Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 11. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 11 - Edward Gibbon

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ripartimenti, servivano ad uso particolare dei Conti, e ognun di essi innalzò nel mezzo delle sue terre, una Fortezza, che tenea in dovere i vassalli. La città di Melfi, residenza comune dei Conti, e situata nel mezzo della provincia, divenne la metropoli e la Fortezza dello Stato. Ognuno di questi dodici Capi avea per sè una casa, e un separato rione; il qual Senato militare la cosa pubblica amministrava. Il primo di essi, presidente e Generale della repubblica, ricevè il titolo di Conte della Puglia, dignità conferita a Guglielmo Braccio-di-Ferro, che, nello stile di quel secolo, veniva dipinto come un lione nella battaglia, un agnello nella società, un angelo ne' consigli182. Un autore normanno vissuto a quei giorni, descrive con tutta ingenuità i costumi e l'indole de' suoi compatriotti183. «I Normanni, dice il Malaterra, sono un popolo astuto, e vendicativo: l'eloquenza e la dissimulazione sembrano ereditarie fra loro: sanno abbassarsi all'adulazione: ma se la legge non li tiene in freno, a tutti gli eccessi delle lor passioni abbandonansi. I Principi normanni son gelosi di mostrarsi verso il popolo liberali; il popolo tiene la via di mezzo, o piuttosto unisce gli estremi dell'avarizia e della prodigalità; avidi d'arricchire e di dominare, disprezzano tutto quel che possedono, sperano tutto quello che bramano; le armi, i cavalli, il lusso degli abiti, e l'esercizio della caccia e della falconeria, formano le delizie de' Normanni184, ma all'uopo i rigori di qualsisia clima, le fatiche e i sagrifizj di una vita militare con incredibile pazienza sopportano185».

      A. D. 1046 ec.

      I Normanni della Puglia, trovavansi dunque ai confini de' due Imperi di Alemagna e di Costantinopoli, e seguendo la politica dell'istante, riceveano l'investitura delle loro terre, or dall'uno, or dall'altro, de' due Imperatori. Ma la conquista era il più saldo diritto che armar potessero questi venturieri: nessuno amavano, di nessun si fidavano perchè nessuno gli amava, e nessuno fidavasi di essi; al disprezzo che verso di loro ostentavano i Principi, il timore si frammettea, e allo spavento che ai nativi inspiravano, l'astio e il risentimento erano uniti. Desideravan costoro un cavallo, una donna, un giardino? se ne impadronivano tosto186; e i Capi aveano soltanto l'arte di colorare cogli speciosi nomi di ambizione e di gloria la lor cupidigia. I dodici Conti alcune volte, per commettere qualche ingiustizia, si collegavano; se aveano contese domestiche, erano queste per disputarsi le spoglie del popolo; le virtù di Guglielmo spariron con esso, e Drogone, fratello e successore di lui, più atto a condurre il valore che a reprimere la violenza de' suoi eguali si dimostrava. Sotto il regno di Costantino Monomaco, il gabinetto di Costantinopoli, mosso meno da riguardi di beneficenza che da politica, imprender volle a liberare l'Italia da tal permanente calamità, più che un torrente di Barbari disastrosa187. Argiro, figlio di Melo, incaricato di porre in opera questo divisamento, di splendidissimi titoli188, e di esteso potere venne insignito. La memoria del padre suo, dovea renderlo accetto ai Normanni: egli già, assicurato erasi il volontario servigio loro, per ispegnere la sommossa eccitata da Maniaces, e per vendicare ad un tempo e le ingiurie particolari che questi lamentavano, e quelle che avea sofferte lo Stato. Costantino avea in animo di snidiare dalle province italiane questa colonia di guerrieri, e sul teatro della guerra persica trapiantarla; laonde, per primo contrassegno dell'imperiale munificenza, il figlio di Melo cercò profondere fra i Capi l'oro della Grecia, o i preziosi lavori dell'industria di questa nazione; ma l'arte di Argiro, il senno e il coraggio de' vincitori della Puglia sventarono. Ricusati i suoi doni, o certamente i partiti da esso posti, protestarono con un unanime voto di non voler cambiare i presenti possessi, e le più prossime speranze, colla rimota fortuna che lor nell'Asia offerivasi. Andate a vuoto le vie della persuasione, Argiro di sottometterli o distruggerli deliberò, invocando contra il comune nemico i soccorsi delle potenze latine, e stringendo una lega offensiva fra il Papa e gl'Imperatori di Oriente e di Occidente. La Cattedra di S. Pietro era in quel tempo occupata da Leone IX, un Santo189, giusta il più semplice significato che suole a questo vocabolo attribuirsi, uomo fatto per ingannare sè medesimo, e gli altri190, opportunissimo pel rispetto che erasi conciliato a consacrare sotto il nome di pietà, le provvisioni alle vere pratiche della religione più opposte. L'umanità di questo Pontefice erasi lasciata commovere dalle querele, e fors'anche dalle calunnie di un popolo oppresso; gli empj Normanni aveano interrotto il pagamento delle decime, nè mancarono decisioni, che chiarissero atto legittimo il brandir la spada temporale contra sacrileghi masnadieri, che le censure della Chiesa sprezzavano. Leone, nato in Alemagna, di famiglia nobile, e collegata colla famiglia regnante, oltre all'avere libero accesso alla Corte, in grande confidenza coll'Imperatore Enrico III vivea; ardente di zelo il trasse, in cerca di guerrieri e di confederati, dalla Puglia alla Sassonia, dalle rive dell'Elba a quelle del Tevere. Nel durare di tali apparecchi, Argiro di colpevolissime armi segretamente valeasi. Grande copia di Normanni agl'interessi dello Stato, o a particolari vendette venne sagrificata, e tra questi il prode Drogone trucidato entro una chiesa. Il fratello di lui Unfredo, terzo Conte della Puglia, ereditonne il coraggio. I traditori ebber castigo. Lo stesso Argiro superato e ferito, corse lungi dal campo della battaglia, e nascose la sua ignominia dietro le mura di Bari, aspettando ivi i tardi soccorsi de' confederati.

      A. D. 1053

      Ma all'Impero di Costantino, la guerra contra i Turchi maggiori tribolazioni arrecava: debole e perplesso mostravasi Enrico; e il Pontefice che dovea rivalicar le Alpi, scortato da un esercito di Alemanni, sol settecento soldati della Svevia, e alcuni volontarj della Lorena condusse. Nel cammin tardo che ci fece da Mantova a Benevento, ricevè sotto il santo stendardo un pugno d'Italiani, tolti dalla scoria di tutti gli ordini191. Il sacerdote e lo scorridore sotto una medesima tenda posavansi: e si vedeano nelle prime file un miscuglio di piche e di croci, e il guerrier santo conduttore della falange nel regolare le fazioni, gli accampamenti, le scaramuccie, andava ricapitolando le lezioni militari che in sua giovinezza avea ricevute. I Normanni della Puglia non poterono mettere in campo che tremila uomini a cavallo, e un picciol numero di fantaccini. La diffalta de' nativi li privò di viveri e di ritratta; un superstizioso rispetto192 agghiacciò un istante la lor prodezza, ignara per solito di timore. Al primo veder Leone che avvicinavasi come nemico, non sentiron ribrezzo di prosternarsi dinanzi al loro padre spirituale. Ma inesorabile il Papa si diè a divedere: i suoi Alemanni, superbi della loro alta statura, la piccola de' loro avversarj derisero, e fu a questi chiarito, che tra la morte o l'esiglio doveano scegliere. Disdegnando i Normanni una fuga, e dall'altro lato, molti di loro essendo stremi per non avere da tre giorni preso alcun cibo, s'attennero al partito di una morte, la più pronta e la più decorosa. Dal colle di Civitade ove erano ascesi, calarono nella pianura, d'onde partiti in tre divisioni sulle truppe pontifizie fecero impeto. Riccardo, Conte di Aversa, e il famoso Roberto Guiscardo, che alla sinistra e al centro si ritrovavano, assalirono, ruppero, sbaragliarono, inseguirono quel gregge di raunaticci Italiani, che combatteano senza ordine, nè del fuggire arrossivano. Più ardua bisogna toccava da sostenere al Conte Unfredo, che conducea la cavalleria dell'ala destra. Vengono generalmente rappresentati gli Alemanni193, come poco abili nell'adoperar lancie e cavalli; ma scesi a terra opposero una impenetrabile falange, cui nè uomo, nè cavallo, nè armadura poteano resistere, a motivo della gravezza delle enormi loro sciabole che piombar faceano a due mani sull'inimico. Così ostinatamente si difendeano, allorchè la cavalleria che tornava addietro, dopo avere inseguita la parte vinta da Riccardo, e da Roberto Guiscardo, gli accerchiò, e morirono nelle loro file, stimati dagli stessi avversarj, e col conforto di aver vendute care le proprio vite. Il Papa, datosi alla fuga, trovò chiuse le porte di Civitade, e cadde fra le mani dei devoti suoi vincitori, che, baciandogli i piedi, chiedeano essere benedetti ed assoluti per la rea vittoria che aveano riportata. In questo nemico prigioniero i soldati non vedeano che il Vicario di Gesù Cristo: e benchè tai contrassegni di rispetto, quanto ai duci almeno, possano a ragioni di politica attribuirsi, vi è anche luogo a credere che i medesimi duci alle superstizioni del popolo non fossero peregrini.

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<p>182</p>

Guglielmo Pugliese (lib. II, c. 12). Mi fondo sopra una citazione del Giannone (Ist. civ. di Napoli t. II, p. 31), citazione che nell'originale non posso verificare. Il Pugliese loda le validas vires, probitas animi et vivida virtus di Braccio-di-Ferro, aggiugnendo che, se questo eroe fosse vissuto più lungamente, niun poeta avrebbe potuto pareggiarne il merito co' suoi canti (l. I, p. 258, l. II, p. 259). Braccio di ferro fu pianto dai Normanni, quippe qui tanti consilii virum dice il Malaterra (l. I, c. 12, p. 552) tam armis strenuum, tam sibi munificum, affabilem, morigeratum ulterius se habere diffidebant.

<p>183</p>

Malaterra (l. I, c. 3, pag. 550): Gens astutissima, injuriarum ultrix… adulari sciens… eloquentiis inserviens; espressioni che dimostrano qual fosse l'indole, fin passata in proverbio, de' Normanni.

<p>184</p>

Il genio della caccia, e l'uso di addestrare ad essa i falconi, apparteneano specialmente ai discendenti de' marinai della Norvegia; del rimanente è possibile che i Normanni abbiano portati dalla Norvegia e dall'Irlanda i più belli uccelli da falconeria.

<p>185</p>

Può confrontarsi questo ritratto, con quello che della stessa popolazione ha fatto Guglielmo di Malmsbury (De gest. Anglorum, l. III, p. 101, 102), il quale i vizj e le virtù de' Sassoni e de' Normanni colla bilancia dello storico e del filosofo apprezza. Certamente l'Inghilterra nell'ultima conquista ha vantaggiato.

<p>186</p>

Il Biografo di S. Leone IX avvelena santamente la descrizione che fa dei Normanni; Videns indisciplinatam et alienam gentem Normanorum, crudeli et inaudita rabie et plus quam pagana impietate adversus ecclesias Dei insurgere, passione christianos trucidare, etc. (Wibert, c. 6). L'onesto Pugliese si contenta di indicare con calma l'accusatore di questo popolo qual uomo veris commiscens fallacia (l. XI, p. 259).

<p>187</p>

Tutte queste particolarità che si riferiscono alla politica de' Greci, alla ribellione di Maniaces ec., possono vedersi in Cedreno (t. II, p. 757, 758), in Guglielmo Pugliese (l. I, p. 257, 258: l. II, p. 259), e in due Cronache di Bari lasciateci da Lupo Protospata (Muratori Script. rer. ital., t. V, p. 42, 43, 44), e da autore anonimo (Antiq. ital. med. aevi, t. I, p. 31-33). Quest'ultima è un frammento di qualche pregio.

<p>188</p>

Argiro ottenne, dice la Cronaca anonima di Bari, imperiali patenti, faederatus et patriciatus et catapani et vestatus. Il Muratori ne' suoi Annali (t. VIII., p. 426) fa giustamente una correzione, ossia interpretazione, su questa ultima parola. Egli legge sevestatus, vale a dire Sebastos, ossia di Augusto: ma nelle sue Antichità, seguendo il Ducange, fa di questo sevestatus, un officio di palagio, cioè quello di Gran Mastro della guardaroba.

<p>189</p>

Viberto ha composta una vita di S. Leone IX, ove si ravvisano le passioni e le massime pregiudicate del suo secolo; opera stampata a Parigi nel 1615 in 8.º, e inserita indi nelle Raccolte de' Bollandisti del Mabillon e del Muratori. Il signore di Saint-Marc (Abrégé t. II, p. 140-210, e p. 25-95) ha narrata con molta accuratezza la storia pubblica e privata di questo Pontefice.

<p>190</p>

Vuol dire qui l'Autore, che Leone IX il Santo aveva l'indole sì semplice, che poteva ingannare sè stesso, e colla sua autorità sugli animi del popolo, siccome Papa, indurre gli altri in inganno, senza volere, e senza avvedersi di essere ingannatore. Leone per la sua indole poteva ingannarsi ne' negozj familiari, o politici, ed indurre in inganno gli altri; ma nella cosa di cui trattavasi non sembra essersi potuto ingannare, nè essersi ingannato. Trattavasi di soccorrere gli abitanti della Puglia, e di far che i Normanni pagassero le decime ecclesiastiche: bisogna per altro confessare, che è, in quei tempi d'ignoranza e di barbarie, da condannarsi il costume di usare le armi, inducendo ad impugnarle i poveri popoli, per sostenere le censure, le scomuniche, fatte di tal maniera più spaventose. (Nota di N. N.)

<p>191</p>

V. intorno alla spedizione di Leone IX contra i Normanni, Guglielmo il Pugliese (l. II; p. 259-261) e Gioffredo Malaterra (l. I, c. 13, 14, 15, p. 253). Questi due autori danno a divedere imparzialità; perchè la preoccupazione nazionale che tiene gli animi loro, è contrabbilanciata da un'altra preoccupazione di mestiere, siccome preti.

<p>192</p>

Il Cattolico romano non chiama superstizioso il rispetto dei Normanni verso S. Leone IX: s'egli seguì il cattivo uso del suo tempo barbaro facendo la guerra a' Normanni pei motivi indicati, il buon credente sentirà che doveva a' Normanni, buoni cattolici, far grande impressione il vedere un Papa, generale d'un'armata nemica. (Nota di N. N.)

<p>193</p> Teutonici quia Caesaries et forma decorosFecerat egregie, proceri corporis illos,Corpora derident normannica, quae brevioraEsse videbantur.

I versi del Pugliese non hanno per l'ordinario maggior pretensione: ma egli si anima poi quando gli accade il descriver battaglie. Due delle sue comparazioni, tratte dalla caccia del falco e della negromanzia, servono ad indicare i costumi dei suoi tempi.