Straordinarie avventure di Testa di Pietra. Emilio Salgari

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Straordinarie avventure di Testa di Pietra - Emilio Salgari

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di Pietra!…»

      «Che cosa c’è ancora?»

      «Anche gli altri due canadesi sono misteriosamente scomparsi.»

      «Che affoghino tutti!…»

      «E la chiglia rade gli scogli.»

      «Non so che cosa farci.»

      «E non vi è nemmeno una scialuppa!…»

      «Salteremo in acqua anche noi.»

      «Con questo freddo?»

      «Ohé, Piccolo Flocco, diventi poltrone? Ha paura del freddo!… Ah che gioventù!… Già non hanno fatto le campagne dei pescatori di merluzzi.»

      Un terribile colpo di tallone che subì la fusta, lo fece quasi stramazzare sulla barricata.

      Proprio allora David, il quale era finalmente riuscito a ricaricare il suo catenaccio, fece fuoco mandando la palla assai lontana.

      Hulrik fu pronto a rispondere con due pistolettate.

      Sulla cima del grande albero si udì un grido, poi si vide il bandito lasciar cadere l’arma ancora fumante, issarsi sulla crocetta, prendere un grande slancio e scomparire fra le acque turbinanti del lago, sollevando un gran fiotto di spuma.

      «Finalmente siamo padroni noi della barca!…» gridò Testa di Pietra, il quale si era slanciato verso la murata di babordo per vedere se scorgeva il traditore. «Anche senza guida sapremo attraversare il lago.»

      «Con questa fusta?» chiese Piccolo Flocco dando un colpo di barra.

      «Con questa.»

      «È perduta, la sua carena si è aperta e gli scogli si succedono agli scogli.»

      «Che Davis ci abbia gettato qualche malefizio?»

      «Io so che al forte con questa barca non andremo mai. Odi?»

      «Per le trenta corna della taverna di Boston!… La chiglia se ne va pezzo a pezzo. Non sono sordo.»

      Una terribile ondata sollevò in quel momento la fusta e la scagliò attraverso una doppia linea di scogli.

      Si udì un rombo spaventevole ed il grande albero cadde attraverso la coperta allungandosi subito sulle acque sconvolte.

      «Frittata completa!…» esclamò Testa di Pietra, grattandosi nuovamente la nuca. «Non me l’aspettavo così presto. Cane d’un Davis, ci ha immobilizzati così lontani dal forte! Bah!… Sono cose che succedono agli uomini di guerra.»

      Alzò, come aveva l’abitudine, le spalle e si mise a guardare il lago il quale si gonfiava rapidamente, ruggendo.

      2 – Il naufragio

      Il lago Champlain è uno dei più piccoli del Canada, quantunque abbia una estensione notevole, che non può competere però coi giganteschi bacini dell’Ontario, dell’Eric e degli Uroni.

      Gl’inglesi, che già da tempo presentivano l’insurrezione americana, vi avevano costrutti numerosi forti fra i quali si vantava il Ticonderoga per vastità di cinte, di artiglierie e di guarnigione. Essendo il Champlain in comunicazione col mare, potevano salire la riviera del San Lorenzo, sorvegliare Quebec e Montreal e portare le loro navi, anche grosse, dovunque su quel vasto specchio d’acqua.

      Gli americani però, dopo aver espugnato Boston, aver liberato le province del Sud e conquistato New York, quantunque avessero subito sovente sanguinose disfatte, si erano precipitati sul Champlain per togliere ai loro avversari i forti; ed infatti, guidati dal generale Arnold, uomo animoso ma altrettanto ambizioso, nel 1775 erano riusciti ad impadronirsi di tutte le coste del lago, costringendo le guarnigioni ad abbandonare più che in fretta le loro posizioni, senza dar loro la possibilità di sparare un solo colpo di fucile.

      La guerra, che da tre anni si trascinava al di là del Canada, si era ora concentrata sul Champlain, premendo a Washington di assicurarsi le spalle, e tremila uomini valorosi, quantunque con scarse artiglierie e scarse salmerie, si erano insediati nel Ticonderoga, certi di poterlo difendere poiché, come abbiamo detto, era veramente imponente ed era costato sacchi di sterline e non pochi anni di lavoro.

      Gl’inglesi però, che trovavano grandi difficoltà ad arruolare truppe negli stati tedeschi e che abbondavano solamente di navi, non erano stati pronti alla riscossa, sicché il lago era caduto interamente nelle mani degli americani.

      La bufera però non doveva tardare a scoppiare. Molte navi cariche di truppe mercenarie e d’irlandesi avevano lasciata l’Inghilterra, decise a spazzare via i «pezzenti di Washington», come li chiamavano con profondo disprezzo.

      L’impresa di ricacciare gli americani dal Canada era stata affidata al generale Burgoyne, vecchio soldato che aveva molta esperienza e molta audacia, e che aveva combattutto in molte battaglie; impresa difficile certamente, ma che gl’inglesi, colla loro solita ostinazione, contavano di condurre a buon fine rapidamente, quantunque l’inverno fosse cominciato e si presentasse assai crudo.

      Il male è che le guarnigioni americane che avevano occupati i forti del Champlain, ignoravano completamente la terribile tegola che stava per piombare sulle loro teste.

      Avevano creduto che gli ultimi inglesi condotti dal generale Carleton, ormai scoraggiati, si fossero avviati verso il basso San Lorenzo per far ritorno in Inghilterra e si erano ingannati.

      La conquista del Canada, strappata violentemente alla Francia cinquant’anni prima, era costata troppi uomini e troppi denari per lasciarla ora nelle mani degli americani.

      Fortunatamente un legno corsaro olandese, che era salpato dall’Europa, aveva potuto forzare la crociera inglese ed affondare le sue ancore nella splendida Baia di New York.

      Il comandante, sapendo in quali critiche condizioni si trovava Washington, scarso ormai di truppe e quindi impotente a mandare altre truppe al Canada, si era affrettato ad avvertirlo della grossa spedizione di Burgoyne la quale stava per abbattersi sul Champlain.

      Urgeva mandare un uomo fidato a Ticonderoga con istruzioni che non ammettevano ritardi, ma le regioni intorno al lago erano abitate da Uroni e da Algonchini, i più formidabili guerrieri dell’America settentrionale e che ormai l’Inghilterra aveva arruolati in gran numero onde massacrassero quanti americani potevano cadere nelle loro mani e si divertissero a vederli spegnersi lentamente, fra le più orribili torture, ben legati al famoso palo dei prigionieri.

      Era un’impresa assai difficile anche perché l’inverno era cominciato, eppure urgeva mettere in guardia Arnold e Saint-Clair, onde non si facessero sorprendere, e prendere le loro misure per far fronte alla grossa burrasca che si avanzava sul Champlain.

      Fra i tanti animosi era stato scelto Testa di Pietra, il famoso cannoniere della Tuonante, uomo ormai diventato popolarissimo in America. Mac-Lellan, il suo capitano, l’aveva subito proposto ed il bretone se n’era andato con Piccolo Flocco, i due assiani, diventati ormai americani, ed una scorta di tre canadesi guidati da Davis.

      La traversata del Canada fino al lago era stata compiuta felicemente dal piccolo drappello, malgrado che gl’indiani fossero già in gran numero sul sentiero di guerra e pronti sempre a scotennare e torturare, ma Davis, che godeva la fiducia di Washington, non aveva tardato a rivelarsi quale veramente era. Comperato dagli inglesi, ai quali premevano le due lettere che Testa di Pietra effettivamente recava con sé, non aveva tardato

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