Il Mostro A Tre Braccia E I Satanassi Di Torino. Guido Pagliarino

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Il Mostro A Tre Braccia E I Satanassi Di Torino - Guido Pagliarino

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ormai chiusa la porta: era la voce della donna.

      Era stato Nicola, il padre di Mariangela, a rispondere al citofono: grasso ma dall'aspetto sofferente, occhi segnati e viso esangue, era senza gambe e si spostava su di una seggiola a rotelle. Non appena sua moglie, Annachiara, m'aveva introdotto in cucina, l'uomo, ch'era ancora accanto alla pulsantiera, m’aveva detto in un fiato, come se non avesse aspettato altro in vita sua: "È la fabbrica che mi ridusse così: un incidente sul lavoro che si poteva evitare, se solo avessero..."

      "…son cose che al signore non interessano", l’aveva zittito la moglie, una donna piacente, alzando brevemente gli occhi al soffitto; poi, rivolta a me: "Possiamo offrirle un caffè, brigadiere?"

      "No, grazie: non ho ancora cenato."

      "Allora, un aperitivo." Aveva messo un'altra sedia a tavola e guardando per un attimo il marito m’aveva detto: "Se permette, brigadiere, adesso lui va di là a sentire la radio. Lei invece, si segga qui tra noi"; e senz'altro aveva preso la bottiglia dalla ghiacciaia, un aperitivo dozzinale, e aveva cominciato a versare mentre il coniuge iniziava ad allontanarsi, farfugliando: "Meno male che m'hanno dato la pensione d'invalidità! Se no, chi sa come farebbero qui in casa."

      "Meno male che mia figlia lavora e che io faccio le ore tutto il giorno", m’aveva sussurrato la padrona di casa, senza curarsi che il consorte, appena oltre la porta, potesse udirla; e porgendomi il bicchiere: "Modestamente, ce la passiamo abbastanza da signori."

      M'ero accomodato, dopo aver stretto la mano a Mariangela che sedeva a tavola. Dovevano appena aver terminato cena perché i piatti coi resti della frutta erano ancora lì.

      "La famiglia è tutta qui?" avevo chiesto alla ragazza, mentre la madre si sedeva a propria volta.

      "Sì."

      "Altri parenti, qui a Torino?"

      "L'unico parente è mio marito", era intervenuta Annachiara.

      "Non capisco."

      "No, non nel senso ch'è mio marito, ma in quello che siamo lontani cugini. Venimmo su tanti anni fa."

      "Avevamo fatto il guaio!" s'era intromessa dall'altra stanza la voce di Nicola che, evidentemente, stava ascoltando tutto: "Io avevo solo tredici anni, modestamente! e lei pure. Era il '41. Eravamo scappati dalla Puglia qui a Torino. Volevano ammazzarci, i suoi e i miei! Lei aveva già Mariangela nella pancia, capisce?" Era seguita una risatina stridula.

      La moglie era divenuta paonazza: "Non gli dia retta: dopo l'incidente è diventato un po'... strano."

      "Almeno", era di nuovo arrivata la voce del consorte, "non s’era poi dovuto pagare per i festeggiamenti: matrimonio qui a Torino, una volta raggiunta l’età di legge. Matrimonio da poveri!"

      Annachiara aveva voluto precisare: "Tanti sacrifici, brigadiere. Dato che molte braccia erano al fronte, Nicola aveva trovato posto da un artigiano, senza contributi, naturalmente, e per poche lire. Io ero stata presa come cameriera della sua signora, soli vitto e alloggio. Quando s’erano accorti ch'ero incinta, avrebbero voluto mandarmi via; poi avevano avuto compassione e…"

      "…no! gli conveniva continuare a sfruttarci": questa volta il tono di voce dell’uomo era adirato.

      "Insomma, la padrona m’aveva aiutata a partorire, lasciando che tenessi con me la bambina invece di farmela affidare a un orfanotrofio. Nicola dormiva sopra una branda in un angolo del laboratorio, io con Mariangela nella soffitta di casa; ma c’era la guerra, di notte era quasi più il tempo in cantina per gli allarmi che quello a letto. L’abbiamo potuta riconoscere come nostra, la bimba, solo dopo il matrimonio. Per le pratiche ci aiutò l’avvocato d’un sindacato, perché c’erano complicazioni, dato che non avevamo denunciato la nascita: s’era basato su cose come la guerra, i bombardamenti e le famiglie divise."

      S'era intromessa ancora la voce del marito: "La guerra era finita appena in tempo, se no finivo soldato."

      "Eravamo stati dall’artigiano ancora per molto, finché nel 1949 avevano preso mio marito nell’industria; e lì, quattro anni fa, gli è successa la disgrazia." Qui Annachiara era venuta al dunque: "Brigadiere, doveva chiedere qualcosa a Mariangela?" e s’era messa senz'altro a sparecchiare: "Mi scusi, lavo subito i piatti e poi me ne vado a dormire, perché oggi è stata una giornata..."

      Sapevo ormai quanto m'interessava, ma per giustificare la mia visita avevo rivolto qualche domanda alla ragazza; e ne avevo avuto una sorpresa.

      "…dunque", avevo chiesto, "cosa sa dirmi, più di preciso, del suo datore di lavoro?"

      "Ch'è... un santo."

      "Addirittura", m’ero meravigliato: "Pare che i suoi colleghi non siano molto d'accordo con lei."

      "Stamattina non ho osato dire niente: loro ce l'hanno con lui semplicemente perché è il padrone, e anche con me perché gli tengo un poco le parti."

      "Lo ha in simpatia?"

      Era rimasta un attimo interdetta, indirizzandomi gli occhi negli occhi; poi aveva abbassato lo sguardo: "Dipende da cosa intende con simpatia."

      La madre, che intanto aveva iniziato a lavare i piatti all'acquaio, s’era bloccata e aveva guardato la ragazza con viso indagatore.

      "Intendo una normale simpatia umana verso le persone ammodo."

      Annachiara era tornata alle sue faccende.

      "Sì, in questo senso sì: è uomo che quando può fa il bene. Ha dato tante di quelle elemosine, sapesse! ed è anche un poeta. Se non avesse addosso quella disgrazia..."

      "Un poeta?"

      "Sì, scrive poesie bellissime: anche su di me. Aspetti, vado a prenderne una."

      Era tornata con un dattiloscritto. Effettivamente si trattava d'un lirica gradevole, in versi sciolti, dove l'autore, castamente, elogiava Mariangela per la sua bontà e la sua intelligenza. Avevo pensato che l'uomo potesse esserne innamorato, ma che mai avesse osato dichiararsi a causa della sua mostruosità. Avevo detto con un buon sorriso: "Insomma, se non fosse per quel suo... difetto, secondo lei sarebbe un buon partito?"

      "Oh, sì!" aveva convenuto, "anche se ha quasi undici anni più di me: ma questo non importerebbe, senza quel… difetto."

      Possibile che Mariangela gli volesse bene? Uno con una simile mostruosità! Forse si vergognava ad ammetterlo, magari anche con sé stessa?

      Penso che il mio sentire trasparisse perché la ragazza era venuta sui miei pensieri: "Non ci si può innamorare di uno come lui ma... si può volergli un po' bene; non so, come... quasi come a un fratello."

      "Capisco." Dunque avevo davanti una brava ragazza, non la sensuale perversa di cui m'aveva soffiato quel viscido d'Alfonso.

      IV

      Il commissario aveva preso a cuore il caso, anche se era secondario: quanto gli avevo detto su Tarcisio l’aveva commosso. Aveva deciso dunque di occuparsi delle indagini di persona: cose che in quei lontani anni potevano ancora succedere, specie se il commissario si chiamava Vittorio

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