Il Vento Dell'Amore. Guido Pagliarino

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Il Vento Dell'Amore - Guido Pagliarino

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Patriarchi sono figure simbolo d’Israele che si rifanno agli antichi, anonimi ma concreti, capi tribù seminomadi di Canaan che si spostavano stagionalmente con le greggi in terre esterne, fondatori, secondo la tradizione, dei luoghi sacri della Palestina e che gli Ebrei, dopo aver sconfitto i precedenti abitanti, avevano accolto come i propri illustri antenati. Il fenomeno della mitizzazione degli antichi è generale in quei secoli, non riguarda il solo popolo giudeo: ad esempio, Roma identificherà nel mitico fondatore re Romolo i capi di clan di pastori, poi agricoltori, stabilitisi nella zona costruendovi primitive capanne. I patriarchi e le loro famiglie sono pastorali come, molti secoli dopo, i membri delle tribù protagoniste della liberazione dall’Egitto che divengono idealmente, nel libro dell’Esodo, i diretti discendenti di Abramo, Isacco e Giacobbe, quest’ultimo chiamato a un certo punto da Dio, secondo la Genesi, col nuovo nome Israele, vale a dire fatto simbolo dell’intero popolo giudeo: chiaro è il patriottico fine politico-religioso del redattore che scriverà di queste cose solo nel V secolo a.C., dopo il ritorno dall’esilio babilonese. Il forse leggendario Giacobbe-Israele, stando al capitolo 46 della Genesi che è più o meno contemporaneo dell’Esodo, e stando alla cronologia biblica, era immigrato 470 anni prima della liberazione dall’Egitto nelle terre del faraone con tutta la famiglia, le greggi e le tende per sfuggire a una carestia. È però interessante notare, in funzione della possibile storicità dell'evento, che testi egizi dei primi secoli del II millennio e altri del XIII secolo a.C. affermano che a beduini asiatici provenienti dalla terra di Palestina, che intendevano scampare a carenze di cibo, a titolo di eccezionale favore era stato concesso d’entrare in Egitto con le loro greggi perché potessero mantenersi in vita (cfr. “L’antico vicino Oriente - Egitto”, in Storia del mondo, Vol. I, Arnoldo Mondatori Editore, 1973).

      In Palestina, per oltre due secoli gli Ebrei combattono coi confinanti, che tentano invasioni, e con tribù non ebree stanziate sullo stesso territorio. Non si tratta di vera e propria guerra ma piuttosto d’incursioni occasionali di piccoli gruppi e di guerriglia in difesa, e sono episodi che entreranno nel libro dei Giudici, basato su figure di capi popolo scelti da Dio, di volta in volta, per condurre Israele in battaglia; e un simile caso tornerà nel primo libro di Samuele con al centro la figura del re leggendario Saul e di suo figlio Gionata, comunque i capi tribù del tempo in realtà si chiamassero, sconfitti e morti combattendo i Filistei dopo averli provvisoriamente battuti: prima il favore di Dio e la vittoria sui nemici, poi il peccato e la sconfitta. I Filistei durante le età dei Giudici e di Saul, tra scaramucce d’alterno segno dominano di fondo la Palestina, fino a quando non restano sconfitti definitivamente dalle bande degli “uomini possenti” del pastore guerrigliero, e poi primo re storico delle terre di Giuda e Israele, Davide.

      Suo figlio Salomone riesce a ricavare dal suo popolo, e soprattutto dai piccoli contadini, quanto basta per costruire a Gerusalemme il proprio palazzo e il tempio di Jahvè, riuscendo pure a mantenere una ricca corte e a fortificare città strategiche contro possibili invasioni. Dopo di lui, come sappiamo, il regno si divide: tribù ebraiche della zona settentrionale si ribellano e fondano il separato reame d’Israele con capitale Samaria. Non molto dopo si rivoltano pure alcune delle popolazioni soggette al superstite regno di Giuda e una parte di quest’area meridionale viene ulteriormente frazionata in piccolissimi stati tribali. La ragione di entrambe le ribellioni potrebbe essere di ordine fiscale, dato che a causa del lusso della corte il popolo, e per primi i piccoli contadini, è tartassato. La storia non insegna e la situazione si ripete coi sovrani successivi. Durante i regni di Ozia di Giudea e di Geroboamo d’Israele, il profeta Amos proclama che Jahvè sta per distruggere gli oppressori dei poveri e un altro oracolo di Dio, Osea, ripete l’ammonimento. Comincia adesso a tracciarsi la figura misericordiosa di Jahvè, che s’affina negli scritti dei profeti Isaia e Michea: Dio si manifesta agli Ebrei come colui che, in primo luogo, protegge assolutamente i poveri contro i soprusi: siamo verso la fine dell’VIII secolo a.C.

      Quanto a Isaia, almeno tre sono gli autori che scrivono sotto questo nome. Il primo è l'Isaia persona fisica, detto Proto Isaia; egli è nato probabilmente a Gerusalemme e la sua vocazione profetica si manifesta attorno al 740 a.C., anno di morte del re Ozia. Gli altri scrivono in tempi successivi e la tradizione ha poi attribuito i loro scritti a Isaia. Nel complesso, il libro intestato a Isaia è scritto tra il 740 e il 445 a.C.

      Scrive il Proto Isaia (Is 1, 13-17), proponendo quel primato della carità sul culto che già lascia intravedere il Dio di Gesù che è totalmente al servizio degli esseri umani:

      â€œSmettete di presentare offerte inutili,

      l’incenso è un abominio per me;

      noviluni, sabati, assemblee sacre,

      non posso sopportare delitto e solennità.

      I vostri noviluni e le vostre feste

      io li detesto,

      sono per me un peso;

      sono stanco di sopportarli.

      Quando stendete le mani,

      io allontano gli occhi da voi.

      Anche se moltiplicate le preghiere,

      io non ascolto.

      Le vostre mani grondano sangue.

      Lavatevi, purificatevi,

      togliete il male delle vostre azioni

      dalla mia vista.

      Cessate di fare il male,

      imparate a fare il bene,

      ricercate la giustizia,

      soccorrete l’oppresso,

      rendete giustizia all’orfano,

      difendete la causa della vedova”.

      Scrive il profeta Amos(Am 5, 21-24):

      â€œIo detesto, respingo le vostre feste,

      e non gradisco le vostre riunioni;

      anche se voi mi offrite olocausti,

      io non gradisco i vostri doni.

      E le vittime grasse come pacificazione

      Io non le guardo.

      Lontano da me il frastuono dei tuoi canti,

      il suono delle tue arpe non posso sentirlo!

      Piuttosto scorra come acqua il diritto

      e la giustizia come un torrente perenne”.

      Quanto al profeta Michea, egli dalla Giudea assiste a grandi eventi, anzitutto alla guerra tra i regni ebraici di Giuda e Israele e all'invasione della Galilea da parte dell'esercito assiro con la presa di Samaria e la sconfitta del regno d’Israele. Condanna aspramente sacerdoti e falsi profeti e attacca con veemenza i ricchi proprietari di latifondi, i quali opprimono e sfruttano senza compassione i poveri, tra cui anzitutto i braccianti agricoli e i piccoli proprietari. Denuncia la corruzione delle città, in primo luogo di Gerusalemme che rende simbolo della corruzione dei vertici religiosi e politici e dei funzionari governativi. Come contemporaneamente Amos in Israele, Michea prédica la giustizia di Jahvè e richiede a suo nome un comportamento concretamente onesto e non solo di giustizia formale: Dio

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