Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 11. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 11 - Edward Gibbon

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I Capi delle nazioni, ai quali i titoli di re e di santi largivansi152, credevano opera legittima e pia il sottomettere alla Fede cattolica i loro sudditi e i lor vicini. La costa del Baltico, dall'Holstein sino al golfo di Finlandia, a nome e sotto la bandiera della Croce fu invasa: la conversione della Lituania operata nel secolo decimoquarto al regno della idolatria pose termine. Un riguardo di verità e buona fede ne costrigne a confessare che la conversione del Nort, molti vantaggi agli antichi e ai nuovi cristiani produsse. Se i precetti del Vangelo, che raccomandano la carità e la pace, non poterono estinguere il furor della guerra connaturale alla specie umana, e se l'ambizione dei principi cattolici ha nondimeno rinovate in tutti i secoli le calamità che a questo flagello si uniscono, almeno l'avere ammessi i Barbari nel seno della civile ed ecclesiastica società, liberò l'Europa dai devastamenti che per mare e per terra operavansi dai Normanni, dagli Ungaresi e dai Russi, e appresero questi a rispettare il sangue umano, e divennero coltivatori153. Aggiugnendosi la prevalenza del clero ad istituir leggi e a consolidare il buon ordine, i popoli selvaggi conobbero gli elementi delle Arti e delle Scienze. Mossi da una saggia pietà i Principi russi, ebbero l'intendimento di chiamare al proprio servigio i più abili fra i Greci, affinchè abbellissero la città, e ne ammaestrassero gli abitanti. Vidersi, benchè informemente, imitati e copiati nelle chiese di Kiovia e di Novogorod la cupola e i quadri di S. Sofia; gli scritti dei Padri vennero tradotti in lingua schiavona, e trecento nobili giovani si trovarono sollecitati, o costretti a frequentare le lezioni del collegio di Jaroslao. Parrebbe, che quanto ai progressi nelle cognizioni, i Russi avessero dovuto ottenere grandi vantaggi dagli speciali vincoli per cui stretti erano alla Chiesa e allo Stato di Costantinopoli, che in que' tempi, nè a torto, dell'ignoranza de' Latini rideansi. Ma la nazione greca vivea nella schiavitù, isolata, e in uno stato di rapido scadimento: dopo la caduta di Kiovia, la navigazione del Boristene fu trascurata; e intanto che i Sovrani della città di Volodimir e di Mosca si trovavano disgiunti dal mare e dal rimanente della Cristianità, i Tartari fecero soffrire a quella Monarchia divisa in parti il vergognoso giogo della barbarie154. I regni degli Schiavoni e degli Scandinavi, convertiti dai missionarj latini, trovavansi per vero dire sottomessi alla giurisdizione spirituale e alle pretensioni temporali de' Papi155. Ma avendo abbracciata la stessa lingua e lo stesso culto di Roma, assunsero lo spirito libero e generoso della Repubblica europea, e a poco a poco dalla luce del sapere che splendè in Occidente, anch'essi furono rischiarati.

      CAPITOLO LVI

      I Saracini, i Franchi e i Greci in Italia. Prime avventure de' Normanni, e colonie poste da essi in questa parte dell'Europa. Indole e conquiste di Roberto Guiscardo duca della Puglia. Liberazione della Sicilia operata da Ruggero, fratello di Guiscardo. Vittoria sugl'imperatori dell'Oriente e dell'Occidente da Roberto riportata. Ruggero, re di Sicilia, invade l'Affrica e la Grecia. L'imperatore Manuele Comneno. Guerra tra i Greci e i Normanni. Estinzione de' Normanni.

      A. D. 840-1017

      Le tre grandi nazioni dei mondo, i Greci, i Saracini e i Franchi, venute fra loro a scontro, sul teatro dell'Italia si combatterono156. Le province meridionali che formano oggidì il regno di Napoli, erano quasi per intero sottomesse ai duchi Lombardi principi di Benevento157, sì formidabili in guerra, che il genio di Carlomagno per un momento arrestarono, e pel progresso delle cognizioni fervorosi tanto, che nella loro Capitale un'accademia di trentadue filosofi o grammatici mantenevano. Dalle rovine e dallo smembramento di questo Stato, un giorno sì florido, sorsero i principati di Benevento, di Salerno e di Capua, rivali fra loro; e l'ambizione o la sete della vendetta accecò tanto le diverse fazioni, che a chiamar s'indussero i Saracini, onde videro per lor colpa il proprio retaggio divenir preda degli stranieri. Due secoli di calamità oppressero l'Italia, tribolata da una sequela di crudeli disastri, che gli oppressori della medesima non valevano a ristorare con quella unione e tranquillità, cui solamente da una conquista ben assodata è lecito lo sperare. I vascelli de' Saracini soventi volte, e quasi ogni anno dal porto di Palermo salpavano: con troppa indulgenza gli accoglieano i Cristiani di Napoli. Più spaventosi armamenti la costa d'Affrica somministrava; e non rare volte accadea che persin gli Arabi dell'Andaluzia venissero or per soccorrere i Musulmani, or per rispingerli, se per professata Setta da lor differivano. Nel corso delle terrene vicissitudini, le Forche Caudine ebbero la seconda volta il destino di nascondere un aguato. Il sangue degli Affricani una seconda volta i campi di Canne innaffiò, e nuovamente per variate vicende, il Sovrano di Roma, ora assalì, ora difese le mura di Capua e di Taranto. Una colonia di Saracini stanziata erasi a Bari, che domina l'ingresso del golfo Adriatico, e devastando costoro, senza distinguere nè popoli, nè persona, i paesi de' Greci e de' Latini, entrambi gli Imperatori irritati, per la vendetta comune, si collegarono. Basilio il Macedone, primo della sua stirpe, e Luigi pronipote di Carlomagno158, sottoscrissero una lega offensiva, ove ciascuna delle due parti obbligossi a fornire le cose all'altra mancanti. Ma l'Imperator greco non potea, senza commettere un atto d'imprudenza, inviare in Italia le sue truppe che campeggiavano nell'Asia, nè i Latini guerrieri bastavano di per sè stessi a difendersi, a meno che il navilio bisantino l'ingresso del golfo padroneggiasse. La fanteria dunque de' Franchi, la cavalleria e le galee de' Greci, il Forte di Bari assediarono: e l'Emiro arabo, dopo essersi difeso per quattro anni, alla clemenza di Luigi, che le fazioni dell'assedio comandava in persona, si sottomise. Mercè una tal lega, i due Imperatori questa rilevante piazza possedeano in comune; ma non andò guari che lamentele, eccitate da scambievole orgoglio e gelosia, il lor buon accordo turbarono. Attribuendosi i Greci il merito della conquista, e la gloria del trionfo, e vantando la grandezza delle proprie forze, derideano l'intemperanza, e la dappocaggine di una mano di Barbari che militava sotto le bandiere del principe Carlovingio. La risposta che ai costoro motteggi egli fece, spira tutta l'eloquenza della indignazione e della verità. «Noi confessiamo la grandezza de' vostri apparecchi, dicea il pronipote di Carlomagno; i vostri eserciti di fatto erano numerosi, come que' nugoli di locuste che oscurano un giorno della state, ma dopo corto battere d'ali, e poca estesa volata, estenuate e sfiatate cadon per terra. Simili a questi insetti, dopo un debole sforzo siete caduti; vinti per colpa di vostra infingardaggine, avete abbandonato il campo di battaglia per affrontare e spogliare i Cristiani della costa di Schiavonia, che son nostri sudditi. Il numero de' nostri guerrieri, voi dite, era scarso; e perchè ciò? perchè stanco io d'aspettarvi, avea licenziato il mio esercito, nè conservai che pochi scelti soldati per continuare le fazioni dell'assedio di Bari. Se alla presenza del pericolo e della morte, si sono abbandonati ai diletti de' lor conviti ospitali, cotali feste hanno forse il vigore delle loro imprese scemato? È forse la vostra frugalità che ha rovesciate le mura di Bari? Non son questi i prodi Franchi, che, comunque scemati di numero, dalle fatiche e dalle infermità, posero alle strette e debellarono i tre più possenti emiri dei Saracini? Non è la rotta di questi emiri che ha affrettato l'arrendersi della città? Bari è caduta. Lo spavento si è impadronito di Taranto; la Calabria sarà liberata; e padroni noi del mare, non sarà difficile il ritogliere la Sicilia dalle mani degl'Infedeli. Mio fratello, aggiugneva (e nulla eravi di più atto a trafiggere la greca vanità, quanto questa denominazione di fratello), affrettate i soccorsi marittimi che mi dovete somministrare; rispettate i vostri confederati, e degli adulatori fidatevi meno159».

      A. D. 890

      Ma la morte di Luigi, e la debolezza della dinastia de' Carlovingi, le sublimi speranze de' Franchi mandarono a vuoto; e qual che si fosse quella delle due nazioni, cui l'onore di avere soggiogata Bari si appartenea, certamente gl'imperatori greci, Basilio, e Leone figlio di lui, tutto il frutto ne colsero. O per amore o per forza, la Puglia e la Calabria li riconobbero per sovrani; una linea ideale condottasi dal monte Gargano alla baia di Salerno, dà a divedere, come la maggior parte del regno di Napoli fosse all'Impero d'Oriente soggetta. Oltre questa linea stavano i duchi, o le repubbliche di Amalfi160 e di Napoli, le quali non avendo mai trasgrediti i doveri del vassallaggio, godeano

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<p>152</p>

Nel 1000, gli ambasciadori di S. Stefano ricevettero da Papa Silvestro il titolo di Re d'Ungheria, e il donativo d'un diadema che era lavoro di artisti greci. Doveva esserne presentato il Duca di Polonia, ma i Polacchi, per lor confessione medesima, erano troppo barbari, e immeritevoli quindi di una corona angelica ed appostolica. (Katona, Hist. crit. regum stirpis Arpadianae, t. I, p. 1-20).

<p>153</p>

Si ascoltino i cantici trionfali di Adamo di Brema (A. D. 1080) che hanno un fondo di verità: Ecce illa ferocissima Danorum, etc. natio… jamdudum novit in Dei laudibus alleluia resonare… Ecce populus ille piraticus… suis nunc finibus contentus est. Ecce patria, horribilis semper, inaccessa propter cultum idolorum… praedicatores veritatis ubique certatim admittit, etc. (De situ Daniae, etc., p. 40, 41, ediz. Elzevir); opera ove scorgesi una pittura originale e dilettevole del Nort dell'Europa, e della introduzione del Cristianesimo in questa parte del Mondo.

<p>154</p>

I grandi principi abbandonarono nel 1156 la residenza di Kiovia, smantellata indi dai Tartari nel 1240. Mosca divenne nel secolo XIV la sede dell'Impero. V. il primo e secondo volume della Hist. de Russie, del signor Levesque, e i Viaggi di Coxe nel Nort, t. I, p. 241.

<p>155</p>

Gli ambasciatori di S. Stefano aveano adoperate le rispettose espressioni di regnum oblatum, debitam obedientiam, etc. che Gregorio VII alla lettera interpretò; onde gli Ungaresi sonosi trovati impacciati fra la santità del Papa e l'independenza della Corona (Katona, Hist. critica, tom. I, p. 20-25, t. II, p. 304, 346, 360 ec.)

<p>156</p>

In quanto spetta alla storia d'Italia dei secoli nono e decimo, posso citare i libri quinto, sesto, e settimo del Sigonio, De regno Italiae (secondo volume delle sue opere, ediz. di Milano 1732): gli Annales del Baronio colla critica del Pagi: il settimo e ottavo libro della Istoria civile del regno di Napoli, del Giannone: il settimo e ottavo volume degli Annali d'Italia del Muratori (ediz. in 8), e il secondo volume dell'Abrégé chronologique del signor di Saint-Marc, opera che sotto un titolo superficiale molta dottrina, e indagini molte racchiude. Accerto i miei leggitori, e conoscendo eglino adesso il mio metodo di scrivere la Storia dovrebbero crederlo facilmente, che fin dove ho potuto, e tutte le volte che era utile il farlo, ho portate le mie ricerche a tutte le fonti primitive, e soprattutto ho accuratamente consultati gli originali dei primi volumi della grande Raccolta intitolata Scriptores rerum ital. del Muratori.

<p>157</p>

Il dotto Camillo Pellegrino, che viveva a Capua nel secolo XVII, ha rischiarata la storia del ducato di Benevento nella sua Historia principum longobardorum. V. i Scriptores el Muratori (t. II, part. I, p. 221-345; e t. V, p. 159-245).

<p>158</p>

V. Costantino Porfirogeneta, De thematibus, lib. II, c. 11, in vit. Basil. c. 55, p. 181.

<p>159</p>

La lettera originale dell'imperatore Luigi II all'imperatore Basilio, curioso monumento del nono secolo, è stata per la prima volta pubblicata dal Baronio (Annal. eccles., A. D. 871 n. 51-71), che ha seguìto un manoscritto dell'Erenperto, o piuttosto dello Storico Anonimo di Salerno, tratto dalla Biblioteca del Vaticano.

<p>160</p>

V. l'eccellente dissertazione De republica Amalphitana, nella Appendix (p. 1-42) della Historia Pandectarum(Trajecti ad Rhenum, 1722 in 4) di Enrico Brencmann.