Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 5. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 5 - Edward Gibbon

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inventato dal livor degli Arriani. Ma che volete aspettarvi di coerente da un Autore, il quale ad onta degli originali ed autentici monumenti, onde confessa esser giustificate le apologie e le lettere ai Monaci di Atanasio ha la stravaganza di dichiararsi di prestarvi minor fede: perchè egli troppo vi apparisce, innocente e troppo assurdi gli avversari di lui? Intanto con questo suo modo di pensare e di scrivere ci fa toccar con mano, come non vi ha assurdo delirio, di cui non sia capace un uomo preoccupato dallo spirito di religioso partito, o di una tolleranza sfrenata. Osservatelo più distintamente in Giuliano l'Apostata.

      Già v'immaginerete, che egli debba esser l'Eroe del Sig. Gibbon, ed in sostanza è così. Erano inimitabili, dice egli, le virtù di Giuliano, ed il suo trono era la sede della ragione, della virtù, e forse della vanità, vanità, che il medesimo nostro Critico non si risovvenendo del forse chiama eccessiva. Io non istarò a discutere quale alleanza possa darsi tra la vera virtù e la vanità: Teologia sarebbe questa troppo sublime per uno che applaude ai Protestanti della Francia, della Germania, e dell'Inghilterra per aver sostenuta con l'armi la civile e religiosa lor libertà contro la teoria e la pratica costante dei primi Cristiani, e che giudica lo stesso Giuliano tollerabil Teologo sebben sostenga che Cristo è uomo puro, e che la Trinità non è dottrina nè di Paolo, nè di Gesù, nè di Mosè. Chiederò solo al Sig. Gibbon primieramente, se Giuliano costantemente, o spesso almeno si rammentava di quella fondamental massima di Aristotele, che la vera virtù si trova in ugual distanza fra gli opposti vizi? Ora ei mi risponde, che l'indole di Giuliano era di rammentarsene rare volte. Dunque il trono di lui non era la sede della ragione e della virtù, ed il Sig. Gibbon si contraddice160. Domando a voi in secondo luogo, se l'ingiustizia, l'ingratitudine, la mala fede, la leggerezza di naturale siano ragionevoli e virtuose? Una simile domanda ecciterà forse le vostre risa, e forse il vostro sdegno. Incolpatene il Sig. Gibbon: egli è che mi obbliga a farvela. Imperciocchè se la giustizia medesima parve che piangesse il fato di Ursulo tesorier dell'Impero, ed il suo sangue accusò l'ingratitudine di Giuliano, di cui si erano opportunamente sollevate le angustie dall'intrepida liberalità di quell'onesto Ministro; se l'Imperatore stesso restò profondamente colpito dai propri rimorsi per un attentato, che Ammiano (L. XX.) chiama impurgabile, o conviene ammettere un'ingiustizia ed una ingratitudine ragionevole e virtuosa, o d'uopo è confessare, che il trono di Giuliano non fu la sede della ragione e della virtù. Si obbligò ancora Giuliano con una promessa, che avrebbe dovuto esser sempre inviolabile, che se gli Egizi, i quali altamente richiedevano i doni fatti o illegittimamente o per imprudenza, fosser comparsi in Calcedonia, avrebbe ascoltato in persona, e decise le lor querele; ma intanto dal trono, che era la sede della ragione e della virtù, partì un ordine assoluto, che vietando di trasportare a Costantinopoli Egizio veruno, esausta la loro pazienza e il denaro, furono costretti a tornare con isdegnosi lamenti al nativo loro paese. Ma vi è di più. L'Imperatore, che occupava quel trono, sede della ragione e della virtù, sostenne l'ingiustizia di escludere i Cristiani da tutti gli uffizi di fedeltà e di profitto, maliziosamente rammentando loro, che non era lecito ad un Cristiano di usar la spada o della giustizia o della guerra, e dissimulando più che potè l'ingiustizia, che esercitavasi in nome di lui dai Ministri, (per quanta tara si debba fare all'espressioni degli Storici Ecclesiastici) esprimeva il suo real sentimento intorno alla loro condotta con dolci riprensioni e con reali premi e per finirla, quell'Imperatore medesimo leggiero di naturale ordinò senza prove, che fosse immediatamente eseguita la vendetta contro i Cristiani, ai quali un leggierissimo rumore imputava l'incendio del Tempio di Dafne. Con tutto ciò affinchè sembri mancar qualche cosa alla grazia e perfezione della intera figura, bisogna guardare con minuta e forse malevola attenzione il ritratto di Giuliano, poichè ei cercò sempre di unire l'autorità con il merito, e la felicità colla virtù.

      Siccome questo giudizio intorno a Giuliano è espresso da Gibbon in un paragrafo a parte, il quale ha per titolo (il suo carattere), però mi azzardai di asserire, che questo Imperatore è il suo Eroe. Non lo è per altro del Mosheim dottissimo Protestante ancor esso. Fate di grazia il confronto di questi giudizi: «Per collocare (dice questo Scrittore, Storia Eccl. Sec. I. part. n. 13.) Giuliano tra i più grandi uomini, conviene essere od acciecato all'eccesso dai propri pregiudizi, o non aver letto giammai con attenzione le opere di lui, o non aver finalmente alcuna giusta idea della vera grandezza. Il carattere di Giuliano presenta pochi di quei tratti, che contraddistinguono un uomo grande… Egli era superstizioso all'eccesso; prova ben chiara di un intelletto limitato e di uno spirito basso e superficiale… Aggiungete a ciò l'ignoranza la più perfetta della vera filosofia, e giudicate se Giuliano quand'anche fosse superiore in alcuna cosa ai figli di Costantino, non è però al di sotto di Costantino medesimo ad onta delle ingiurie con cui l'opprime, e del disprezzo che ne mostra in qualsivoglia occasione». Voi forse potrete dirmi, letta che avrete la storia del Sig. Gibbon, che ancora egli confessa essere stato Giuliano credulo all'arte divinatoria quant'altri mai, dissimulatore solenne in fatto di Religione, per una strana contraddizione avere sdegnato il giogo salutare del Vangelo, mentre fece una volontaria offerta di sua ragione sugli altari di Giove e di Apollo e preferì gli Ancili alla Croce, essersi per fine avvilito con le visioni e coi sogni e con una superstizione che pose in pericolo la sorte dell'Impero Romano. Che se è così, perchè dunque per una più strana contraddizione asserire che inimitabili furono le virtù di Giuliano, e che bisogna riguardare con minuta, e forse con malevola attenzione il ritratto di lui, affinchè sembri mancar qualche cosa alla grazia e perfezione dell'intera figura? O fidatevi del Sig. Gibbon, quando si tratta di formare i caratteri! Finisco con fare una osservazione di quello, che ei fece in generale delle Sette Cristiane, cioè di quegli ostili Settari, che prendevano i nomi di Ortodossi e di Eretici; ai quali la nostra tranquilla ragione, a suo dire, imputerà un uguale, o almeno «non molto diversa dose di bene e di male … poichè sì dall'una che dall'altra parte poteva esser lo sbaglio innocente, la fede sincera, la pratica meritoria o corrotta». Qui sicuramente si parla degli Atanasiani od Omousiani, e degli Arriani loro avversari. Ma questi servironsi per ripetute confessioni del Sig. Gibbon dell'ambiguità dell'ingegnosa malizia, di una squisita malignità dell'inganno, dei destri maneggi, dell'arte sofistica; questi, che al Concilio di Tiro avevan segretamente determinato di fare apparir delinquente, e di condannare il lor nemico Atanasio, procurarono di mascherare la loro INGIUSTIZIA coll'imitazione della forma giudiciaria. Questi, opponendosi alla causa di Atanasio, opponevansi ancora alla Fede Nicena, di cui egli era il campione, ed alla verità religiosa. Ed in uomini di tal tempra poteva esser lo sbaglio innocente, la fede sincera? E questo non è un contraddirsi, ed un abusarsi della pazienza d'un onorato lettore?

      LETTERA II

      Vi ho fatto osservare nella mia prima lettera, che il Sig. Gibbon si protesta di non poter ammettere la delicatezza del Baronio, del Valesio, e del Tillemont, che quasi rigettano il racconto di Palladio intorno al rifugio di S. Atanasio in casa della Vergine Alessandrina, che egli con ogni scaltrezza vorrebbe pure far credere una lunga corrispondenza amorosa. E che? Sarebbe forse un troppo gran torto fatto a Palladio, il preferire alla sua l'autorità di S. Gregorio Nazianzeno, e di Atanasio medesimo, il quale attesta, che subito dopo l'invasione della Chiesa di Alessandria fatta da Siriano fuggissi nell'Eremo? Che ivi poi si trattenesse per lungo tempo il dimostrano le lettere, che ei di colà scrisse, come ne fa fede la data161, e il conferma la minuta descrizion del saccheggio dato a quei Monasteri dai furibondi soldati, che l'obbligarono a ricovrarsi in un orrido nascondiglio. Ma quando fosse stato sì scrupoloso il Sig. Gibbon da negar tutto a Palladio, perchè invece di far una vana pompa di delicatezza di stile non ha piuttosto avvertito, che non apparteneva alle vergini il lavare i piedi dei Santi, che l'intrepido Campion della fede Nicena non era sì molle da esigere da una vergine un tale uffizio in mancanza di vedove162, che quella vergine inerendo al racconto dello stesso Palladio doveva essere allora non di venti anni, ma quasi quadragenaria, e che finalmente brevissima e transitoria dovette essere la dimora del S. Arcivescovo presso di lei, essendo fuor di ogni dubbio, che egli visse nel deserto

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<p>160</p>

Grot. L. I. c. 4. Bossuet Var. l. 10.

<p>161</p>

V. Athan. Epist. ad Lucif. et Serapion.

<p>162</p>

Vedi Hermant Vie de S. Athanas.