Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 7. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 7 - Edward Gibbon

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più vergognosi, ed umilianti per la dignità della natura umana239. L'esempio del povero che comprava la sua vita col sacrifizio di tutto ciò, che può render la vita stessa desiderabile, fu appoco appoco imitato dal debole, e dal devoto che, in tempi di pubbliche turbolenze, vilmente correva in folla a ripararsi sotto il baloardo d'un potente Capo, ed intorno alle reliquie d'un santo popolare. Si accettava la lor sommissione da questi temporali o spirituali padroni; ed il precipitoso atto irreparabilmente fissava la lor condizione, e quella dell'ultima loro posterità. Dal regno di Clodoveo, per cinque secoli successivi, le leggi, ed i costumi de' Galli furono uniformemente diretti a promuovere l'accrescimento, ed a confermar la durata della personal servitù. Il tempo, e la violenza quasi cancellarono i gradi intermedi della società; e lasciarono un oscuro, ed angusto intervallo fra il nobile e lo schiavo. Quest'arbitraria e recente divisione si è trasformata dall'orgoglio e dal pregiudizio in una distinzion nazionale, universalmente stabilita dalle armi e dalle leggi de' Merovingi. I Nobili, che vantavano la genuina o favolosa lor discendenza dagl'indipendenti, e vittoriosi Franchi, hanno sostenuto l'inalienabil diritto di conquista, e ne hanno abusato sopra un'avvilita folla di schiavi e plebei, a' quali attribuivano l'immaginaria disgrazia d'una estrazione Gallica o Romana.

      Lo stato generale e le rivoluzioni della Francia, nome imposto a quel regno da' conquistatori, può illustrarsi coll'esempio particolare d'una Provincia, di una diocesi e d'una Famiglia Senatoria. L'Alvergna in antico aveva conservato una giusta superiorità fra gli Stati, e le città indipendenti, della Gallia. I bravi e numerosi abitatori di essa mostravano un trofeo singolare, cioè la spada che Cesare stesso avea perduto quando fu rispinto dalle mura di Gergovia240. Risguardandosi essi come discendenti comuni di Troia, vantavano una fraterna connessione co' Romani241: e se ogni Provincia avesse imitato il coraggio e la fedeltà dell'Alvergna, si sarebbe potuto impedire, o differir la caduta dell'Occidentale Impero. Mantennero costantemente la fedeltà, che avevano con ripugnanza giurata a' Visigoti; ma quando i loro più valorosi nobili restarono uccisi nella battaglia di Poitiers, accettarono senza resistenza un vittorioso e cattolico Sovrano. Si compì, e si possedè questa facile e pregevol conquista da Teodorico, figlio maggiore di Clodoveo: ma era separata da' suoi Stati d'Austrasia quella distante Provincia, per l'interposizione de' regni di Soissons, di Parigi e d'Orleans che dopo la morte del padre formarono l'eredità de' suoi tre fratelli. Childeberto, Re di Parigi, fu tentato dalla vicinanza e dalla beltà dell'Alvergna242. La campagna superiore, che s'innalza verso il mezzodì nelle montagne di Cevennes, presentava un ricco e vario prospetto di boschi e di pasture; i lati de' colli eran vestiti di viti; ed ogni eminenza era coronata da una villa o da un castello. Nell'Alvergna inferiore, il fiume Allier scorre per la bella e spaziosa pianura di Limagna; e l'inesausta fertilità del suolo somministrava, e tuttavia somministra, senz'alcuno intervallo di riposo, la costante ripetizione delle stesse raccolte243. Sulla falsa notizia, che il legittimo loro Sovrano fosse stato ucciso in Germania, si rese la città e diocesi d'Alvergna dal nipote di Sidonio Apollinare. Childeberto godè di questa clandestina vittoria; ed i sudditi liberi di Teodorico minacciarono d'abbandonare le sue bandiere, se si lasciava trasportare dal suo sdegno privato, mentre la nazione era impegnata nella guerra di Borgogna. Ma i Franchi d'Austrasia tosto cederono alla persuasiva eloquenza del loro Re. «Seguitemi,» disse Teodorico, «nell'Alvergna; io vi condurrò in una Provincia, dove potrete acquistare dell'oro, dell'argento, degli schiavi, del bestiame e de' mobili preziosi in quell'abbondanza, che potete desiderare. Io vi confermo la mia promessa: vi do in preda il Popolo e la sua ricchezza; e voi potrete a vostro piacere trasportar tutto nel vostro paese.» Mediante l'esecuzione di questa promessa, Teodorico perdè giustamente la fedeltà d'un Popolo ch'ei condannò alla distruzione. Le sue truppe, rinforzate da' più feroci Barbari della Germania244, sparsero la desolazione sulla fruttifera faccia dell'Alvergna; e solo due Piazze, un forte castello, ed un santuario furon salvati o redenti dal licenzioso loro furore. La Fortezza di Meroliac245 era posta sopra un'alta rupe, che s'innalzava cento piedi sulla superficie del piano; ed erano incluse dentro il ricinto delle sue fortificazioni, una gran conserva d'acqua fresca, ed alcune terre coltivabili. I Franchi risguardavano con invidia e disperazione quella insuperabil Fortezza: ma sorpresero una truppa di cinquanta soldati dispersi, e siccome erano oppressi dal numero de' loro schiavi, fissarono l'alternativa della vita ad un piccolo prezzo, o della morte per queste miserabili vittime, che i crudeli Barbari eran pronti a scannare, se la guarnigione ricusava di rendersi. Un altro distaccamento penetrò fino a Brivas o Brioude, dove gli abitanti si erano rifuggiti co' loro mobili di più valore nel Santuario di S. Giuliano. Le porte della Chiesa resisterono all'assalto; ma un audace soldato v'entrò per una finestra del Coro, ed aprì il passo a' suoi compagni. Si strapparono crudelmente dall'altare il Clero ed il Popolo, le spoglie sacre e le profane; e si fece la sacrilega divisione ad una piccola distanza dalla città di Brioude. Ma quest'atto d'empietà fu severamente punito dal devoto figlio di Clodoveo. Ei gastigò con la morte i delinquenti più atroci; rilasciò i segreti lor complici alla vendetta di S. Giuliano; liberò gli schiavi; restituì la preda; ed estese i diritti del santuario a cinque miglia in giro intorno al sepolcro del santo Martire246.

      Prima che l'armata d'Austrasia si ritirasse dall'Alvergna, Teodorico volle qualche sicurezza della futura fedeltà d'un Popolo, il giusto odio del quale non poteva frenarsi, che dal timore. Fu data in mano del Conquistatore una scelta truppa di nobili giovani, figli de' principali Senatori, come ostaggi della fede di Childeberto e de' suoi Nazionali. Al primo rumore di guerra o di cospirazione quest'innocenti giovani furono ridotti ad uno stato di servitù; ed uno di loro, chiamato Attalo247, le avventure del quale sono più particolarmente riferite, custodiva i cavalli del suo padrone nella Diocesi di Treveri. Dopo una penosa ricerca, fu egli trovato in quell'indegna occupazione da quelli che aveva mandato il suo avo Gregorio, Vescovo di Langres; ma le lor offerte di riscatto vennero duramente rigettate dall'avarizia del Barbaro, che esigeva un'esorbitante somma di dieci libbre d'oro per la libertà del nobile suo schiavo. Si effettuò la sua liberazione, mediante l'arrischioso stratagemma di Leone, schiavo attenente alle cucine del Vescovo di Langres248. Un incognito agente facilmente l'introdusse nell'istessa Famiglia. Il Barbaro comprò Leone per il prezzo di dodici monete d'oro; ed ebbe piacere d'intendere, ch'egli s'era molto abilitato nel lusso d'una tavola Episcopale: «Domenica prossima,» disse il Franco, «inviterò i miei vicini e parenti. Impiega tutta la tua arte, e costringili a confessare, ch'essi non hanno mai veduto, nè gustato un pranzo simile neppure in casa del Re». Leone l'assicurò, che se egli avesse provveduto una sufficiente quantità di polli, sarebbero stati soddisfatti i suoi desiderj. Il padrone, che già aspirava al merito d'una elegante ospitalità, si prese come sua la lode che i voraci commensali concordemente diedero al suo cuoco; ed il destro Leone insensibilmente acquistò la confidenza, ed il maneggio della famiglia. Dopo aver pazientemente aspettato un intiero anno, ei disse cautamente ad Attalo il suo disegno, e l'esortò a prepararsi alla fuga nella seguente notte. Le intemperanti persone, convitate a cena, uscirono quella sera a mezza notte da tavola; ed il genero del Franco, che Leone servì al suo appartamento con una bevanda notturna, andava scherzando sulla facilità, con cui poteva esso tradire la sua fede. L'intrepido schiavo, dopo aver sostenuta questa pericolosa celia, entrò nella camera del suo padrone; ne tolse la lancia e lo scudo; trasse tacitamente i più veloci cavalli dalla stalla; aprì le pesanti porte, ed eccitò Attalo a salvare con pronta diligenza la propria vita e libertà. I loro timori gli mossero a lasciare i cavalli sulle rive della Mosa249; passarono il fiume a nuoto, andaron vagando tre giorni per la vicina foresta; e sussisterono solo per l'accidentale scoperta che fecero d'un susino salvatico. Mentre stavan nascosti in un oscuro bosco, udiron lo strepito de' cavalli; furono spaventati dal truce aspetto del loro padrone; e con orrore sentirono la sua dichiarazione, che se poteva prendere i rei fuggitivi, voleva tagliarne uno a pezzi con la sua spada, ed espor l'altro sopra un patibolo. Finalmente Attalo, ed il fedel suo Leone giunsero all'amica abitazione d'un Prete di Reims, che

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<p>239</p>

Licentiam habeatis mihi qualemcumque volueritis disciplinam ponere: vel venumdare, aut quod vobis placuerit de me facere. Marculf., Formul. l. II 28 in Tom. IV p. 497. La formula del Lindembrogio (p. 559) e quella d'Angiò (p. 565) portano il medesimo effetto. Gregorio di Tours (L. VII c. 45 in Tom. II pag. 311) parla di molte persone, che in una gran carestia si venderono per mangiare.

<p>240</p>

Quando Cesare la vide, si mise a ridere (Plutarco, in Caesar. Tom. 1 p. 409); pure riferisce l'infelice suo assedio di Gergovia con minor franchezza di quella che avremmo potuto aspettare da un grand'uomo, a cui la vittoria era famigliare. Ei confessa però, che in un attacco perdè quarantasei centurioni, e settecento uomini (de Bello Gallic. l. VI c. 44, 53 in Tom. I p. 270, 272).

<p>241</p>

Audebant se quondam fratres Latio dicere, et sanguine ab Iliaco populos computare. Sidonio Apollinare l. VII epist. in Tom. I p. 799. Io non so i gradi e le circostanze di questa favolosa discendenza.

<p>242</p>

O la prima, o la seconda divisione, seguìta fra' figli di Clodoveo, aveva portato il Berry a Childeberto (Greg. Turon. l. III c. 12. in Tom. II p. 192). Velim (dic'egli) Arvernam Lemanem, quae tanta jucunditatis gratia, refulgere dicitur, oculis cernere (l. III c. 9 p. 191). La campagna era coperta da una densa nebbia, quando il Re di Parigi fece il suo ingresso in Clermont.

<p>243</p>

Per la descrizione dell'Alvergna, vedi Sidonio (L. IV Epist. 21 in Tom. I p. 793) con le note del Savaron e del Sirmondo (p. 279 e 51 delle respettive edizioni), Boulainvilliers (Etat de la Franc. Tom. II p. 242, 268) e l'Abbate De la Longuerue (Descript. de la France P. 1 p. 132, 139).

<p>244</p>

Furorem gentium, quae de ulteriore Rheni amnis parte venerant, superare non poterat (Gregor. Turon. L. IV c. 50 in Tom. II p. 229). Tale fu la scusa d'un altro Re d'Austrasia (an. 475) per le devastazioni, che le sue truppe commisero nelle vicinanze di Parigi.

<p>245</p>

Dal nome e dalla situazione, i Benedettini, editori di Gregorio di Tours (in Tom. II p. 192) hanno stabilito questa Fortezza in un luogo chiamato Castel Merliac, lontano da Mauriac due miglia, nell'Alvergna superiore. In tale descrizione io traduco infra come se dicesse intra. Si confondono perpetuamente queste due preposizioni da Gregorio, o da' suoi copisti; e sempre bisogna decidere a senso.

<p>246</p>

Vedi queste rivoluzioni e guerre dell'Alvergna presso Gregorio di Tours (L. II c. 37 in Tom. II p. 183 e L. III c. 9, 12, 13 p. 192, 194 de miracul. Juliani c. 13 in T. II p. 446). Egli frequentemente dimostra lo straordinario suo riguardo per la propria Patria.

<p>247</p>

La storia d'Attalo si racconta da Gregorio di Tours (L. III c. 16 in Tom. II p. 193, 195). Il P. Ruinart, editore del medesimo, confonde quest'Attalo, che nell'anno 532 era un fanciullo (puer), con un amico di Sidonio dell'istesso nome, ch'era Conte d'Autun, cinquanta o sessanta anni prima. Tal errore, che non si può attribuire ad ignoranza, viene in certo modo scusato dalla sua stessa grandezza.

<p>248</p>

Questo Gregorio, Bisavolo di Gregorio di Tours (in Tom. II p. 197, 490), visse novanta due anni; avendone passati quaranta come Conte d'Autun, e trentadue come Vescovo di Langres. Secondo il Poeta Fortunato dimostrò un ugual merito in questi diversi posti.

Nobilis antiqua decurrens prole parentum,Nobilior gestis, nunc super astra manet.Arbiter ante ferox, dein pius ipse sacerdos,Quos domuit judex, fovet amore patris.
<p>249</p>

Poichè il Valois, ed il Ruinart han voluto cangiare la Mosella del testo nella Mosa, a me tocca d'approvare tal cangiamento. Pure avendo fatto qualche osservazione sulla topografia, potrei difendere la comune lezione.