Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 12. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 12 - Edward Gibbon

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e pronipote di Almerico, o di Amauri. Il pubblico voto, e una sentenza di Filippo Augusto, le aveano dato in isposo Giovanni di Brienne, uscito di una nobile famiglia della Sciampagna, e additato siccome il più valoroso fra i difensori di Terra Santa149. Nella quinta Crociata, condottiero di centomila Latini portatosi alla conquista dell'Egitto, terminò l'assedio di Damieta coll'impadronirsi di questa Fortezza; i disastri che succedettero a tale resa, vennero unanimamente attribuiti all'avarizia e all'orgoglio del Legato Pontifizio. Dopo aver data in isposa la propria figlia a Federico II150, l'ingratitudine dell'Imperatore lo costrinse ad accettare il comando delle truppe della Chiesa: perchè comunque avanzato negli anni e privato della sua corona, il valente e generoso Giovanni di Brienne ognor pronto mostravasi a brandire la spada, se l'utile della Cristianità lo chiedeva. Non avendo regnato che sette anni Roberto di Courtenai, il fratello di lui Baldovino non poteva essere uscito ancor dell'infanzia, e intanto i Baroni di Romania vedeano la necessità di rimettere lo scettro fra le mani d'un adulto e d'un eroe. Il nome e l'uffizio di reggente, cose non erano da offerirsi al rispettabile Re di Gerusalemme. Onde accordaronsi di conferirgli, sua vita durante, il titolo e le prerogative imperiali, sotto l'unico patto che ei concedesse la figlia sua secondogenita in moglie a Baldovino, serbato nella maggiorità degli anni a succedergli nel trono di Costantinopoli. La scelta di Giovanni di Brienne, la sua presenza e la sua fama, fecero rinascere la speranza de' Greci e de' Latini. Ammiravano il contegno guerriero151, il vigor d'un vegliardo che gli ottant'anni già oltrepassava, e la statura che dalle proporzioni ordinarie toglievasi; ma l'avarizia e l'amor della quiete a quanto appariva aveano raffreddato nel suo animo l'ardor delle imprese; lasciate sbandar le sue truppe, due anni interi in un vergognoso ozio per esso trascorsero. Solamente da questo sonno il destò il formidabile collegarsi di Vatace Imperator di Nicea con Azan Re de' Bulgari. Conducendo un esercito di centomila uomini, e una flotta di trecento legni da guerra, i due Imperatori assediarono Costantinopoli; mentre le forze dell'Imperatore latino in soli centosessanta cavalieri e in una picciola mano d'arcieri, o di sergenti era posta. Sto perplesso nel raccontare che invece di pensare a difendere la città, questo eroe fece una sortita a capo della sua cavalleria, e che di quarantotto squadroni nemici, soli tre alla sua spada invincibile si sottrassero. Animati dal suo esempio, l'infanteria e i cittadini si lanciarono sulle navi che stavano tuttavia ancorate a piè delle mura, e ne condussero venticinque in trionfo entro il porto di Costantinopoli. Alla voce del Monarca, i vassalli e i confederati in difesa di lui presero l'armi, tutti gli ostacoli che al lor cammino opponevansi atterrarono, e nel successivo anno, ottennero sugli stessi nemici una seconda vittoria. I poeti di quel rozzo secolo, ad Ettore, ad Orlando, a Giuda Maccabeo raffigurarono Giovanni di Brienne152; ma il silenzio dei Greci affievolisce alcun poco e la gloria del principe, e l'autorità di coloro che il celebrarono. Non andò guari che l'Impero perdette l'ultimo fra i suoi difensori: il moribondo Monarca ebbe l'ambizione di entrare in Paradiso vestito da franciscano153.

      A. D. 1237-1261

      Nelle descrizioni delle due vittorie riportate da Giovanni di Brienne, non vedo fatta menzione del nome, non che di veruna impresa di Baldovino, pupillo, indi successore dello stesso Giovanni, comunque già pervenuto ad età che atto al militare servigio il rendea154. Questo Principe adoperato in uffizj meglio alla sua indole confacevoli, visitò le Corti dell'Occidente, e quello soprattutto del Pontefice e del Re di Francia, alle quali lo inviarono, affinchè la presenza del giovinetto eccitando maggior compassione sulla sua innocenza e sulle sventure della sua Casa, ne rendesse più efficaci le preghiere per ottenere soccorsi d'uomini e di danari. Per tre volte egli ripetè queste umilianti peregrinazioni, nel cui adempimento, parve mettesse uno studio per prolungare la sua lontananza e differire il ritorno. Durò venticinque anni il regno di Baldovino II, la più gran parte trascorsi da lui fuori de' proprj Stati, perchè non si credea mai men libero e men sicuro, come quando nella patria e nella capitale del dominio greco si stava. Alcuna volta la vanità di lui ebbe per vero di che appagarsi sugli sterili onori che alla porpora e al titolo augusto venian tributati. Di fatto intanto che Federico II era scomunicato e percosso da un bando che intendeva a privarlo dell'impero, il suo collega d'Oriente assisteva al Concilio di Lione, seduto in trono e alla destra del Romano Pontefice. Ma quanto maggior numero di volte poi, questo Imperatore, mendico ed esule, si trovò invilito agli occhi proprj e di tutte le nazioni, e per oltraggi sofferti, e fino per la insultante pietà di cui fu lo scopo! Trasferendosi per la prima volta nell'Inghilterra fu arrestato a Douvres, e severamente redarguito perchè si era fatto lecito di entrare senza permissione negli Stati d'un regno independente; e poichè ebbe ottenuta, non senza qualche poco d'indugio, la libertà di proseguire nel suo cammino, si vide con fredda urbanità accolto alla Corte, alla quale dovette saper grado di un dono di settecento marchi d'argento con cui partì155. Tutto quanto potè ottenere dall'avarizia di Roma si stette nel bando di una Crociata e in un tesoro d'indulgenze,156 moneta invilita assai perchè troppo di frequente, e con troppa inconsideratezza era stata adoprata. Gl'illustri natali e le sventure del Principe greco, ben commossero il cuor generoso del cugino di lui Luigi IX; ma il fervor guerriero del Santo Re ai lidi dell'Egitto e della Palestina volgeasi. Baldovino alleviò alcun poco le angustie proprie, e quelle cui ridotto era il suo impero colla vendita del Marchesato di Namur e della Signoria di Courtenai, soli Stati ereditarj che gli rimanessero157. Giovatosi di questi espedienti umilianti, o rovinosi del certo, potè condurre in Romania un esercito di trentamila uomini, il cui numero apparve tanto maggiore ai Greci pel terrore che ad essi inspirò. I primi messaggi da esso inviati alle Corti francese ed inglese, annunziavano speranze ed anche buoni successi. Avea sottomessi tutti i dintorni della Capitale, fino ad una distanza di tre giornate della medesima, e conquistata una rilevante città, che comunque nelle sue lettere ei non accenni, io suppongo essere stata Chiorli; la qual vittoria dovea e fargli sgombro il successivo cammino, e assicurare la tranquillità della frontiera. Ma tutte le ridette speranze (posto ancora che le cose nunziate da Baldovino fossero state vere) si dileguarono come un sogno; nelle inette mani di questo Principe i tesori come le milizie venute dalla Francia si spersero; onde non trovò miglior sostegno per reggersi in trono di una vergognosa lega che strinse coi Comani e coi Turchi. Per confermare il vile Trattato, ei concedè la propria nipote in isposa all'infedele Sultano di Cogni, e per rendersi accetto ai Comani, alle cerimonie del loro culto si sottomise: onde fra un campo e l'altro, fu sagrificato un cane, e i Principi contraenti, come pegno di reciproca fedeltà, gustarono il sangue l'uno dall'altro158. Sempre più intanto la povertà lo premea. Il successore d'Augusto demolì gli appartamenti vuoti della sua reggia; o a meglio dire della sua prigione, di Costantinopoli per trarne legna da scaldarsi. S'impadronì de' piombi che coprivano i templi per farli supplire alle spese della sua casa. Prese ad imprestito con esorbitanti usure, danaro dai mercatanti italiani; e impegnò per qualche tempo il proprio figlio e successore al trono Filippo, onde assicurare il pagamento di un debito che avea contratto coi Veneziani159. La fame, la sete, la nudità sono patimenti reali; ma l'opulenza non vuol calcolarsi che colle regole di proporzione. Un Principe facoltoso, come privato, può trovarsi secondo i bisogni che lo premono, in preda a tutte le amarezze e le angosce dell'indigenza.

      In mezzo allo squallore di una tanto obbrobriosa povertà, rimaneva tuttavia all'Imperatore o all'Impero un tesoro che ricevea il suo immaginario valore160 dalla divozione del Mondo cristiano. Scapitato era alquanto per fattine parteggiamenti il legno della vera Croce, oltrechè l'essere dimorato sì lungamente fra le mani degl'Infedeli, rendea anche sospette molte particelle di esso già diffuse per l'Oriente e per l'Occidente; ma veniva conservata nella cappella imperiale di Costantinopoli un'altra reliquia della Passione del Redentore. La Corona di Spine di Gesù Cristo era non men della Croce, cosa preziosa ed autentica. È noto che gli antichi Egizj depositavano per pegno de' proprj debiti le mummie de' loro antenati161, e faceano così

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<p>149</p>

Rex igitur Franciae, deliberatione habita respondit nuntiis, se daturum hominem Syriae partibus aptum; in armis probum (prode), in bellis securum, in agendis providum. Johannem comitem Brennensem (Sanut., Secret. fidel., l. III, part. XI, c. 4, p. 205, Mattia Paris, p. 159).

<p>150</p>

Il Giannone (Istoria civile, t. II, l. XVI, p. 380-385) parla lungamente intorno al maritaggio di Federico II colla figlia di Giovanni di Brienne, e la doppia unione delle corone di Napoli o di Gerusalemme.

<p>151</p>

V. Acropolita, c. 27. Lo storico, allor fanciullo, ebbe in Costantinopoli la sua educazione. Aveva undici anni, quando il padre del medesimo per sottrarsi al giogo dei Latini abbandonò ricchi possedimenti, riparando alla Corte di Nicea, ove il figlio di lui ai primi onori venne innalzato.

<p>152</p>

Filippo Mousches vescovo di Tournai (A. D. 1274-1282) ha composto una spezie di poema, in antico dialetto fiammingo, o piuttosto una cronaca in versi degl'Imperatori di Costantinopoli; e il Ducange in fine alla storia di Villehardouin, (V. p. 224), le imprese di Giovanni di Brienne.

N'Aie, Ector, Roll'ne Ogiers

Ne Judas Machabeus li fiers

Tant ne fit d'armes en estors

Com fist li rois Jehans cel jors

Et il defors et il dedans

La paru sa force et ses sens

Et li hardiment qu'il avait.

<p>153</p>

V. il regno di Giovanni di Brienne nel Ducange, Hist. di C. P. l. III, c. 13-26.

<p>154</p>

V. il regno di Baldovino II fino al momento in cui fu scacciato da Costantinopoli, nel Ducange (Hist. C. P. l. IV, c. 1-34; l. V, c. 1-33).

<p>155</p>

Mattia Paris racconta le due visite fatte da Baldovino II alla Corte d'Inghilterra (p. 396-637), il ritorno in Grecia armata manu (p. 407), le lettere dello stesso Baldovino e il nomen formidabile, ec. (p. 481); espressione cui non ha posto mente il Ducange (V. l'espulsione di Baldovino p. 850).

<p>156</p>

Chiamano i teologi soddisfazione le opere penose, fatte con umiltà da' peccatori, ed imposte dalla Chiesa, in riguardo al fervore de' penitenti, o ad altre buone opere, ch'ella loro prescrive; queste indulgenze poi sono principalmente date dal Papa anche per eccitare i credenti a certe azioni, od intraprese. Se poi alcune volte si ha fatto uso non conveniente delle indulgenze, sarà cosa da disapprovarsi. (Nota di N. N.)

<p>157</p>

Luigi IX si oppose, disapprovandola, alla vendita di Courtenai (Ducange l. IV, c. 23). Questa Signoria fa oggidì parte de' dominj della Corona; ma è stata ipotecata per un certo tempo alla famiglia di Boulainvilliers. Courtenai, giurisdizione di Nemours nell'isola di Francia, è una città che contiene in circa novecento abitanti: vi si vedono tuttavia gli avanzi d'un castello (Mélanges tirés d'une grande Bibliothèque, t. X, l. V, p. 74-77).

<p>158</p>

Un principe Comano, morto senza battesimo, fu sepolto innanzi alle porte di Costantinopoli, e in compagnia di lui un certo numero di Schiavi e di cavalli vivi.

<p>159</p>

Sanut., Secret. fidel. crucis, l. IV, c. 18, p. 73.

<p>160</p>

Non era immaginario quel valore pei credenti. (Nota di N. N.)

<p>161</p>

È vero che le mummie erano pure un pegno di grande importanza pegli Egizj, ma non doveva farsi questo paragone. (Nota di N. N.)