Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 9. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 9 - Edward Gibbon

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nascosti tanto nelle classi più costumate, quanto nelle più rozze della società erano odiati dai Cristiani, ai quali forse non piaceva, che veruno straniero fosse testimonio delle lor liti intestine. Fu nominato Inquisitor della fede un Vescovo, il quale non tardò a svelare alla Corte, ed alla città magistrati, giureconsulti, medici, sofisti, sempre adetti alla superstizione dei Greci. Venne loro intimato positivamente di eleggere, senza indugio, o di spiacere a Giove od a Giustiniano, poichè non sarebbe più permesso ai medesimi di celare l'avversione che avevano per l'Evangelo sotto la scandalosa maschera dell'indifferenza, o della pietà. Il patrizio Fozio fu probabilmente il solo, che si mostrasse fermo di vivere e di morire come i suoi antenati; con un colpo di pugnale si tolse alla servitù, e lasciò al Tiranno il miserabile piacere di esporre ignominiosamente agli sguardi del Pubblico il cadavere di colui, che avea saputo fuggirgli di mano. Gli altri suoi fratelli, meno coraggiosi, si sottomisero al Monarca temporale. Ricevettero il Battesimo, e s'ingegnarono con uno zelo straordinario di cancellare il sospetto, o d'espiare il delitto della loro idolatria. Nella patria d'Omero, e nel teatro della guerra troiana covavano le ultime faville della greca mitologia: per opera del Vescovo stesso, o sia Inquisitore, di cui ragionammo testè, si trovarono, e furono convertiti settantamila Pagani nell'Asia, nella Frigia, nella Lidia, e nella Caria. Si fabbricarono novantasei chiese per li Neofiti; e la pia munificenza di Giustiniano somministrò i lini, le Bibbie, le liturgie, e i vasi d'oro e d'argento106. Gli Ebrei, a poco a poco spogliati delle loro immunità, furono obbligati da una legge tirannica a celebrare la Pasqua nel giorno medesimo dei Cristiani107. Ebbero motivo di lagnarsene con più ragione, poichè i Cattolici stessi non andavan d'accordo sui calcoli astronomici del sovrano. Erano avvezzi gli abitanti di Costantinopoli a cominciare la quaresima una settimana dopo l'epoca determinata dall'Imperatore, e quindi avevano il piacere di digiunar sette giorni, nei quali per ordine dell'Imperatore eran pieni di carne i mercati. I Samaritani della Palestina108 formavano una razza bastarda, una Setta equivoca; i Pagani li trattavano da Giudei, i Giudei da Scismatici, e i Cristiani da Idolatri. La croce che da quelli si risguardava come una abbominazione stava già piantata sopra la santa montagna di Garizim109; ma per la persecuzione di Giustiniano, non rimase loro che l'alternativa tra il Battesimo, o la ribellione; elessero l'ultimo partito: comparvero in armi sotto le bandiere d'un Capo disperato, e col sangue d'un popolo senza difesa, co' suoi beni, co' suoi templi pagarono i mali che avevano dovuto soffrire. Finalmente furono soggiogati dalle milizie dell'Oriente: se ne contarono di trucidati ventimila, altri ventimila furon venduti dagli Arabi agl'Infedeli della Persia e dell'India, e gli avanzi di questa sciagurata nazione meschiarono col peccato dell'ipocrisia il delitto della ribellione. Si è fatto il conto, che la guerra dei Samaritani costò la vita a centomila sudditi dell'impero110, e coperse di ceneri una provincia ubertosa che fu cangiata in un orrido deserto. Ma nel Simbolo di Giustiniano si potea senza taccia scannare i miscredenti, ed egli piamente adoperò il ferro ed il fuoco per rassodare l'unità della Fede cristiana111.

      A. D. 532-698

      Con tai sentimenti era almeno mestieri aver sempre ragione. Ne' primi anni del suo regno segnalò il suo zelo, come discepolo e protettore della Fede ortodossa. Nel riconciliarsi dei Greci e dei Latini il tomo di San Leone divenne il Simbolo dell'Imperatore e dell'Impero; i Nestoriani e gli Eutichiani erano dalle due parti investiti dalla spada a due tagli della persecuzione, e i quattro Concilii di Nicea, di Costantinopoli, d'Efeso e di Calcedonia furono ratificati dal codice d'un legislatore cattolico112; ma nel mentre che Giustiniano non lasciava cosa intentata per mantener l'uniformità della Fede e del Culto, sua moglie Teodora, i cui vizi non si consideravano incompatibili colla divozione, aveva dato orecchia alle prediche monofisite; quindi sotto la protezione dell'Imperatrice ripreser coraggio, e si moltiplicarono i pubblici o secreti nemici della Chiesa. Un dissidio spirituale metteva a soqquadro la capitale, il palazzo, ed il talamo; ma tanto era dubbia la sincerità di Giustiniano e di Teodora, che assai persone accagionavano dell'apparente loro dissensione una clandestina lega malefica contro la religione e la felicità del popolo113. La famosa disputa dei tre Capitoli114 che ha empiuto più volumi, quando bastavano poche linee, dimostra assai questo spirito d'astuzia e di mala fede. Volgevano tre secoli da che il corpo di Origene115 era pasto dei vermi, l'anima sua, della quale egli aveva insegnato la preesistenza, era in mano del suo creatore; ma i monaci della Palestina avidamente ne leggevano i libri. L'occhio acuto di Giustiniano vi scorse dentro più di dieci errori di metafisica, e perì il dottore della prima Chiesa in compagnia di Pittagora e di Platone, e fu dannato dal Clero all'eterno fuoco infernale, poichè aveva osato negare l'esistenza dell'inferno. Sotto questa condanna stava celato un perfido assalto contro il Concilio di Calcedonia. Aveano i Padri udito senza inquietarsi l'elogio di Teodoro di Mopsuesta;116 e la lor giustizia o indulgenza aveva restituito alla comunion de' Fedeli Teodoreto di Cirra e Ibasso di Edessa; ma questi Vescovi d'Oriente erano tacciati d'eresia; maestro fu il primo di Nestorio, amici di quell'eretico gli altri due; i passi i più sospetti de' loro scritti furono denunciati sotto il titolo dei tre Capitoli; e con questa macchia impressa sulla loro memoria era per necessità messo a repentaglio l'onor d'un Concilio che dal Mondo cattolico era nominato con venerazione, almeno in apparenza. Nondimeno, se questi Vescovi o innocenti, o colpevoli erano sepolti nella notte eterna, non poteano svegliarli i clamori che si faceano sulla lor tomba un secolo dopo la lor morte; se in un'altra supposizione stavano già in balìa del demonio, non potea più l'uomo nè aggravarne, nè mitigarne i tormenti; e finalmente, se godevano in compagnia dei Santi e degli Angeli la ricompensa dovuta alla lor pietà, dovean ridere del vano furore degli insetti teologici, che strisciavano ancora sulla faccia della terra. L'Imperator de' Romani, ch'era di quegli insetti il più arrabbiato, vibrava il suo pungiglione, e scagliava il veleno senza avvedersi probabilmente dei veri moventi di Teodora e degli ecclesiastici che l'assecondavano. Non eran più soggette le vittime al suo potere, e i suoi editti con tutta la lor veemenza non valevano che a pubblicarne la dannazione, e ad invitare il clero dell'Oriente ad unirsi con lui per caricarli d'imprecazioni e di anatemi. Stettero esitanti i Prelati orientali nel congiungersi per questo oggetto col loro sovrano; fu tenuto a Costantinopoli il quinto Concilio generale, ove intervennero tre Patriarchi, e cento sessantacinque Vescovi, e gli autori, come pure i difensori dei tre Capitoli, furono separati dalla comunione de' Santi, e consegnati solennemente al principe dello tenebre. Le Chiese latine aveano più zelo per l'onor di Leone e del Concilio di Calcedonia; e se, come erano solite, avessero combattuto sotto lo stendardo di Roma, avrebbero forse fatto sì che trionfasse la causa della ragione e della umanità; ma il loro Capo era prigioniero, e in mano del nemico; il trono di San Pietro deturpato dalla simonìa fu tradito dalla viltà di Vigilio, il quale dopo una lunga e strana lotta, si sottomise al despotismo di Giustiniano e ai sofismi dei Greci. Per la sua apostasia s'adontarono i Latini tutti, nè vi furono che due Vescovi, che volessero conferire gli Ordini sacri a Pelagio, suo diacono e successore. Pure la perseveranza del Papi trasferì a poco a poca nei loro avversari il titolo di scismatici: la potenza civile del pari che l'ecclesiastica sostenute dalla forza militare, venivano opprimendo, benchè con fatica, le Chiese dell'Illiria, dell'Affrica, e dell'Italia:117 i Barbari, lontani dalla sede dell'impero, si attenevano alla dottrina del Vaticano; e in men d'un secolo lo scisma dei tre Capitoli morì in un cantone oscuro della provincia veneta118; ma pel mal'umore degli Italiani irritati da quella disputa religiosa s'erano agevolate le conquiste dei Lombardi, e già gli stessi Romani erano avvezzi a sospettare della Fede, come a detestar l'amministrazione del tiranno regnante in Bizanzio.

      Non seppe Giustiniano star fermo nè consentaneo a sè nelle risoluzioni difficili che volle usare per determinare l'incertezza delle sue opinioni e di quelle dei sudditi: era malmenato in gioventù quando non s'allontanava poco nè punto dalla linea ortodossa; in vecchiezza trascorse egli stesso

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<p>106</p>

Teofane (Chronique p. 153). Da Giovanni il Monofisita, Vescovo asiatico, ci è data una delle più autentiche testimonianze che aver si possano in questo proposito, poichè impiegato all'uopo dall'Imperatore (Assemani, Bibl. orient. t. II, pag. 85).

<p>107</p>

Si confronti Procopio (Hist. Arcan. c. 28 e le note d'Alemanno), con Teofane (Chron. p. 190). Il Concilio di Nicea aveva commessa al Patriarca, o piuttosto agli astronomi d'Alessandria, l'annua pubblicazione della Pasqua; ed ancora oggi noi leggiamo, o piuttosto non leggiamo mai, le lettere Pasquali di S. Cirillo, di cui ne rimane un buon numero. Dopo il regno del Monofisismo in Egitto, furono i Cattolici assai impacciati da un pregiudizio tanto irragionevole, quanto quello per cui i Protestanti non han voluto per lungo tempo accettare lo stile Gregoriano.

<p>108</p>

Vedi su la Religione e la storia dei Samaritani, l'Histoire des Juifs, del Basnagio, opera dotta e imparziale.

<p>109</p>

Sichem, Neapoli, Naplous, ch'è la residenza antica e moderna dei Samaritani, giace in una valle fra lo sterile Ebal, il monte delle Maledizioni al Nort, e il fertile Garizim, o sia monte delle Maledizioni al Sud, distante da Gerusalemme dieci od undici ore di viaggio. Vedi Maundrel, (Journey from Aleppo etc. p. 59-63).

<p>110</p>

Procopio (Anecdot. c. II); Teofane, (Chron. pag. 152), Giovanni Malala, (t. II, pag. 62). Mi ricordo d'aver letto questa osservazione mezzo filosofica, e mezzo superstiziosa, cioè che la provincia devastata dal fanatismo di Giustiniano fu quella stessa, per cui i Musulmani entrarono nell'impero.

<p>111</p>

Le espressioni di Procopio sono notabili: ου γαρ οι εδοκει φονος ανθρωπον εινακ, ην γε μη τηςαυτου δοξην οι τελευτωντες τυχοιεν οντες, imperocchè non gli pareva che fosse un fare strage degli uomini, se gli uccisi non erano della sua fede (Anecdot. c. 13).

<p>112</p>

Vedi la Cronaca di Vittore p. 328, e la testimonianza originale delle leggi di Giustiniano. Pei primi anni del regno di costui Baronio è molto di buon umore con esso, poichè accarezzò i Papi sino a tanto che li tenne soggetti alla sua volontà.

<p>113</p>

Procopio Anecdot. c. 13. Evagrio l. IV, c. 10. Se l'Istorico ecclesiastico non ha letto l'Istorico secreto, provano almeno i lor sospetti comuni, che l'odio del Pubblico era generale.

<p>114</p>

Vedi sui tre Capitoli gli Atti originali del quinto Concilio generale tenuto a Costantinopoli; vi si trovano molti fatti autentici, ma inutili (Concil. t. VI, p. 1-419). Evagrio autor greco, è meno minuzioso e meno esatto (l. IV, c. 38) dei tre zelanti Affricani, Facondo (ne' suoi dodici libri De tribus capitulis, pubblicati da Sirmond in modo correttissimo), Liberato (nel suo Breviarum, c. 22, 23, 24), e Vittorio Tunnunense (nella sua Chron. in t. I, antiq. Lect. Canisii, pag. 330-334). Il Liber pontificalis od Anastasio (in Vigilio, Pelagio, etc.), è una prova originale, ma tutta in favore degli Italiani. Potrà il lettor moderno ricavar qualche notizia dal Dupin (Bibl. ecclésiast. t. V, p. 189-207), e dal Basnagio (Hist. de l'Eglise, t. I, p. 519-541); ma il secondo disprezza troppo l'autorità e il carattere de' Papi.

<p>115</p>

Origene era di fatto assai propenso ad imitare la πλανη l'errore, e la δυσσεβεια l'empietà degli antichi Filosofi (Giustiniano ad Mennam, in Concil. t. VI, p. 356); mal s'accordavano collo zelo ecclesiastico le sue opinioni moderate, e fu trovato reo dell'eresia della ragione.

<p>116</p>

Basnagio (Praefect. p. 11-14 ad tom I; Antiq. Lect. Canis.) ha benissimo pesato la colpa e l'innocenza di Teodoro di Mopsuesta: se compose diecimila volumi, vuole la carità che se gli perdonino diecimila errori. Egli è registrato, ma senza i suoi due confratelli nei cataloghi degli Eresiarchi, formati dopo di lui; ed Assemani (Bibl. orient. t. IV p. 203-207), manca al suo impegno di giustificare quel decreto.

<p>117</p>

Vedi le doglianze di Liberato e di Vittore, e le esortazioni di Papa Pelagio al conquistatore ed all'Esarca d'Italia. Schisma… per potestates pubblicas opprimatur. etc. (Concil. t. VI, p. 467, etc.). Si teneva un esercito a reprimere la sedizione in una città dell'Illiria. Vedi Procopio (De Bell. Goth. l. IV, c. 25) ων περ ενεκα σφισιν αυτοις οι Χριςιανοι διαμαχονται, per queste cagioni i Cristiani si facean guerra fra loro. Par che prometta una storia della Chiesa: sarebbe stata curiosa e imparziale.

<p>118</p>

Papa Onorio riconciliò colla Chiesa, (A. D. 638), i Vescovi del patriarcato d'Aquileia; (Muratori, Annal. d'Ital. t. V, p. 376); ma ricaddero nello scisma, il quale non s'estinse al tutto che nel 698. Quattordici anni prima tacitamente non avea voluto la chiesa di Spagna sottomettersi al quinto Concilio generale (XIII Concil. Toletan. in Concil. t. VII, p. 487-494).