Peccati Erotici Delle Italiane, Volume I. Giovanna Esse
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(Fiaba)
La Fata di Ferro aveva una casa che solo nel mondo delle fiabe era possibile immaginarsi. La giovane principessa si era presentata a lei, armata solo dellâinnocenza, della voglia di vivere e delle sue paure. Aveva vissuto troppo tra gli echi misteriosi del bosco, cercando la forza per vincere le incertezze; aveva provato su di sé il peso opprimente dellâindiï¬erenza. Ora, tutto questo, si contrapponeva all'ambiente fantastico che lâaspettava.
Da subito era stata accolta come la più bella delle principesse: le miscele di cacao più esclusive arrivavano da ogni parte del mondo per confezionare le sue cioccolate, mentre biscotti, marzapane e miele di giuggiole, non mancavano mai, all'ora della merenda.
La Fata di Ferro era intransigente: prima di tutto bisognava fare i compiti; ma poi, come dâincanto, quelle volavano in fretta. Era bello persino studiare se il premio era un sorriso affabile e complice della fata. La giovane faceva del suo meglio per collezionare buoni voti, per non interrompere quel connubio felice.
La Fata di Ferro si dimostrò la migliore delle amiche e la più fidata. Bellissima, grande, prosperosa; indossava sempre vestiti colorati e allegri: un vero e proprio inno alla gioia. Aveva mille abiti, tutti troppo corti per nascondere le sue grosse gambe burrose; tutti troppo stretti per contenere i seni gonfi o le natiche tonde.
Nella casa della Fata tutto era a disposizione e non câera altro da fare che essere felici. La padrona di casa aiutava Alba nelle scelte senza prevaricare, condivideva le sue idee, la consigliava, e la ragazza non trovava da obiettare ai suoi pareri sussurrati, anzi: pendeva dalle sue labbra. La cosa incredibile era ricevere tutta la sua attenzione, incondizionatamente.
Nulla, in quella casa. contava più della principessa; per la Fata di Ferro il centro dellâuniverso, era Alba e tutto ciò che lei diceva era interessante, unico e prezioso.
Stava con piacere nella sua famiglia, ma intanto, non vedeva lâora di correre via⦠il mondo delle fiabe lâattendeva e non vedeva l'ora di poter ritornare nella casa alla fine del sentiero, tra le buganvillee e gli oleandri, colorati e velenosi. Ogni giorno la principessina si sentiva più grande e più forte; ogni giorno correva verso nuove esperienze. E, celato nel suo cuore di piccola peccatrice, aveva un segreto, inconfessabile ma sublime. Una delle cose che lâattraevano era il corpo della fata; sarebbe rimasta ore a rimirarlo. Già quellâunico incantamento sarebbe bastato a rendere le visite improcrastinabili.
Lei era bellissima e, per la gioia di Alba, estremamente distratta. Quando sedevano al tavolino delle ghiottonerie, spesso accavallava le opulente gambe, senza curarsi del camice che si alzava e, salendo, a ogni movimento metteva in mostra le calze; sempre diverse, sempre di nuovi colori. Quelle che le piacevano di più erano le nere. Le calze nere parevano più piccole di una misura, la seta era tesa sulla pelle, creando appetitosi chiaroscuri; lo sguardo, ipnotizzato da quella visione, cercava il punto dove il nero deciso dellâorlo merlettato liberava, con uno sbuï¬o lievissimo, la carne rosea e chiara. Anche quando si adagiava su un basso pouf, sgranocchiando cannellini e Lacrime dâAmore, non era diï¬cile che Alba riuscisse a carpire unâimmagine delle sue mutandine, schiacciate tra le cosce.
La povera fata sedeva li, per non rubare spazio ad Alba a cui, da principessa quale era, era riservato il posto dâonore, sul divano.
A volte gironzolava per casa, alla ricerca di un granello di polvere âvigliaccoâ, o di uno dei tanti oggetti che, in quella casa fatata, avevano la terribile tendenza a cadere negli angoli più nascosti; da quando aveva scoperto che, per ritrovarli, la fata si metteva carponi, mostrandole il fondoschiena oppure le poppe gloriose, Alba, pur essendo di indole aï¬ettuosa e servizievole, non si oï¬riva mai, come volontaria, per le ricerche. Preferiva godersi ciò che riusciva a vedere⦠E la fata aveva infinita pazienza e nulla chiedeva alla sua preziosa ospite.
Per fortuna, tutti i rossori e le vampate peccaminose della ragazza passavano inosservati, tantâè che una volta, fattasi coraggio, Alba, dal gabinetto, chiamò la sua madrina con una scusa e si fece trovare seduta sul vaso, con le sottili gambe dischiuse. Anche allora la fata non disse niente e nulla notò, chiusa in una âcastaâ indiï¬erenza. Al contrario, la principessa per la vergogna sopravvenuta dopo lâeccitazione, cercò una scusa frettolosa per tornarsene a casa e, per alcuni giorni non si fece più sentire.
Al terzo giorno fu la fata a chiamare e tutto riprese come prima.
4 â Lâistitutrice: fascino e polso fermo
(Realtà )
Flora credeva di impazzire, tanto la situazione era divenuta insostenibile. Nonostante le promesse fatte a se stessa e alla madre di Nicòle, la presenza della ragazza era diventata troppo intrigante, eppure opprimente per lei. Il piacere che provava, a sentirsi osservata di nascosto da quella piccola troia, le rimescolava il sangue nelle vene e, appena la vedeva o la pensava, si ritrovava eccitata. Dal primo istante in cui Nicòle giungeva a casa, la sua parte più recondita iniziava a sbavare piacere; desiderava lâorgasmo per ore, mentre le sue guance avvampavano e sudava tra i seni. La voleva! E, naturalmente, alla fine restava frustrata dal ânulla di fattoâ che, essa stessa, si era imposta solennemente. Avrebbe voluto sfogare su quel corpo delicato lâinfinito desiderio.
Il primo giorno che Nicòle disertò le lezioni, Flora respirò e, dopo settimane di stress, le sembrò di riprendere il controllo della sua vita e della sua casa. Era diventata una piccola despota; una vera canaglia, quella sua principessa! Appena scoprì di poter comandare, iniziò a tiranneggiarla⦠(che meravigliosa sensazione)
Il secondo giorno sâimmalinconì. Le mancava. Voleva essere maltrattata ancora da quellâimpertinente spiona. Le mancavano i suoi occhioni che le fissavano le cosce⦠E sì che Nicòle aveva davvero esagerato: farsi trovare nuda, sul gabinetto, ancora bagnata.
Pensieri deliziosi lâavevano attraversata, come correnti galvaniche scintillanti; ma doveva comportarsi da adulta, responsabile. Doveva resistere!
Quella sera si decise e chiamò un suo amico, per dare sfogo al vulcano della libidine, ma l'uomo era già impegnato; il fatto che lui non potesse raggiungerla la rese ancora più furiosa.
Si frugò nellâintimità , meccanicamente, sul letto, ma il piacere la rese ancora più eccitata e incapace di vincere il desiderio di Nicòle. La sera del terzo giorno la fece finita: telefonò.
«Eppure ero certa che ti avesse avvisato» rispose Franca, perplessa «i giovani di oggi non hanno più nessun rispetto.»
«No, lasciala stare, sono ragazzi, magari qui da me si annoia. Purtroppo non ho vicini con ragazzi della sua età . La capisco poverina.» la giustificò Flora.
«Aspetta adesso la chiamo, vediamo come si sente.» Poi Flora, trepidante e impacciata, udì le voci lontane di Nicòle e della madre:
«Ma che ti salta in mente? Perché non hai avvertito Flora che stavi male?»
«Uffa, ma io non stavo bene, pensavo che glielo avessi detto tu.»
«Sei una gran maleducata. Adesso vai al telefono e scusatiâ¦Â» Seguirono altre parole che non fu in grado di sentire. Dopo poco arrivò Nicòle: