I rossi e i neri, vol. 1. Barrili Anton Giulio
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Dall'altro lato del salotto, sollevando la portiera di seta, si vedeva la camera da letto; ma in questa non metteremo piede, contentandoci di restare, con maggior profitto per il nostro racconto, nella sala da studio, a sentire che cosa dicesse Aloise col marchesino Pietrasanta, aspettando che il servitore andasse a cercare una carrozza da nolo, per condurli a diporto.
Su quel divano turchesco, che abbiamo accennato, era seduto, anzi mezzo sdraiato il Pietrasanta, facendosi puntello del gomito alla persona, e chiudendo beatamente gli occhi ad ogni boccata di fumo che mandava fuori. Perchè, voi già l'avete indovinato, o lettori che indovinate ogni cosa, egli fumava; e noi vi aggiungeremo che fumava i due terzi del giorno, e un terzo delle seimila lire che gli dava il marchese padre per le sue male spese. Il che è quanto dire che fumava molto; non sigari di Avana, che si fabbricano a Malta, nè di Manilla, che si fabbricano ad Amburgo, ma sigarette turche, ed autentiche.
Enrico Pietrasanta era un buon giovine; in fondo nè carne, nè pesce, ma di ottima pasta. Non aveva mai fatto male ad alcuno; a parecchi aveva anzi reso servigio; amava il suo cavallo e si lasciava amare da una ballerina, aspettando che i suoi parenti gli scegliessero quella donna che avrebbe dovuto amare per tutta la vita; andava spesso a ragionare col sarto intorno alle nuove fogge della quindicina; non s'impacciava di politica, ma non poteva patire la compagnia del prete di casa e non parlava mai con irriverenza della rivoluzione, del progresso e degli uomini più chiari per le opere della penna o della spada a servizio della patria. Uomo insomma, che, con altro indirizzo, avrebbe potuto diventar utile alla sua terra, ma che, stretto d'ogni parte dalle consuetudini de' suoi pari, nè forte tanto da rompere il freno, si rassegnava a vivere inoperoso.
Era però naturale che tra lui ed Aloise di Montalto corresse una maggiore dimestichezza, sebbene non fosse pari la tempra dell'animo. Nella cerchia de' suoi pari ognuno si legge quel compagno che gli sembra più di suo gusto; Aloise aveva accettato, come suo Pilade, il marchesino Pietrasanta, nobile come lui, sebbene a gran pezza più ricco, generoso di sensi come lui, sebbene alquanto più fiacco.
Il Pietrasanta, che ci siamo studiati di far conoscere un poco, era sdraiato sul divano, Aloise era seduto al pianoforte e per la prima volta dopo la sua malattia stava suonando qualche melodia, così per rifarsi la mano.
– Dunque tu dici, – esclamò egli, poichè fu giunto agli ultimi accordi di una di quelle geniali romanze che andava appunto allora mettendo fuori il Mariani, – che mi avevano già bello e spacciato, in casa Pedralbes?
– Eh davvero! Non ti mancava più altro che il becchino per darti quattro martellate sulla cassa. Figurati! In un momento di pazzia, o di tedio andato in cancrena (che bene non si sapeva dire), tu avevi voluto scendere dal letto. La ferita appena rimarginata si era aperta da capo; d'onde il sangue a rigagnoli, lo svenimento, una febbre da cani, il dottore Mattei con le mani nei capelli… e tante altre novelle di questa fatta.
– Ma chi le ha spacciate, queste frottole? – chiese Aloise, che non poteva tenersi dalle risa.
– Credo il piccolo Riario, il quale a sua volta le aveva pescate sulla piazza delle Fontane Amorose, nella fermata delle quattro. Insomma, mio povero Aloise, tu eri morto, e in casa Pedralbes ti facevano l'orazione funebre. C'era la Clelia, col marito, la Isabella, la Clarice, e tutta la gente solita che t'ha imbalsamato di finissimi unguenti come si usava nell'antico Egitto coi morti più illustri. E sai? La signora Violante, quella stecchita padrona di casa che dice una parola ogni mezz'ora, a guisa degli orologi da camera, si è degnata di sentenziare che i Montalto erano una buona casata, e che le doleva di vederla cadere a quel modo, per la tua fine immatura.
– E tu non hai risposto nulla?
– Io? bravo! e come vuoi che facessi, se non c'ero? Questa parte della conversazione io l'ho dal Cigàla, che era presente, e sapeva benissimo che quella era una frottola raccolta in piazza, ma voleva godersi la scena, il manigoldo! Quando giunsi io, puoi immaginarti come tutti mi si stringessero ai panni, per sapere se eri morto, o se ti disponevi a morire da buon cristiano. – Non dubitate, – m'affrettai a rispondere, – quello è un uomo che, messo al punto, non fallirà alla fede de' suoi padri; ma fino ad ora, grazie a Dio, egli non è al punto di tirare le cuoia. L'ho lasciato poc'anzi, vivo e fuori del letto, con licenza del medico, e se non è morto per avventura dacchè sono uscito di casa, io credo che egli terrà la promessa di venir domattina a fare una gita in carrozza fino a Nervi. —
Qui il Pietrasanta buttò la sigaretta, che gli si era spenta nella furia del discorso, ne prese un'altra, l'accese e continuò:
– Il piccolo Riario divenne rosso come una ciliegia, e dalle parole che balbettò intesi che lo spacciatore di quella panzana era stato lui. La signora Violante e tutte l'altre persone si rallegrarono, e fu una festa da non dirsi a parole, come nel fine di tutte le favole che mi raccontava la balia quand'ero piccino.
– Sei un bel pazzo! – soggiunse Aloise a mo' di commento.
– Ah, dimenticavo la più bella. Sai tu, Aloise, chi si cura molto di te e della tua salute? Te la potrei dare alle cento, e non l'indovineresti. Il taciturno tiranno di Quinto. —
All'udire quel nome, del quale daremo a suo luogo la spiegazione, Aloise rizzò il capo, ed era lì lì per balzar dal sedile; ma si contenne, pensando che l'amico avrebbe potuto farne le meraviglie e cavarne appiglio a qualche arrisicata congettura.
– Il signor Antoniotto? – chiese egli allora con una cert'aria di candore che pareva tolta a prestanza.
– Sì, – rispose il Pietrasanta, – il signor Antoniotto Torre Vivaldi, tiranno di Quinto e dei paesi circostanti, schiuma di __paolotto__ e assiduo ascoltatore di messe nella chiesa della Maddalena.
– Sta bene; ma che cosa ti ha detto egli?
– «Caro Pietrasanta, mi ha detto, non potete credere come mi prema di quel giovine. Ho conosciuto molto suo padre, e ricordo __eziandio__ che ai tempi antichi i Montalto erano scritti nel nostro albergo». – Avrebbe potuto dire nell'albergo di sua moglie, poichè da lei prende il nome di Vivaldi; ma già tu sai che il marchese Antoniotto si crede anco lui un discendente di quel navigatore… aiutami tu a dire il nome, e la terra che avrà sicuramente scoperto.
– Voi dire Ugolino Vivaldi. E aggiungi il fratello Vadino. Ma anche in due, non scopersero nulla, poveracci, e pare che naufragassero alle coste della Guinea, dove un secolo e mezzo più tardi credette di riconoscerne i discendenti un altro Antoniotto, del casato Usodimare.
– Vedi che combinazione! L'Antoniotto moderno se l'è proprio dimenticata. Ma che i tuoi antenati fossero scritti nel suo albergo, lo ha ben voluto ricordare. Ringrazialo della sua degnazione, come io l'ho ringraziato in tuo nome della sua sollecitudine per te.
– Hai fatto benissimo; – rispose Aloise. – Ma come poteva trovarsi iersera in casa Pedralbes, egli che non esce mai di casa senza… sua moglie? —
Queste ultime parole duravano fatica ad uscirgli di bocca; pure, gli bisognava dirle, se voleva farsi intendere dal Pietrasanta.
– To', – rispose questi, – egli non ha mica il torto! Sua moglie è, per tutti gli Dei, la più bella donna di Genova, e potrei aggiungere anco di altri luoghi parecchi. Hai tu mai notato, Aloise, che grandi occhi verdi?
– Verdi!