isola di San Domingo, la piú ricca di selvaggina.

      Per la maggior parte erano avventurieri francesi, inglesi e fiamminghi, fuggiti dalle loro patrie o per miseria o per delitti commessi.

      Una camicia di grossa tela, sempre lorda di sangue, un paio di calzoni della stessa tela, anche piú sudici, una cintura di pelle non conciata, alla quale erano attaccate una corta sciabola, un paio di coltelli e due borse contenenti la polvere e le palle, un cappellaccio informe e scarpe fabbricate con cuoio di maiale, costituivano la divisa dei bucanieri..

      La loro grande ambizione era d’avere un buon archibugio, portante un proiettile del peso di un’oncia, ed una muta di venticinque o trenta cani blood-hound, che impiegavano per la caccia dei buoi selvaggi, allora, come abbiamo già detto, abbondantissimi in San Domingo.

      Del

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