Le figlie dei faraoni. Emilio Salgari
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Читать онлайн книгу Le figlie dei faraoni - Emilio Salgari страница 14
Ed infatti sulla riva, che la luna illuminava in pieno, si scorgevano, confuse fra gli uomini, molte donne che indossavano dei costumi splendidi e che tenevano in mano degli istrumenti musicali. Anch’esse, che sembravano pure molto allegre, invitavano con alte grida i naviganti a prendere parte all’orgia e vuotare delle coppe in onore di Bast.
Ata, dopo aver fatto esplorare il banco erboso per accertarsi della sua resistenza, scese a sua volta, accompagnato da Mirinri, da Ounis e da otto etiopi che portavano alla cintura delle pesanti ascie e dei pugnali di rame dalla punta acutissima.
La traversata del sett la compirono senza difficoltà, essendo quelle masse trattenute dai pali piantati da coloro che avevano interesse a trattenere la barca e raggiunsero la sponda fra le grida gioconde dei bevitori.
Vi erano due o trecento persone fra uomini e danzatrici, che traballavano sulle malferme gambe.
Erano gli uomini per la maggior parte pescatori o battellieri, che indossavano dei semplici grembiali di pelle conciata, con qualche fascia variopinta gettata sulla testa o sulle spalle, però non mancavano fra loro dei giovanotti di buona condizione, che indossavano delle ricche kalasiris, con collari inamidati e che avevano parrucche sul capo con lunghe trecce pendenti sulle tempie e delle barbe finte.
Spiccavano invece per ricchezza e buon gusto dei costumi le suonatrici e le danzatrici, con splendide kalasiris variopinte e leggere come veli, con fazzoletti di squisita manifattura annodati intorno al capo, in modo però da lasciare in vista le loro capigliature intrecciate bizzarramente; con fascie legate attorno alle anche coi capi ricadenti fino a terra e coi loro monili di oro, le loro collane di perle ed i loro grossi pendenti di forma rotonda e smaltati a più tinte.
Alcune avevano i seni coperti da conche di rame con ghirigori in doratura, trattenuti da cordoncini che si diramavano all’ingiro come i raggi del sole ed altre, invece del fazzoletto triangolare, portavano sopra i capelli delle pittoresche acconciature, formate da lamine d’oro trattenute sul dinanzi da una testa di uccello di rapina d’egual metallo.
Erano poi tutte giovani e belle, di forme slanciate, colla pelle bruno-dorata, al pari di quella delle donne dell’Abissinia, reclutandosi per lo più nelle regioni dell’alto Nilo.
Mentre gli uomini avevano circondato Ata ed i suoi compagni, offrendo delle grandi tazze di terracotta e delle anfore colme di vino, le suonatrici, che non erano meno allegre, avevano formato circolo intorno ad un vaso di dimensioni mostruose, sormontato da un lato da una figura umana che rappresentava Manerôs, l’inventore della musica secondo gli antichi e che doveva essere colmo di vino di palma, soffiando entro i loro istrumenti e pizzicando quelli a corda.
La musica era molto coltivata sotto i Faraoni, quantunque l’applicassero per lo più alle feste religiose, cosicché possedevano gli egizi un gran numero d’istrumenti. Per lo più erano flauti, trombe di bronzo dorato, non così smisurate come quelle che figurano nell’Aida, anzi cortissime; ma dal suono potente, di una grande varietà di corni di bue, tagliati a becco presso l’imboccatura e che chiamavano comunemente tan; parecchie specie di arpe, per lo più altissime e di forme massiccie, delle trigone, dei sistri e anche certe specie di chitarre, colla cassa piccola ed il manico invece lunghissimo.
Intanto le danzatrici intrecciavano balli sulla riva del fiume, fra le risa, gli applausi e le urla degli ubriachi.
Mirinri, Ata e Ounis, invitati cortesemente a prendere parte alla festa, si erano seduti intorno ad una grossa anfora messa a loro disposizione, sorseggiando il vino di palma che veniva offerto da uno schiavo etiope.
Nessuno d’altronde aveva più fatto attenzione a loro. Tutta quella gente allegra si era rovesciata addosso alle danzatrici o raccolta intorno alle suonatrici.
«Osservi nulla di sospetto qui?» chiese Ounis, rivolgendosi verso Ata che non pareva ancora rassicurato.
«Io non vedo altro che della gente che ha un solo desiderio: quello di divertirsi e di ubbriacarsi,» disse Mirinri.
«Eppure non sono ancora tranquillo, mio signore,» rispose Ata, dopo un breve silenzio.
«Perché questi uomini hanno scelto questo luogo per la loro festa, proprio qui dove ci hanno chiuso il passaggio? Questo io vorrei spiegare.»
«Li ha radunati qui il caso, suppongo,» disse Ounis.
Ata crollò il capo, poi riprese:
«Non vedo chiaro in tuttociò e faremo bene ad allontanarci, non appena il canale sarà aperto. Finché non saremo giunti a Menfi, non sarò mai tranquillo.»
«È non sarà invece maggiore là il pericolo?» chiese Mirinri.
«Vi sono molti amici laggiù i quali sono fedeli ed hanno preparato per te, mio signore, un rifugio sicuro ed inviolabile. Beviamo e poi andiamocene. Noi abbiamo reso l’omaggio dovuto a Bast, quindi non ci tratterranno, se è vero che questi uomini non si occupano altro che di divertirsi.»
Vuotarono qualche tazza ancora, poi si alzarono. Stavano per avviarsi verso la riva, quando delle grida di donna, seguite tosto da urla feroci, li arrestarono di colpo.
Al di là del circolo formato dalle danzatrici, degli uomini si agitavano imprecando, mentre una voce femminile ripeteva con voce singhiozzante:
«Lasciatemi, vili!»
«La maliarda! La maliarda!» si rispondeva da tutte le parti. «Confessa dove lo hanno acciecato! Vogliamo sapere dov’è il tesoro!»
«Che cosa succede?» chiese Mirinri, guardando Ata.
«Non lo so,» rispose questi.
Le grida della donna continuavano a echeggiare, mentre gli ubriachi che parevano fossero diventati improvvisamente furiosi, accorrevano da tutte le parti, imprecando e minacciando.
Le danzatrici e le suonatrici, spaventate, scappavano, abbandonando queste ultime i loro strumenti musicali che venivano calpestati senza misericordia dai bevitori.
Ad un tratto, in mezzo a quel tumulto che diventava spaventevole, si udì una voce tuonante a gridare:
«Acciechiamola e vendichiamo il povero Nufer!»
«Sì, sì, bruciamole gli occhi!» urlarono cento voci. «Arrossate un ferro! Ci dirà meglio la buona fortuna!»
«E c’indicherà dov’è il tesoro!» riprese la voce di prima.
Udendo quelle parole, Mirinri aveva fatto un balzo, strappando ad uno degli etiopi l’ascia di bronzo. Il suo braccio vigoroso alzò l’arma pesantissima come se fosse un semplice fuscello e prima che Ata ed Ounis avessero avuto il tempo di trattenerlo, si era scagliato con impeto irresistibile fra gli ubriachi, tuonando:
«Fermi, miserabili! Fermi o vi uccido tutti!»
«Mirinri!» aveva gridato Ounis.
Il giovane non udiva più la voce dell’uomo che lo aveva allevato e che gli era come un secondo padre.
Colla