Il figlio del Corsaro Rosso. Emilio Salgari

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Il figlio del Corsaro Rosso - Emilio Salgari

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eredità che una buona spada e delle lunghe lezioni di scherma.

      – Che cosa volete concludere, signor Barrejo?

      – Che vorrei sapere chi siete e perché siete fuggito da San Domingo, mentre era stato dato l’ordine d’impedire l’uscita a tutti gli abitanti.

      Il conte rimase un momento muto, guardando il soldato, poi disse:

      – Scommetterei che voi già lo sapete.

      – Forse.

      – Sono il capitano della fregata che entrò nella rada ieri mattina che due ore fa è stata cannoneggiata dagli spagnuoli.

      – Dei filibustieri, non è vero?

      – Siete molto perspicace, signor Barrejo. Ora andrete ad avvertire certamente il governatore.

      – Io? – esclamò il guascone. – Io tradirvi? Mai! Siamo uomini d’onore, noi.

      – Allora avrò soddisfatta la vostra curiosità.

      – Signor conte, se vi facessi una proposta?

      – Dite pure.

      – Noi guasconi siamo gente di guerra e non amiamo lasciar arrugginire inutilmente le nostre spade. La mia dorme da due anni in San Domingo e minaccia di non saper piú uscire dal fodero. Volete arruolarmi? Coi filibustieri vi è sempre occasione di menar le mani.

      – E anche di morire piú facilmente! – aggiunse Mendoza.

      – Ho trentadue anni e ne ho già abbastanza della vita – disse il guascone. – Mi volete, signor conte? Vi giuro che sarò una buona lama.

      – E poi lo liberereste da molti fastidi – aggiunse il marinaio, a cui non dispiaceva affatto quel fracassone.

      – Sia! – disse il signor di Ventimiglia. – Un bravo soldato di piú sulla mia nave non sarà d’impiccio.

      – Voi non siete spagnuolo, quindi potete passare al nemico – disse Mendoza.

      – Sono un soldato di ventura e null’altro, e come tale posso offrire la mia spada ed il mio braccio a chi meglio mi piace.

      – Conoscete S. Josè?

      – Conosco mezzo San Domingo.

      – Sapreste condurci nella tenuta della marchesa di Montelimar?

      – Anche con gli occhi bendati.

      – Andiamo a procurarci dei cavalli, prima di tutto. Io non dubito che gli spagnuoli ci diano la caccia.

      – Potete esserne certo, signor conte – rispose il guascone. – Ci lanceranno anche addosso qualche banda dei loro terribili cani.

      – In cammino allora, Barrejo – disse il conte. – Non ho alcun desiderio di farmi mordere i polpacci da quelle bestiacce.

      – Dovremo prendere la via dei boschi, signor conte. Le vie sono battute dalle ronde e potrebbero arrestarci.

      – Ve ne sono molte fuori della città?

      – Eh, un bel numero.

      – Andiamo a visitare i boschi.

      Il guascone gettò via la lanterna, la cui luce poteva tradirli e attirare qualche ronda in perlustrazione o alla caccia di bucanieri.

      Quelle bande di soldati, formate da cinquanta uomini ciascuna, erano incaricate di impedire ai bucanieri, alleati dei filibustieri, di dare la caccia ai numerosi tori selvatici che in quell’epoca scorrazzavano liberamente per le foreste dell’isola.

      Non osando gli spagnuoli affrontare quei terribili cacciatori, i quali non sbagliavano mai un colpo, avevano deciso di affamarli e perciò avevano istituite quelle compagnie volanti.

      Dapprima le avevano munite d’armi da fuoco, ma siccome non volevano imbattersi nei bucanieri, né impegnare mischie con loro, quando s’accorgevano della loro presenza preferivano fare delle scariche di moschetteria in aria.

      I cacciatori, avvertiti del pericolo, se ne andavano tranquillamente da un’altra parte.

      I governatori delle varie città, accortisi della gherminella, avevano tolto alle ronde le armi da fuoco, armandole solamente di alabarde, ma senza ottenere, come si può capire facilmente, alcun risultato pratico.

      Se prima erano i bucanieri che scappavano, ora erano gli alabardieri che se la davano a gambe appena udivano uno sparo; sicché i combattimenti erano rari come le mosche bianche, ché nessuno aveva il desiderio di giocare la pelle inutilmente.

      E quelle erano le famose ronde dette cinquantine, colle quali i governatori speravano di distruggere tutti i bucanieri, – ed erano molti – che infestavano le immense foreste dell’isola, sempre pronti a prestare man forte ai filibustieri della Tortue, quando si trattava di tentare qualche buon colpo

      Il guascone fece attraversare ai suoi due compagni una vasta piantagione di canne da zucchero, poi si gettò risolutamente in mezzo alle boscaglie, formate per lo piú da enormi piante di cotone selvatico, con i cui tronchi cavi gli indiani e i negri formavano canoe capaci di contenere perfino cento uomini.

      – Il corral lo troveremo di là da questa boscaglia – aveva detto il soldato al conte. – Risparmieremo tempo e non correremo il pericolo di imbatterci in qualche cinquantina. Cercate solo di non far rumore, poiché fra queste macchie i tori non mancano, e vi so dire io se sono pericolosi quando s’infuriano o vengono disturbati!

      La marcia non tardò a diventare difficilissima, con molto dispiacere di Mendoza, abituato a passeggiare solamente sulle tolde delle navi e ad arrampicarsi sulle alberature.

      A quei tempi San Domingo, al pari della vicina Cuba e della Giamaica, aveva delle foreste, antiche quanto il mondo, le quali accumulando foglie su foglie e imputridendo rami e tronchi, dovevano preparare quel meraviglioso ordimento vegetale, che piú tardi doveva cosí ben servire agli intraprendenti piantatori.

      I cotoni selvatici s’alzavano dovunque, mescolati, anzi confusi, con palme gigantesche, reggendo non si sa in quale modo i loro giganteschi fusti, non avendo per sostegno che una crosta di terra non più alta di due piedi affatto insufficiente alle smisurate radici.

      Erano soprattutto i foltissimi cespugli, vere macchie per le imboscate, che facevano brontolare Mendoza, anche perché si mostravano formidabilmente armati di acutissime spine.

      Il guascone, che aveva fatto parte piú volte delle cinquantine, per buona fortuna non esitava mai a scegliere la via, quantunque sotto quelle immense arcate di verzura regnasse un’oscurità quasi completa.

      – Ho la bussola nella testa – ripeteva sfondando a colpi di spadone i cespugli per aprire il passo al conte.

      E pareva infatti che quel diavolo d’uomo, che camminava con piena sicurezza senza mai fermarsi, avesse la facoltà d’orientarsi come i piccioni viaggiatori. Chi invece era incerto e non poco era Mendoza, il quale, quantunque uomo di mare, non ignorava come fosse facile smarrirsi in mezzo alle boscaglie.

      Quella marcia faticosissima durò tre ore, poi il piccolo drappello si trovò dinanzi ad una vasta pianura interrotta da un gran numero di stagni.

      Un

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