Le figlie dei faraoni. Emilio Salgari
Чтение книги онлайн.
Читать онлайн книгу Le figlie dei faraoni - Emilio Salgari страница 15
Intanto in mezzo alla folla una voce di donna, strillante, energica, gridava:
«Bacino di fuoco! Anima dei boschi! Faro delle tenebre! Spirito della notte! Apri a me e maledici tutti questi infami! Ampê, Miripê, Ma, Tehibo Wouwore, tutti v’invoco!
«Seguiamolo!» aveva detto rapidamente Ata, rivolgendosi verso gli etiopi. «Mano alle armi e se oppongono resistenza non risparmiate nessuno.»
«Un’arma!» chiese imperiosamente Ounis. «Il mio braccio è ancora robusto.»
Ata si tolse dalla cintola uno dei due pugnali di rame, dalla lama assai larga ed affilata e glielo porse.
«Venite!» comandò poi.
Mirinri s’apriva il passo fra la folla. Pareva un ercole o meglio un leone furibondo.
«Largo!» tuonava senza posa. «Guai a chi tocca quella donna!»
Gli etiopi si erano già slanciati in suo aiuto. Quegli uomini, di forme robuste, dalla muscolatura potente, dovevano avere facile ragione sui battellieri e sui pescatori egizi, che male si reggevano sulle gambe dopo tanto vino bevuto.
Con una spinta formidabile penetrarono come un cuneo in mezzo alla folla, che già, passato il primo istante di stupore, cercava di rinserrare in mezzo il giovane e d’impedirgli di raggiungere la fanciulla, che continuava ad invocare il toro delle tenebre, il bacino di fuoco e tutte le divinità infernali in suo aiuto.
L’urto dei poderosi etiopi riuscì finalmente a sgominare quell’orda ubbriaca ed a respingerla contro i palmizi che circondavano lo spiazzo.
Mirinri potè così raggiungere la donna, che era stata lasciata sola.
Era una bellissima giovane, di forme splendide, con una lunga capigliatura nera, che portava sciolta sulle spalle invece di tenerla raccolta od intrecciata come le donne del basso Egitto, cogli occhi scintillanti d’un fuoco strano e penetranti come punte di spade.
I suoi lineamenti erano d’una purezza meravigliosa e la sua pelle aveva una tinta strana, paragonabile solo al bronzo dorato, con delle indefinibili sfumature rossastre, del più straordinario effetto.
Il petto era coperto da conche di metallo dorato; ai fianchi invece aveva una larga fascia a varie tinte, ricamata in argento, annodata dinanzi e coi capi cadenti fino al suolo. Al di sotto portava una kalasiris corta, a righe bianche, rosse ed azzurre, formata da tre pezzi con quello di mezzo terminante in una punta che scendevale fino al ginocchio.
Le gambe invece erano nude, adorne però di un gran numero di anelli d’oro squisitamente cesellati e con grossi smeraldi incastonati.
Anche ai polsi aveva dei monili ricchissimi e sul petto le cadeva una collana formata da turchesi che anche una Faraona le avrebbe invidiata.
«Chi sei tu?» chiese Mirinri colpito dall’affascinante bellezza di quella giovane e sopratutto dal fuoco intenso che le brillava nelle pupille nerissime.
«Nefer la maliarda,» rispose la giovane dardeggiando sul Faraone uno sguardo penetrante.
«Perché quei miserabili ti volevano uccidere?»
«Perché io leggo il futuro e volevano che additassi loro il tesoro del tempio di Kantapek.»
«Perché sei venuta qui?»
«Vado ove scintilla l’allegria.»
«Vuoi seguirmi?»
«Dove?»
«Sulla mia barca. Se rimani, questi ubriachi ti uccideranno.»
Un rapido lampo brillò nelle pupille profonde della maliarda e sul suo corpo parve passasse un fremito.
«Tu sei bello e valoroso,» disse poi, «ed io amo i belli ed i forti. Ti devo la vita.»
«Mirinri, affrettati,» disse Ounis. «Gli ubriachi ritornano e sono armati. Fuggiamo!»
Il giovane Faraone lanciò intorno a sé uno sguardo corrucciato e strinse l’ascia come se si preparasse a tener fronte alla bufera che lo minacciava, poi prese per mano la maliarda e la trasse via, dicendo:
«Sulla mia barca nessuno più ti minaccerà.»
L’orda degli ubriachi, rimessasi dalla sorpresa, sbucava dietro i tronchi dei palmizi, urlando ferocemente:
«A morte gli stranieri! Immoliamoli sull’altare di Bast!»
Non erano più inermi, come quando bevevano e danzavano attorno ai vasi monumentali che racchiudevano il vino di palma. Avevano archi, lancie, sbarre di bronzo per parare i colpi di spada, somiglianti ai frangispada usati nel Medioevo, pugnali di rame ad un solo taglio, simili alle seramasasce dei Merovingi, ascie di bronzo, poi picche che terminavano verso la cima in una specie di falce e coltellacci ricurvi dalla lama larghissima. Alcuni avevano persino indossate delle cotte di grosso filo, cosparse di laminelle di metallo, sufficienti a ripararli dalle frecce.
Resi arditi dal troppo vino bevuto e anche dal numero, s’avanzavano audacemente, ululando come lupi affamati ed imprecando, risoluti ad impedire ai naviganti di riattraversare il sett e di mettersi in salvo sul veliero.
Ata, vedendo che stavano per sbarrare il passo, trasse di sotto la fascia un sab, ossia una specie di flauto obliquo e vi soffiò dentro con forza, traendo alcune note acutissime, stridenti, che si potevano udite anche dall’altra parte del Nilo.
Tosto si videro gli etiopi, che stavano tagliando le erbe galleggianti, interrompere il lavoro e balzare come una legione di demoni attraverso quell’enorme agglomeramento di papiri e di loti, facendo roteare al di sopra delle loro teste le pesanti ascie di bronzo.
«Presto,» gridò Ata. «Di corsa!»
Mirinri, tenendo sempre per mano la maliarda, la quale d’altronde non sembrava affatto spaventata per la rabbia feroce che si era impossessata degli ubriachi, con due colpi d’ascia atterrò due uomini che gli avevano puntato contro due lancie, poi in pochi slanci raggiunse la riva del fiume, mentre i quattro etiopi di scorta, Ounis e Ata coprivano la ritirata, tenendo a distanza gli assalitori.
Il sacerdote specialmente, quantunque vecchio, lottava con una gagliardia che destava stupore in tutti. Pareva che in tutta la sua vita invece di far echeggiare il sistro nelle feste religiose, non avesse fatto altro che maneggiare le armi.
Cogli occhi in fiamme, il viso animato da una collera intensa, adoperava la pesante ascia meglio d’un guerriero, ribattendo, con un’abilità straordinaria, i colpi che gli venivano dati.
«Sàlvati, Mirinri!» gridava. «Basto io per questa canaglia!»
Sarebbe stato però indubbiamente oppresso, assieme ai suoi compagni, se i marinai del veliero non fossero giunti in buon punto a toglierlo dalle strette degli ubriachi, che erano diventati più furiosi che mai.
Quei colossi dell’alto Egitto, temuti dagli stessi Faraoni, i quali dovevano molti secoli dopo provarne il valore e cedere loro il trono, con una mossa fulminea coprirono Mirinri ed i suoi compagni, scagliandosi poi addosso agli assalitori con formidabili urla selvagge e massacrando senza misericordia i più vicini.
Le ascie, maneggiate da quegli atleti, spaccavano alla lettera in due le persone che non erano leste a fuggire o producevano