Il figlio del Corsaro Rosso. Emilio Salgari
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Читать онлайн книгу Il figlio del Corsaro Rosso - Emilio Salgari страница 18
Due alabardieri, armati di lunghe picche, passeggiavano a breve distanza, fumando e chiacchierando. Scorgendo il conte e il suo marinaio, si fermarono per sbarrare loro il passo; poi uno dei due, accortosi di aver da fare con un soldato, chiese:
– Oh, camerata, dove vai?
– Ho l’ordine di scortare quest’uomo fuori della città – rispose franco il signor di Ventimiglia.
– Chi è?
– Un corriere governativo.
– Senza cavallo?
– Sa dove trovarlo. Sbrigatevi ad aprire la porta; abbiamo molta fretta.
– E non ti hanno dato nessuna carta?
– Non sono un soldato, io?
– È vero, ma ci hanno dato anche il comando di impedire l’uscita a qualunque persona.
– Era per i borghesi, quello.
– Aspetta che chiamo l’anziano: io non voglio assumermi questa responsabilità.
Entrò in una vicina caserma e uscí subito con un altro soldato, munito di una lanterna, il quale trascinava con gran fracasso un enorme spadone.
– Guarda questi uomini, Barrejo – disse la sentinella.
– Fulmini! – mormorò Mendoza. – Il guascone! Ora siamo fritti!
Il conte trasalí e portò rapidamente una mano sulla pistola di Martin, pronto ad impegnare una lotta disperata. Il guascone si avvicinò a loro e non potè trattenere un gran gesto di stupore nel riconoscere la propria corazza e le proprie vesti che il conte indossava.
– Ah, camerata! – esclamò sbarrando gli occhi.
Poi, volgendosi verso le due sentinelle, disse loro:
– Continuate la ronda voi, io conosco queste persone.
Aspettò che si fossero allontanate, poi, dopo aver alzato una seconda volta la lanterna per guardare bene in viso il conte ed il suo compagno, chiese:
– Che cosa fate ancora qui, nei miei panni, signore? Siete ben voi che mi avete dato quei venti dobloni!
– Sí, messer Barrejo – rispose il signor di Ventimiglia.
– E che cosa siete venuti a fare qui?
– A offrirvi altri dieci dobloni, se non vi rincresce.
– Per tutti i venti del mare di Biscaglia! Volete far di me un milionario?
– No, voglio ingrassarvi, perché siete troppo magro.
– Tutti i guasconi sono magrissimi, signor conte. Ma che muscoli d’acciaio abbiamo!
– Chi sa che un giorno non li veda al lavoro! Orsú, volete guadagnare altri dieci dobloni?
– Che cosa devo fare?
– Una cosa semplicissima. Aprirci la porta e lasciarci andare in campagna.
– E null’altro? – chiese il guascone con stupore.
– Nient’altro. Vi avverto che abbiamo detto ai vostri camerati che siamo corrieri del governatore.
– E non avete paura d’incontrare i bucanieri? Si dice che stiano organizzandosi per tentare un colpo di mano sulla città.
– Non vi occupate di questo, messer Barrejo. Apriteci la porta e altre dieci monete d’oro andranno a ingrossare il vostro piccolo tesoro.
– Vi apro anche tutte quelle della città – rispose don Barrejo. Venite, signor conte. I miei camerati non vi daranno alcun fastidio.
Afferrò un’enorme chiave che stava appesa ad un chiodo e aprí la pesante porta laminata di ferro, conducendoli attraverso un massiccio bastione forato nel mezzo da uno stretto passaggio.
– Eccovi in campagna – disse dopo aver aperta un’altra porta. Mi permettete di scortarvi per qualche tratto?
– Vi ho detto che noi non abbiamo paura – disse il conte.
– Non ne dubito, signore, ma che volete, mi piace immensamente la vostra compagnia.
– Non sarà per sorvegliarci, spero – disse Mendoza.
– Oh! un guascone!… Noi non siamo abituati a mentire.
– Allora venite – disse il conte. – Potreste darci qualche preziosa informazione.
– Sono tutto a vostra disposizione, signor conte – rispose il guascone.
– Potreste, per esempio, dirci dove potremo trovare dei cavalli.
– Vi è un corral a mezzo miglio di qui, annesso ad una grande fattoria. Se avete ancora di quei bei dobloni, potrete acquistarne finché vorrete.
– Le nostre borse sono ancora assai fornite, malgrado il salasso fatto alla mia.
– Vi guiderò io.
– Ed i vostri camerati che non vi vedranno tornare non si allarmeranno?
– Vadano al diavolo! – disse Barrejo alzando le spalle. – Non sono padrone di fare una passeggiata notturna e di scortare delle persone raccomandate da Sua Eccellenza il Governatore?
– Oh, è vero! – disse il conte ridendo. – Noi siamo personaggi importantissimi.
– Che viaggiano però senza carte – aggiunse maliziosamente il guascone.
– Le teniamo sempre sulla punta delle nostre spade.
Il soldato capí a che cosa voleva alludere il conte e, quantunque guascone, credette opportuno di troncare il discorso.
Si erano inoltrati per una viuzza fiancheggiata da bellissime agavi, piante tessili che danno dei fili elastici e fini e dalle cui foglie gli indiani estraggono una bibita fermentata detta pulque, molto spumante e anche molto gradevole. Di là da quelle enormi siepi, si estendevano immense piantagioni di canne da zucchero e di caffè, le maggiori risorse di quella fertilissima isola.
Per la tenebrosa campagna volavano sciami di Moscas de luz, insetti che tramandano una luce ben piú potente delle nostre lucciole, e nei solchi delle piantagioni e attorno agli stagni muggivano i grossi rospi gialli e neri con appendici cornute e fischiavano migliaia e migliaia di batraci.
I tre uomini camminarono in silenzio per un buon quarto d’ora, rischiarando la via con la lanterna; poi, giunti ad una biforcazione, il guascone si fermò.
– Ci lasciate? – chiese il conte.
– Questo dipende da voi, signore – rispose il soldato.
– Che cosa volete dire?
– Signor conte, io sono un uomo d’onore