La battaglia di Benvenuto. Francesco Domenico Guerrazzi

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La battaglia di Benvenuto - Francesco Domenico Guerrazzi

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reggersi in piedi: – e la bocca? Un alito leggerissimo annunziava la vita. – Le voci e i passi si fanno ad ogni momento più vicini. – L’adagerà Rogiero su l’erba del prato, o la sosterrà sempre stringendosela al seno? Veramente sarebbe la forte prova di amore abbandonarla così fuori di sè a persona sconosciuta! Ma l’averla tra le braccia è misfatto. – Nè la infamia del misfatto, nè il dolore della pena ricuserebbe Rogiero, purchè gli fosse concesso riporla nelle mani delle sue damigelle, o di sua madre. – All’improvviso la sua mente, più che dai molti anni, ammaestrata dalle molte scelleratezze degli uomini, ricorre al pensiero, che invidiato si solleva il bel giglio; vede il rettile schifoso anelante di contaminare quella intemerata candidezza; ode il malignare della razza del fango; un senso generoso lo esalta; vince la presente passione, adagia Yole sul terreno, china verso di lei i suoi sguardi, giunge le mani, si volge al cielo, e fugge senza mandare un sospiro.

      Certo, non si vuole dubitare, che in ogni caso quell’addio sarebbe stato muto, perchè la passione loro non era da esprimersi con parole; pure se Yole fosse stata in sè, avrebbe veduto un tale sguardo, che poi invano avrebbe tentato di cancellare dalla memoria; uno sguardo che svelava il desiderio di cose che l’uomo non può conseguire, l’irremovibile giuramento di non declinare per casi o per tempi dalla stabilita proposta, e la coscienza di vivere senza speranza, e senza speranza morire. Fu senza dubbio nasconderle quel guardo profonda pietà: egli avrebbe accelerata la perdita della ragione, alla quale la misera era condannata fino dal suo nascimento.

      Intanto Rogiero, ripostosi a guardia sotto la volta, non poteva condurre lo intelletto a meditare sopra i casi avvenuti, però che il cuore avvolgendosi per le memorie di quelli amava commettersi allo impeto delle sensazioni.

      In questo modo dimorando, intese il romore di un passo che pareva avvicinarsegli; porse l’orecchio, e allorchè fu tempo domandò ad alta voce: «Chi è che passa?»

      «Che San Germano vi aiuti!» rispose un uomo di sembianze piuttosto dure, di aspetto vigoroso, tutto coperto di piastre e maglie di ferro, come usavano portare gli uomini d’arme del Re Manfredi; «buona guardia, Rogiero.» «Oh! siete voi, Roberto?» disse Rogiero riconoscendo la voce; «qual diavolo vi porta in questi luoghi a questa ora?»

      «Voi stesso.»

      «Gran mercè alla cortesia vostra, Roberto; un amico qual siete voi giunge opportuno a tutte le ore, specialmente poi a quelle della guardia.»

      «Rogiero, io ho le molte cose a dirvi.»

      «Ed io, come vedete, luogo e pazienza da ascoltarle; parlate,» – disse Rogiero, facendo aspetto di non volere porgere grande attenzione a quello che stava per dirgli l’uomo di arme, e continuando a passeggiare.

      «Giovane!» parlò cupamente Roberto, ponendosi a sedere, «io posso con una sola parola rendervi immobile per più lungo tempo che voi non vorreste: però accostatevi, sedetemi qui a canto, e sopra tutto parliamo basso, che nessuno ci senta.»

      Rogiero non sapendo il perchè, senza alcuna cosa rispondere, obbediva; l’uomo di arme continuava così: «Rogiero, avete voi ripensato a quello, che nel mese scorso vi predisse l’astrologo saracino Ben Hussein?»

      «Santa Rosalia! Codeste sono vanità; io le ho affatto dimenticate.»

      «Se voi le credevate vanità, perchè le avete ascoltate? Voi avete interrogato le stelle, ed esse vi hanno risposto la verità; voi l’avete dimenticata, ma vi è tale che la rammenta per voi.»

      «Manco male: parmi che parlasse del Sagittario…»

      «Appunto: voi nasceste sotto questa costellazione, e il vostro oroscopo porta, che dovrete travagliarvi in lunghi viaggi. Furono ancora consultate le vostre mani; infatti, che cosa dice il sapiente Re Salomone? la lunghezza della vita è nella sua destra, le ricchezze e la gloria nella sua sinistra. L’arte manifestò la ruga della grandezza vermiglia e profonda; ma la ruga della vita comparve a un tratto interrotta, e fece andar pensoso l’astrologo, che una morte violenta innanzi tempo…»

      «Roberto,» disse Rogiero, alzandosi con impazienza, «è egli forse vostro pensiero atterrirmi? Che serve che mi tentiate l’anima? Oggimai dovreste sapere, che il mio volto non impallidisce al pericolo.»

      «Giovane! è vero quello che dite, ma voi siete troppo impetuoso; « – rispose Roberto costringendolo a sedersi di nuovo, e quindi riabbassando la voce lo domandò:

      «Conoscete voi il padre vostro?»

      «Io? – no.»

      «Sapete voi chi vi ha salvata la vita?»

      «Io ignoro quando mai sia stata in pericolo.»

      «Lo fu.»

      «E voi lo sapete forse? E perchè non me ne avete fatta parola prima d’ora?»

      «Perche la notte viene a cacciare la luce dal firmamento?»

      «Voi invece di risposta mi fate nuova domanda, Roberto.»

      «Perchè la notte viene a cacciare la luce dal firmamento?»

      «Perchè?… Perchè la legge della natura ve la costringe.»

      «E me costrinse la forza degli uomini potenti quanto Lucifero.»

      «Ma ora, se vi viene concesso, ditemi: qual’è mio padre? che fa? quale il suo stato? Fu per suo volere, o per altrui, che mi lasciò fino a questo momento languire nella oscurità?» – Roberto non rispondeva parola. Allora Rogiero, quasi supplichevole, riprendeva: «Parlate, Roberto, parlate; il vostro silenzio mi lacera il cuore.»

      «Voi mi fate tante domande, alle quali risponderò due sole cose. Vostro padre vive, ma sta presso al morire. La vostra condizione vi sarà manifesta in questa notte.»

      «Dove? In qual luogo? Ecco, io mi chiamo pronto a seguirvi.»

      «Andiamo,» disse Roberto; e Rogiero levandosi moveva già il passo per andare, quando a un tratto ristette, e parlò:

      «No… adesso è impossibile; fermatevi qui, Roberto, finchè la mia guardia sia finita… poco più manca a finirla,… altrimenti non potrei senza mancare al mio Re, e dare sospetto di tradimento.»

      «Sospetto!» – In verità voi dovrete tradirlo: innanzi che passi questa notte, desideroso di vendetta, vi porrete a capo dei traditori di colui che ora custodite dai tradimenti, ed il fine di ogni operazione di vostra vita sarà la morte di Manfredi.»

      «Ribaldo! allontanati, o la mia lancia farà conoscenza col tuo sangue: tu vuoi ingannarmi, e tradirmi, – codardo! – Ed io che era già presso a darmi per vinto!… Allontanati.»

      «Tradirvi io? ingannarvi io?» senza punto commuoversi soggiunse l’uomo d’arme. «Il bel suggello che siete, per ingannarvi! Giovane, non presumete tanto di voi stesso. L’oscurità, la miseria, il nulla in che giacete, più che l’ingegno vostro vi salvano dall’essere argomento d’inganno. Io ho fornita la mia commissione presso di voi; solo mi piace rammentarvi, che quando si diffida di un uomo, non conviene dirglielo così palese in faccia; poichè i momenti della vita di vostro padre sono numerati… e in questo punto medesimo è ormai troppo tardi il muoverci. – Buona notte…»

      «Fermatevi: in nome del Santo Sepolcro, concedete un momento… Io non ho da conservare l’onore dei miei maggiori, perchè non appartengo a nessuna famiglia… non ho che il mio; ma questo mi è caro, come se mi fosse stato trasmesso da Roberto Guiscardo, o da Enrico l’Uccellatore: – ma mio padre muore,

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