Il Vento Dell'Amore. Guido Pagliarino

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Il Vento Dell'Amore - Guido Pagliarino

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ch’egli nascerà a Betlemme, non sarà un angelo ma un essere umano, originerà dal passato più lontano, si circonderà d’un gruppo di uomini retti, si prenderà cura dei miseri e fonderà un universale regno di giustizia, pace e benessere (Mi 4,1-5) di cui sarà sovrano Dio stesso e in cui le lance diverranno falci e le spade aratri perché non ci saranno più guerre; questo simbolicamente; in sostanza, un regno ultraterreno di Pace e cioè la Vita eterna in Dio dei beati.

      Profeta Michea, tempera grassa su tavola, àmbito veneto, primo quarto secolo XVI

      Prima della schiavitù babilonese gli Ebrei sono attirati dal politeismo: convivendo stirpi e religioni diverse sullo stesso territorio palestinese, non c’è affatto da stupirsene. Molti adorano, a lato di Jahvè, dèi della terra e, in generale, della fertilità; per primi un Padre El che arriva nelle menti di certuni a confondersi con Jahvè, una Madre Asherah, equivalente alla babilonese Ishtar, a sua volta corrispondente alla fenicia Astarte e da taluni ritenuta la moglie di Jahvè stesso, e i loro figli Anath e Baal, nome il secondo dal plurimo significato di Marito, Signore, Padrone; quest’ultima divinità è la più onorata e blandita, da certuni maggiormente di Jahvè. Gli Ebrei erigono loro statue e stele e offrono sacrifici, addirittura nel cortile del tempio costruito da Salomone. S’innalzano inoltre pietre di culto, davanti a una porta di Gerusalemme intitolata a Giosuè, persino ai pelosi, divinità inferiori dei campi simili ai boschivi fauni dei Greci. Vari sovrani sono conniventi o peggio; è idolatra Geroboamo, primo re d’Israele dopo la dissociazione da Giuda delle terre del nord: è scritto in 2 Cronache che “Geroboamo aveva stabilito suoi sacerdoti per le alture, per i demòni e per i vitelli che aveva eretti” (2 Cr 11, 15); nell’originale ebraico era detto precisamente che si trattava di statue di pelosi e di vitelli.

      Nel corso del tempo cadono mali sul popolo ebraico, ed ecco sorgere nell’ambiente profetico l’idea, che si rifletterà sulla Bibbia, che Jahvè punisca quegl’idolatri dei suoi sudditi: sudditi perché il solo re d’Israele è Dio mentre Davide e i successivi sovrani sono suoi delegati, vice re. Il profeta di turno leva quindi la voce perché si cessi d’adorare divinità estranee, ma sempre invano, e i castighi divini arrivano di nuovo puntuali, tante volte nella forma d’una sconfitta in guerra. Adorare gli dèi di altri popoli è una prassi talmente viva in Israele che ci vorrà infine la punizione enorme, come verrà intesa, della deportazione in terra babilonese perché l’intero Israele giunga all’idea di Dio unico e solo.

      Si forma nel IX secolo a.C. un movimento, diretto dai profeti Elia ed Eliseo, particolarmente duro contro il politeismo e che giunge all’omicidio di sacerdoti e di profeti delle divinità straniere. Questo partito ispira, a fini religiosi, una rivoluzione nel regno d’Israele verso l’840 a.C., tuttavia il movimento non riesce ad affermarsi, restando assai minoritario. Da parte sua già il re Asa (circa 913-873 a.C.), nipote di Salomone, aveva combattuto, vanamente, la mentalità politeista. Poi interviene un fatto nuovo e critico, la dominazione assira.

      Nell’VIII secolo prima di Cristo l’Assiria, sotto Tiglatpileser III re dal 744, da regno s’è fatta impero conquistando molti stati e instaurandovi suoi governatori e la pratica di deportare parte delle popolazioni vinte sostituendole con altre: gli Assiri si sono rivolti a nord verso Urartu, a sud hanno conquistato Babilonia, che già era stata loro in passato, ad est hanno vinto la Media, a nord si sono espansi verso le zone mediterranee; finalmente sconfiggono il regno d’Israele e, subito dopo, l’Egitto.

      Nel 721 a.C. il re assiro Sargon II ha conquistato la capitale d’Israele Samaria. Deporta dunque “gli Israeliti in Assiria destinandoli a Chelach, alla zona intorno a Cabor, fiume del Gozan, e alle città della Media” (2 Re 17, 5 s). Sulle terre di Samaria trasferisce altri popoli da regioni distanti dell’impero, che unendosi col residuo non deportato della nazione israelita costituisce la popolazione che sarà detta samaritana, malvista dagli Ebrei ancora al tempo di Gesù perché considerata bastarda:: con tale termine gli Ebrei definivano i supposti discendenti di padri ebrei e madri non ebree; la cittadinanza giudaica e lo stato di ebreo si acquisiva da parte di madre, e ancor oggi nello Stato d'Israele è ebreo chi ha madre ebrea. Le dieci tribù del nord sono dunque assorbite da altri popoli mentre alcuni dei componenti scendono nel sud e s’aggregano a Giuda.

      La dodicesima tribù, discendente dal figlio di Giacobbe di nome Levi, era quella sacerdotale (cui erano appartenuti Aronne e Mosè) e, a differenza delle altre undici, non aveva avuto in assegnazione un particolare territorio dopo la conquista della Terra Promessa.

      Al tempo di Gesù i leviti saranno gli aiutanti dei sacerdoti, costoro ormai della ristretta classe dei sadducei e sedicenti eredi dell’antico sommo sacerdote Sadòq (o Sadùq) di epoca davidica.

      Ecco che in tutte le zone sottomesse dagli Assiri, e dunque anche nei territori ebraici, si rinforza il culto per il dio nazionale, mentre in particolare nel sopravvissuto regno di Giuda si fortifica il partito politico-religioso del culto esclusivo a Jahvè, il quale è però ancora considerato il primo tra gli dèi (enoteismo), non il solo e unico Dio. Inoltre, poiché Jahvè è ormai inteso da quel movimento come la Divinità che in modo particolare gradisce e protegge i poveri, s’alza la richiesta d’una riforma legislativa a loro favore. Un giurista di Gerusalemme, Saban lo scriba, propone un nuovo codice, che comprende tanto la proibizione d’adorare altri dèi quanto miglioramenti a favore del popolo indigente. Lo chiama Legge di Jahvè. Non è certo s’egli lo presenti espressamente come il Documento dell’alleanza mosaica, comunque Saban afferma che il rotolo di questa Legge è stato ritrovato dal gran sacerdote Elcia nel 621 a.C., nei labirinti sotterranei d’un santuario posto nel tempio gerosolomitano, luogo sacro già dedicato a Jahvè ma dov’era stato in seguito eretto un altare pagano; in tal modo il giurista presenta la Legge al re Giosia, sovrano salito al trono in giovanissima età e che regna in un periodo (640-609 a.C.) nel quale il nuovo impero babilonese sta ormai per sostituire quello assiro. È possibile che Saban abbia messo per iscritto una tradizione orale e poi, d’accordo con Elcia, l’abbia presentata come antico documento ritrovato nel tempio. In ogni caso il sovrano accetta come autentico questo libro, dopo ch’è stato convalidato da una profetessa: è un materiale che confluirà durante e/o nel dopo esilio nel libro del Deuteronomio, soprattutto nei capitoli da 12 a 26 e nel 28: in detto libro, influenzato dal profetismo pre-esilico, risuonerà la primitiva legislazione di Giuda col basilare appello morale di tutelare i rapporti di fratellanza e uguaglianza tra i membri della società.

      All’opposto estremo, in un altro testo del Pentateuco che è espressione del gruppo elitario sacerdotale, il Levitico, (v. di questo saggio il capitolo II - LE BASILARI TRADIZIONI VETEROTESTAMENTARIE), sarà in primo piano l’esigenza della purezza, identificandosi l’etica con la purità rituale e legale; e sarà il codice levitico più che l’idea di giustizia deuteronomica a rimanere prioritario in Israele, ancora al tempo di Cristo.

      In conseguenza del ritrovamento, Giosia tenta una riforma monoteista, o più verosimilmente enoteista, ramazzando via dal suo regno negromanti e indovini e abbattendo idoli. Si tratta d’una gran riforma religiosa, culturale e politica che però non entra nel cuore d’Israele: quando il sovrano viene sconfitto e muore in una guerra contro re Neco II di Siria, un fatto considerato di malaugurio, il regno di Giuda torna al politeismo, fatto che i profeti Geremia ed Ezechiele bolleranno

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