I rossi e i neri, vol. 1. Barrili Anton Giulio
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– Ma sapete, signor Lorenzo, – (la contessa Matilde disse proprio: Lorenzo) – che queste vostre parole mi mettono in pensiero? Sedetevi qui, accanto a me, e vediamo di poter discorrere tranquillamente. Ho da dirvi anzitutto perchè io v'abbia pregato a venir qua. —
Lorenzo si assise. Il cuore del giovine s'era inondato di gioia, all'udire che la contessa per la prima volta lo chiamava col suo nome di battesimo.
– Parlate, parlate, signora! – esclamò Lorenzo. – Voi sapete pure la mia vita esser vostra, e non essere cosa ai mondo la quale io non fossi lieto di fare per obbedirvi. —
Una stretta di mano lo ricompensò di quelle parole, e se una mano ardeva, l'altra non era fredda di certo.
– Voi siete un uomo d'onore; – incominciò a dire la contessa, con un tal poco di solennità nello accento, – lo so; e appunto per questo ho amato meglio volgermi dirittamente a voi. So che vi siete diportato da prode gentiluomo in un duello, nel quale avevate a contendere con uno dei più valenti schermidori della città, e me ne congratulo con voi, non già in quel modo e per quella costumanza volgare di una persona che s'incontra per via, ma con affetto sincero, ed anco, se non vi è discaro saperlo, con gratitudine, perchè c'era di mezzo una dama, e questa dama voi l'avete difesa, in vece del suo cavaliere che si dimostrava un codardo.
– Come, signora? Voi sapete…
– Sì, so tutto, e non mi riterrò neppure dal dirvi che quella dama… ero io.
– Voi, signora contessa! —
E così dicendo, Lorenzo Salvani la guardò trasognato, come per nuova che giunga inaspettata, sebbene egli stesso, fin da principio, avesse argomentato che l'invito della contessa Cisneri potesse avere qualche addentellato col suo duello di San Nazaro.
– Non vi faccia stupore! – proseguì rapidamente la contessa Matilde. – Se sapeste il fatto, non vi sarebbe difficile intendere quanto poca parte ci avessi. Ero nel mio palchetto in teatro, sul finire dello spettacolo, e mi aveva preso desiderio di salire nel Ridotto a vedere le maschere. Il dottor Collini era nel palchetto, come ci sono tanti altri, – (queste parole, in forma di parentesi, furono accompagnate da un sospiro) – ed egli mi si profferse per cavaliere. Detto, fatto; entrai mascherata nel ridotto, e fu allora che mi avvenne di dire al marchese di Montalto quelle innocenti parole che voi sapete…
– Io! non so nulla, signora contessa; – interruppe candidamente Lorenzo Salvani. – Il nome della signora mascherata non fu pronunziato da alcuno, ed io non chiesi nemmeno quali parole avessero dato appiglio alla contesa tra il Collini e Aloise di Montalto.
– Oh, mi fate respirare! – soggiunse la contessa. – Appunto a voi, cortese e leale come oggi vi conosco, ma come fin dall'altro giorno vi avevano decantato i padrini del vostro avversario, volevo chiedere se il mio nome fosse stato messo fuori. A voi, Salvani, – (la contessa qui disse proprio Salvani, tralasciando il titolo di cerimonia) – a voi non sarà ignoto che noi, povere donne, siamo come le nostre vesti di seta o di raso; una macchiuzza, e che sarebbe invisibile sulla vostra giubba di panno nero, le guasta per modo che non hanno più nessun pregio. Ora il solo avermi nominata, sebbene io sappia di non aver detto o fatto cosa biasimevole, l'esser posto il mio nome in mezzo ad una contesa di quella fatta, che fu sciolta per giunta col sangue, mi avrebbe cagionato un rammarico da non dirsi. —
Questo discorso fu fatto con piglio modesto dalla contessa, in quella che i suoi occhi non si dipartivano dal volto di Lorenzo, quasi interrogando i pensieri che gli passavano per la mente. Ed ebbe a rallegrarsi della sua attenzione, perchè Lorenzo aveva seguito con manifesta ansietà il racconto e si leggeva ne' suoi occhi come fosse contento di sapere che il Collini era per lei un semplice conoscente, e null'altro.
Quello di Lorenzo Salvani era un sentimento che tutti gli uomini conosceranno a prova. La donna che noi incominciamo ad amare non ha da essere sospettata, nè d'opere, nè di pensieri; non ha da aver fatto mai l'occhiolino ad un altro, sotto pena di scomunica. Ed ecco in qual modo si può diventar gelosi perfino del passato.
– Ora, – proseguì la contessa Matilde, – poichè ho cominciato, vi dirò tutto. Non vi annoio, già?
– Signora, – esclamò Lorenzo, con aria di dolce rimprovero.
– Eh, gli è che questi discorsi non mi paiono tali da premervi molto. Comunque sia, lasciatemi dire, e ci guadagnerete questo, che mi conoscerete un po' meglio. —
Il giovane rispose a queste parole afferrando per la seconda volta la mano della contessa, e stampandovi un bacio. Questo almeno era un modo di parlare che non si poteva togliere per un complimento, e non domandava nemmeno risposta. Matilde arrossì, sorrise malinconicamente, e senza ritrarre la mano da quelle di Lorenzo che la tenevano prigione, proseguì:
– Al marchese di Montalto, che conoscevo come tanti altri per averlo veduto in qualche veglia, dissi poche e cortesi parole. Ma, che volete? senza badarci, anzi senza saperlo, io debbo aver toccato un tasto delicato, e me ne duole, poichè un cuore di donna intende come pungano certi dolori; e sebbene egli non s'è mostrato molto cortese nel rispondermi, io lo stimo come un giovine abbastanza diverso da tanti e tanti altri.
– Avete ragione, – esclamò Lorenzo. – Aloise di Montalto è un vero gentiluomo. Egli a quest'ora sarà dolentissimo di essersi mostrato scortese con voi, quantunque io penso che non vi avesse conosciuta, e soltanto la presenza del Collini gli avesse inasprite le parole. Ma io lo conosco già tanto da potervi quasi affermare che, appena risanato, egli mi seguirebbe fin qui, per iscusarsi con voi.
– No, no, Salvani! Non ve ne date pensiero; – interruppe la contessa, ridendo. – Che importa a me, finalmente? Io stimo quel signore, ed oggi anche più di prima, poichè vedo che lo stimate voi: ma in verità non reputo necessario di conoscerlo più da vicino. —
Anche questo era un tocco maestro, e Lorenzo lo sentì, senza darsene ragione.
Egli stette silenzioso, ed ella egualmente; ma egli, se taceva, non rifiniva però dal guardarla con que' suoi occhi languidi.
– Or bene, – gli disse ella dopo un tratto, – che fate?
– Signora, adesso tocca a me. Il mio discorso era rimasto a mezzo; lasciatemelo dunque finire. Mi crederete voi se vi dirò che vi amo? Mi perdonerete voi se ardirò dirvelo?
– Signor Salvani!.. – esclamò la contessa, adombrando nella sua reticenza un timido rimprovero.
– Signora! – ripetè egli. – Poc'anzi avevate messa da parte questa inutile parola.
– Davvero? Ah, mi avvedo che perdiamo il capo ambedue. Siatemi invece cortese di finir l'opera vostra. Il mio disegno vi attende, perchè gli diate l'ultima mano.
– Debbo finirlo? Vi preme tanto?
– O che, non mi avrebbe a premere? Qual conto fate di me? Suvvia, da bravo, venite. —
Ciò detto, la contessa Matilde si alzò e condusse Lorenzo al tavolino.
– Ma non