Il Vento Dell'Amore. Guido Pagliarino

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Il Vento Dell'Amore - Guido Pagliarino

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babilonese, profetizza: “Ecco verranno giorni - dice il Signore - nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda io concluderò una alleanza nuova. Non come l'alleanza che ho conclusa con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d'Egitto, una alleanza che essi hanno violato, benché io fossi loro Signore. Parola del Signore. Questa sarà l'alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato” (Ger 31, 31-34); ed Ezechiele durante l’esilio a Babilonia scriverà quale voce di Dio: “Poi verserò sopra di voi acqua pura e diventerete puri. Io vi purificherò da tutte le vostre impurità e da tutti i vostri atti di idolatria, e vi darò un cuore nuovo metterò in voi uno spirito nuovo, toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne, metterò in voi il mio Spirito” (Ez 36, 25-27).

      Mentre questi profeti annunciano la liberazione politica degli Ebrei dalla servitù in Babilonia, il Cristianesimo, andando oltre le loro umane intenzioni, vedrà nei loro testi ispirati gli annunci di Cristo Salvatore, portatore della nuova e definitiva alleanza; nel vangelo Gesù si riferisce a Geremia dopo aver benedetto il pane eucaristico: “[...] allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue che è sparso per voi” (Lc 22, 20).

      Gebhard Fugel, Sulle acque di Babilonia, Museo Diocesano, Freising

      Il regno di Giuda cade sotto l’influsso di Babilonia e, in conseguenza del rifiuto nel 598 a.C. del re Jojaqim, figlio di Giosia, di rimanere sotto quest’influenza, l’anno successivo la capitale Gerusalemme è assediata dal re Nabucodonosor. Dopo pochi mesi, essendo morto Jojaqim, forse assassinato da alcuni dei suoi nella vana speranza che il sovrano invasore togliesse l’assedio, suo figlio Jojaqin (o Jeconia) s’arrende (2 Re 24,12) e, come riferisce il libro del profeta Ezechiele (Ez 17), viene deportato a Babilonia nel 597 (o 596) a.C. con la famiglia, i maggiori membri dell’aristocrazia, i guerrieri, gli eunuchi di corte nonché i fabbri e gli altri operai specializzati; il secondo libro dei Re (2 Re 24, 14-16) precisa che gli esiliati sono collocati in varie località, soprattutto a Tel Arsa, Tel Abib, Addam, Kerub, Kasifya e Immer, lungo le sponde del fiume Kebar, nei pressi dell’antica città, ormai in semi rovina, di Nippur..

      Nippur era stata eretta dai Sumeri nel sud della Mesopotamia e aveva avuto la massima espansione nel III millennio prima di Cristo grazie all'importanza del tempio in onore del dio Enlil. Era stata semiabbandonata verso l’anno 1000 e avrebbe avuto nuova fortuna solo secoli dopo l’esilio ebraico, nel III secolo a.C., sotto i Parti.

      Si tratta di quei luoghi della Mesopotamia meridionale su cui sorgeva la città di Ur dei Caldei dalla quale, secondo la tradizione e come sarebbe stato riportato per iscritto, nel V secolo, nel libro della Genesi, aveva preso le mosse il capostipite degli Ebrei Abramo, in conseguenza della chiamata di Dio (Gen 17, 1-14).

      Ezechiele (circa 628 – 570 a.C.), figlio di sacerdote e destinato a divenire tale, viene deportato nel corso di quest’ondata assieme al re Jojaqin. Poiché la carica sacerdotale si può esercitare solo dai trent’anni ed egli compirà quest’età essendo già in esilio, a differenza del padre non sarà mai sacerdote; diviene però profeta. Cerca d’infondere nei compagni la fede nella redenzione d’Israele, che storicamente sarebbe avvenuta una sessantina d’anni dopo, per decisione del re Ciro II di Persia. Il lungo libro d’Ezechiele è in tre parti. Nella prima sono denunciati i peccati d’Israele che portano al castigo di Dio con la caduta di Gerusalemme (capitoli 1-24). La seconda comprende l'annuncio della disgrazia in cui incorrono le nazioni idolatre (25-32). Infine, nell’ultima parte (33-48), Dio incarica Ezechiele di esortare gli Ebrei alla conversione dai peccati e di annunciare una nuova Gerusalemme. Intanto il regno di Giuda è lasciato formalmente in vita sotto il re fantoccio Mattania, zio di Jojaqin, cui Nabucodonosor cambia il nome in Sedecia come segno di sottomissione (2 Re 24,17). Il sovrano babilonese mantiene parte del suo esercito a presidiare Giuda. Il debole re, influenzato da una corte antibabilonese e avendo difficoltà a pagare il pesante tributo a Babilonia, si ribella approfittando del fatto che il faraone egiziano Hofra ha inviato una spedizione contro Nabucodonosor per conquistare terre confinanti e questi ha di necessità allontanato truppe. L’Egitto è sconfitto , Nabucodonosor muove contro Gerusalemme e la città viene vinta, saccheggiata e data alle fiamme; le mura e il tempio vengono distrutti (2 Re 24-25; Ger 39; 2 Cr 36). Una notevole parte della popolazione, come riferisce la Bibbia in 2 Re e in Geremia (2 Re 25, 8-21 e Ger 52) è portata con la forza in Babilonia in un’ulteriore deportazione che riguarda la nuova classe aristocratica e chiunque si sia schierato col re Sedecia; questi è accecato, deportato a sua volta e imprigionato, dopo aver visto uccidere tutti i suoi figli, ammazzati perché non abbia più discendenza.

      In Giudea e in quanto resta della sua capitale rimangono gli ebrei poveri, alla cui guida è posto il re fantoccio Godolia, già primo ministro e traditore filo babilonese. Non molto tempo dopo questo sovrano viene assassinato e il regno di Giuda, da questo momento, non è più tale, il territorio diviene, anche formalmente, soggetto a Babilonia. Secondo il profeta Geremia si assiste inoltre, negli anni 582/581 a.C., a un’altra deportazione che riguarda certi palestinesi che avevano tentato un’estrema resistenza in connivenza con moabiti e ammoniti (Ger 52,30).

      Insomma, una larga parte del popolo ebraico, a causa delle successive deportazioni, vive ormai in esilio, comunemente detto la servitù babilonese.

      L’esilio crea una netta separazione nella storia religioso-politica d’Israele.

      In Giudea coloro che restano continuano il culto dov’era sorto il tempio, mantenendo diretti legami col passato, e non è del tutto esclusa la composizione biblica: forse tra i rimasti in patria e non fra gli esiliati nasce il libro delle Lamentazioni, opera d’ignoto autore erroneamente attribuita in passato a Geremia, cinque componimenti poetici scritti secondo lo stile e il ritmo degli antichi canti funebri giudaici, in cui si riflette il tormento per la perdita dei cari esiliati o uccisi, per la scomparsa della nazione e la devastazione della capitale e del tempio, per il venir meno del sacerdozio e dei sacrifici rituali.

      Si tratta d'un particolare ritmo funebre, detto kinah, in cui manca un elemento: si tratta d’un artificio stilistico per evidenziare la mancanza della persona scomparsa, in questo caso la città di Gerusalemme personificata.

      Quanto ai deportati, all’inizio quegli stessi pensieri e la personale sofferenza dell’esilio li mettono in grave crisi; tuttavia la forza della tradizione giudea, sia orale sia espressa per iscritto nei testi dei profeti antichi e in una prima stesura dell’opera del Deuteronomista, fonte biblica di cui parlerò nel prossimo capitolo, testi portati seco da sacerdoti e scribi, rende il luogo e l’epoca, nella riflessione teologica dei deportati espressa in primo luogo da Ezechiele e, verso la fine dell’esilio, dal Deutero Isaia autore dei capitoli da 40 a 55 del libro d’Isaia, estremamente favorevoli a una maturazione della fede d’Israele. La servitù babilonese è a un certo punto concepita dai più colti come costruttiva ira del Signore, rivolta non tanto a punire le colpe, vale a dire la noncuranza per il Dio d’Israele d’una parte degli Ebrei e addirittura l’idolatria di altri, ma a causare il positivo pentimento e il ritorno al pieno culto per Jahvè.

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