Peccati Erotici Delle Italiane, Volume I. Giovanna Esse

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Peccati Erotici Delle Italiane, Volume I - Giovanna Esse

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mi terranno più calda, starò comodissima. E senza le mutandine, posso fare la pipì facilmente.» Alzò lo sguardo e fissò Flora con aria spavalda, gli occhi di cerbiatta la sfidarono senza pudore. Flora riuscì a distrarre la sua attenzione da quello spettacolo. Col respiro affannoso finse di borbottare qualcosa sui giovani, voltandosi per nascondere il rossore delle gote. Si dedicò tenacemente a filtrare il the e lo versò caldo nelle tazze preferite, poi senza una parola si ritirò di sopra, in camera.

      Nicòle si era già sistemata sul divano, accogliente come un'alcova; aveva osato, ma in cuor suo si augurava di non avere esagerato.

      Il film era appena iniziato. Dalle scale potè spiare Flora mentre tornava in salotto. Si era cambiata: ora indossava un lungo camicione, stretto sui seni, una specie di stile impero, sotto, infatti, si svasava leggermente e davanti era chiuso coi bottoni. La ragazza notò che non aveva più le calze. “Avrà caldo” pensò tra sé, e provò piacere a quella vista.

      7 - La fata senza veli

      (Fiaba)

      Quel pomeriggio la Fata di Ferro aveva indossato una veste leggera con i bottoni davanti. Come sempre silenziosa, sedette accanto ad Alba. Dopo pochi minuti la principessa si raggomitolò al suo fianco; iniziò ad assaporare l'atmosfera voluttuosa che si creava tra loro. Chiuse gli occhi e aspirò il profumo fresco sulla sua carne delicata. Tirò sul divano le due gambe fasciate dai collant, mentre abbandonava la testa sul braccio della fata. Pochi istanti dopo, con la mano libera, scivolò dalle sue gambe sottili a quelle deliziosamente piene della donna matura. Spingendo sul cotone leggero, sentì che scorreva facilmente sulla pelle nuda di quelle cosce. La principessa ebbe uno dei mille brividi che ormai facevano parte della sua precoce sessualità.

      Curiosa, col cuore che batteva, la mano trasgressiva si fece strada verso l’alto; scavalcò la pancia, si soffermò sull’ombelico teso, per poi risalire il lieve pendio che arrancava sotto i seni generosi. Avrebbe voluto lanciare un piccolo grido di vittoria, ma si trattenne mordendosi le labbra: si era appena resa conto che la donna aveva tolto anche il reggiseno. Le sue poppe, deliziosamente calde, poggiavano sul corpetto della vestaglia ed erano trattenute solo dai bottoni. Alba incontrò la rugiada appetitosa che si stava formando sotto i due grossi seni. La voglia divenne violenta.

      La fata taceva, come se nulla stesse accadendo; il volto da Sfinge, guardava, senza vedere, in direzione della televisione; le labbra serrate enigmaticamente; non un briciolo di emozione faceva capolino sul suo viso. I suoi occhi penetranti evitavano accuratamente di incrociare quelli di Alba. Eppure, per la prima volta… la fata, sotto la veste, era tutta nuda, ma sembrava del tutto indifferente alle passioni contrastanti che agitavano la giovanetta.

      Alba voleva continuare a toccare la pelle nuda ma temeva di sembrare troppo insistente. Alla fine si fece coraggio: doveva tentare. Non poteva restare per sempre nell’insicurezza e col petto in fiamme. Le dita sottili acquisirono coraggio e, come artificieri che manipolano una bomba inesplosa, uno dopo l’altro liberarono i tre bottoni, che serravano il decolleté della Fata di Ferro. I seni tracimarono, come una piena dalla diga, privi ormai di ogni difesa, si allargavano mollemente, allontanandosi l’uno dall’altro. Nel mezzo apparve, allora, come una vallata odorosa, rorida di delicato sudore.

      Come provenisse dal sottobosco nel mese di agosto, uno sbuffo di profumo di femmina invase le nari della principessa impertinente. Alba era insicura nel leggere i segnali del piacere, ma di certo non evitò di cercare la voluttà tra quelle due montagne calde e tenere. Sulla sommità, sorgendo come templi tibetani, i seni, turgidi e torniti, con la punta già grossa come un dito, svettavano, allettandola a osare.

      Il contatto della pelle nuda con i luoghi più intimi della sua “madrina” resero la principessa euforica, come ubriaca. Abbandonò ogni freno inibitore e si avventò con le mani sul petto e sulla pancia che li sosteneva, con le mani bramose di toccare.

      Il silenzio indifferente e annoiato, che spesso era stato causa di dolori d’amore nella giovane principessa, ora, era benedetto. L’eccitazione la rendeva temeraria… e, miracolosamente, la donna, immobile, si lasciava sballottare, tastare, annusare, senza dare segni, né di fastidio, né di apprezzamento; buon per Alba, che aveva perso la testa. Adesso era quasi pronta al passo decisivo; la vicinanza del viso e della bocca a quel seno generoso, la invitava a fare una cosa che ancora non aveva osato mai: prenderlo tra le labbra con tutta la passione. Quel primo bacio, erotico, estremo, avrebbe segnato la fine di ogni compromesso…

      La voce della Fata arrivò, pacata ma decisa, del tutto inaspettata, come uno schiaffo sulle mani. La matrona uscì all’improvviso dal suo torpore sibillino. Risorse e, voltandosi verso Alba, la fissò con gli occhi scuri, ardenti come braci:

      Â«Ma ti piace veramente quello che stai facendo?»

      Alba saltò indietro; ritirò la mano. S’irrigidì come fosse stata colpita da un ceffone.

      Nonostante la donna continuasse a rimanere immobile sul divano, con i seni al di fuori dell’abito stretto; nonostante l’orlo sottostante, sollecitato dai moti di Alba, fosse salito fino a scoprire del tutto le grandi cosce, mostrando persino la mutandina bianca, fu Alba a sentirsi messa a nudo; si sentì scoperta, in un gioco che, follemente, aveva pensato di poter occultare. Caduto d’improvviso l’eccitamento, si vergognò di aver tanto approfittato, esagerato, usurpato. Aveva invaso l’amicizia bonaria della fata, frugando sempre più il suo corpo, senza mai averne ottenuto il permesso, esplicitamente.

      Quel giorno aveva di certo esagerato e provò, in pieno, tutta la violenza della sua trasgressione. Rimase impietrita mentre, completamente sobria dopo la sbornia di piacere, desiderava sprofondare, pur di non dover ammettere il suo mortificante atteggiamento.

      

      

      ***

      

      

      Il tempo si era fermato nel soggiorno. Tutto sembrava tacere, persino la TV.

      La Fata di Ferro, impassibile come un’aguzzina, scrutava l’anima di Alba, passandole attraverso gli occhi, chiari come l’acqua. Poi, finalmente, sul suo viso si disegnò un leggero sorriso che odorava di panna montata. Riprese la sua posizione comoda sul divano e, lentamente, cercò la mano di Alba, riportandosela sui seni cedevoli. Appena la ragazza si sciolse dalla morsa della paura, vi poggiò la testa, lasciando scorrere dagli occhi qualche lacrima di gioia. E allora la fata l’attirò a sé fino a quando la bocca non si trovò proprio sul capezzolo.

      Â«Tu lo sai che tutto questo è proibito? Saprai mantenere il segreto?» le sussurrò all’orecchio. Liberandosi la bocca dal bacio perverso ma dolce, Alba promise con tutta l’anima:

      Â«Non dirò mai niente a nessuno di quello che accade tra noi... qui. Te lo giuro sulla mia vita!» La fata abbassò lo sguardo e le loro labbra si incontrarono: le sue erano carnose e pronunciate, e si schiusero alla curiosità della fanciulla. Alba non sapeva bene come fare, ma il contatto fu inebriante. Un attimo dopo si ritrovò sulla lingua un succo oleoso e trasparente: era la saliva della sua amante. Passando da una bocca all’altra il liquido si abbassava di temperatura, portandole in bocca una freschezza sconosciuta e nuova. Non credeva di resistere a quel sapore senza svenire, ma si fece forza.

      Â«Nooo!» non riusciva a credere

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