Morrigan. Laura Merlin

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Morrigan - Laura Merlin

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      Sgranai gli occhi e rimasi a fissarle trattenendo il respiro.

      Tre arcani maggiori!

      Tre carte di un certo peso poiché sono quelle con più influenza magica.

      Il matto, arcano numero zero.

      La morte, tredicesimo arcano.

      La torre, sedicesimo arcano.

      In poche parole significavano un cambiamento inaspettato nella vita, una nuova strada da prendere.

      Questo non mi rendeva per niente tranquilla. Raccolsi le carte e notai che mi tremavano leggermente le mani.

      L’ultima cosa che avrei voluto in quel momento era un cambiamento drastico nella vita. Mi andava bene così, ordinaria, regolare, senza troppi colpi di scena.

      Ne avevo già avuti abbastanza con un ragazzo, Michael.

      Eravamo usciti insieme qualche volta. Mi ero affezionata ai suoi occhi color nocciola, simili a quelli di un cerbiatto smarrito, e ai suoi capelli neri e morbidi. Aveva l’aria da ragazzino e insieme ne facevamo di cotte e di crude. Stavo bene con lui, ma dopo qualche tempo mi accorsi che quello che provavo era solo una forte amicizia e niente più.

      Decisi così di troncare la storia sperando che prima o poi avrebbe capito la mia decisione.

      Mi sbagliavo di grosso!

      Lui mi amava ed era quell’amore folle che ti fa fare pazzie. Quello che ti fa credere che per sempre non sia solo un’illusione, ma una cosa reale, possibile.

      Però è anche quello che nel momento in cui ti spezza le ali ti ritrovi a precipitare giù, sempre più giù, nel cuore degli inferi.

      E fu quello che provò lui.

      L’ossessione lo rese cieco e passava da momenti di rabbia in cui mi offendeva e imprecava contro di me a momenti di tranquillità e depressione in cui avrebbe fatto di tutto pur di tornare.

      Mi faceva paura! Tanto che, quando uscivo, cercavo di essere sempre in compagnia.

      Potrebbe sembrare una reazione esagerata, ma avevo davvero timore delle sue reazioni.

      Scrollai le spalle e con uno scatto mi alzai. Scesi le scale di corsa e infilai le mie Converse nere e rosa.

      Mi avviai verso il parco anche se la giornata non era delle migliori. Il cielo era offuscato da qualche nuvola che minacciava di far piovere da un momento all’altro, ma i trenta gradi che c’erano si facevano sentire molto bene.

      Accesi l’iPod, infilai le cuffiette e feci scorrere la playlist. Avevo un disperato bisogno di un po’ di musica che mi caricasse, così scelsi i Queen con Princes of the universe.

      Arrivata all’entrata del parco iniziai a correre.

      Mi piaceva quel posto, metteva allegria anche in giornate cupe come quella. Sembrava che lì nulla potesse smorzare il verde acceso degli alberi e dell’erba ben curata.

      Quella mattina c’erano pochissime persone. Di solito, a giugno, si potevano trovare molti bambini a spasso con i nonni anche alle otto di mattina. Invece era come se quel giorno si fossero tutti rintanati in casa e solo io avessi avuto la folle idea di uscire.

      La cosa non mi piaceva affatto.

      Raggiunsi la zona più distante e più bella del parco dove scorreva un fiumiciattolo attraversato da un ponte in legno ben tenuto.

      Stavo respirando a fondo quel dolce profumo di acqua e terra bagnata, quando un rumore attirò la mia attenzione.

      Mi tolsi le cuffiette per ascoltare meglio.

      Sembravano dei singhiozzi.

      Mi fermai e guardai un po’ in giro. Con il dorso della mano asciugai la fronte imperlata di sudore e feci qualche passo avanti sempre ascoltando da dove provenisse quel rumore.

      E la vidi.

      Era una vecchina dal viso dolce e dai capelli bianchi raccolti con cura in uno chignon. Stava piangendo, rattristata per qualcosa che non potevo sapere.

      â€¹â€¹Signora, tutto bene?›› chiesi avanzando piano di qualche passo.

      Accanto a lei c’era un cesto con dentro degli abiti. Stava semplicemente lavando dei vestiti nel fiume.

      Mi sentivo incuriosita e spaventata allo stesso tempo, senza sapere il perché. Dopotutto era solo una signora anziana, triste e sola per di più!

      â€¹â€¹Signora?›› riprovai con un tono più dolce dato che non sembrava avermi notata.

      Ormai ero vicina abbastanza da poter capire cosa stringeva tra le mani.

      In un primo momento pensai che potessero essere i vestiti del suo probabile defunto marito. Invece, guardando bene, notai che era una canotta troppo piccola per essere indossata da un uomo e troppo giovanile per essere sua.

      Strizzai gli occhi per vedere meglio e due cose mi fecero rimanere senza fiato.

      C’era un disegno su quella canotta bianca, una semplice farfalla rosa. Abbassai lo sguardo e vidi che era la stessa che indossavo io.

      Non aveva senso!

      Stavo ancora dormendo?

      Ma quando mi ero addormentata?

      No, ero sveglia e cosciente. Purtroppo.

      La vecchina era intenta al suo lavoro, impegnata a togliere una macchia.

      Una macchia rossastra e irregolare.

      Mi rilassai un attimo. Magari era di una nipote. Sì, sicuramente l’aveva sporcata e la nonna la stava pulendo.

      Ma perché piangeva?

      I miei occhi si bloccarono sul colore dell’acqua scarlatta che scendeva. Poteva essere una macchia di sangue fresco? Proprio all’altezza del fianco destro.

      La mia fantasia si era messa a viaggiare troppo velocemente. Era tutto così assurdo per essere vero!

      La nonnina si girò in lacrime e mi fissò con due occhi di ghiaccio che sembravano implorarmi di capirla.

      â€¹â€¹Mi dispiace››.

      â€¹â€¹Per cosa, signora?››, cercai di chiedere in tono calmo, ‹‹Cos’è successo? Perché c’è tutto quel sangue?››.

      â€¹â€¹Lo capirai… presto… mi dispiace tanto››, e ritornò al suo lavoro, sempre singhiozzando e lasciando che le lacrime le rigassero il volto già solcato da rughe.

      Avrei voluto consolarla, parlarle ancora, chiederle di più, ma non appena aprii bocca sentii un cane abbaiare.

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