Voto Di Gloria . Морган Райс

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Voto Di Gloria  - Морган Райс L’Anello Dello Stregone

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la pipa volò semplicemente in aria e andò a sbattere contro il muro frantumandosi. E suo padre era sempre lì che lo guardava con sguardo truce.

      “Quelle droghe non ti saranno di aiuto ora,” lo rimproverò.

      Gareth non poteva più sopportarlo. Si lanciò contro l’apparizione, con le mani in avanti, deciso a graffiargli la faccia. Ma come sempre si scagliò contro nient’altro che aria, e questa volta inciampò in mezzo alla stanza atterrando sulla scrivania di  legno di suo padre, rovesciandola e cadendo a terra con essa.

      Rotolò sul pavimento, ruotò su se stesso e sollevò lo sguardo accorgendosi di essersi procurato un taglio profondo al braccio. Il sangue gli gocciolava dalla camicia, e guardandosi si rese conto di avere ancora indosso la stessa veste da camera che portava ormai  da giorni. In effetti erano settimane che non si cambiava. Vide di scorcio un riflesso di se stesso e vide i capelli arruffati: sembrava un comune mascalzone. Una parte di lui stentava a credere di essere caduto così in basso. Ma un'altra parte non se ne curava affatto. L’unica cosa che gli era rimasta dentro era l’ardente desiderio di distruggere, distruggere ogni rimasuglio di ciò che un tempo era stato di suo padre. Avrebbe voluto far radere al suolo quel castello, e la Corte del Re con esso. Sarebbe stata la vendetta per il trattamento subito da bambino. I ricordi erano indelebili in lui, come una spina che non era capace di estirpare.

      La porta dello studio si aprì di scatto e un servitore di Gareth entrò guardandolo con paura.

      “Mio signore,” disse. “Ho udito un colpo. State bene? Mio signore, state sanguinando!”

      Gareth guardò il ragazzo con odio. Cercò di rimettersi in piedi e colpirlo, ma scivolò su qualcosa e cadde a terra, disorientato dall’ultima fumata di oppio.

      “Mio signore, lasci che la aiuti!”

      Il ragazzo si affrettò ad afferrare il braccio di Gareth, che era magrissimo, praticamente pelle e ossa.

      Ma Gareth aveva ancora un rimasuglio di forza e quando il ragazzo gli toccò il braccio lo scrollò via, spingendolo dall’altra parte della stanza.

      “Toccami un’altra volta e ti farò tagliare le mani,” lo minacciò.

      Il ragazzo indietreggiò intimorito e in quel momento un altro servitore entrò nella stanza, accompagnato da un uomo più anziano che Gareth riconobbe appena. Da qualche parte nei meandri della sua mente sapeva di conoscerlo, ma in quel momento non era in grado di ricordare.

      “Mio signore,” disse una voce vecchia e greve, “vi attendiamo nel consiglio da mezza giornata. I membri del consiglio non possono aspettare molto oltre. Hanno notizie urgenti che devono condividere con voi prima che il giorno volga al termine. Siete pronto?”

      Gareth strinse gli occhi in due fessure guardando l’uomo e cercando di capire. Ricordava appena che aveva servito suo padre. La Sala del Consiglio… la riunione… Tutto vorticava nella sua mente.

      “Chi sei?” chiese.

      “Mio signore, sono Aberthol. Il consigliere più fidato di vostro padre,” gli rispose, avvicinandosi di un passo.

      Lentamente gli stava tornando alla mente. Aberthol. Il consiglio. I pensieri di Gareth vorticavano, la testa gli faceva male. Voleva solo che lo lasciassero solo.

      “Lasciatemi stare,” disse seccamente. “Ora arrivo.”

      Aberthol annuì e uscì rapidamente dalla stanza insieme al servitore, chiudendo la porta alle loro spalle.

      Gareth rimase lì in ginocchio, la testa tra le mani, cercando di pensare e ricordare. Era troppo. Le cose gli tornavano alla mente a piccoli pezzi. Lo scudo era inattivo; l’Impero stava attaccando; metà della sua corte se n’era andata; sua sorella li aveva condotti via; a Silesia… Gwendolyn… Ecco. Ecco cosa aveva cercato di ricordare.

      Gwendolyn. La odiava con una veemenza che non era in grado di descrivere. Ora, più che mai, voleva ucciderla. Aveva bisogno di ucciderla. Tutti i suoi problemi erano stati causati da lei. Avrebbe trovato un modo di raggiungerla, avesse pure rischiato di morire lui stesso per farlo. E poi avrebbe ucciso anche i suoi altri fratelli.

      Iniziò a sentirsi meglio a quel pensiero.

      Con sforzo supremo si mise a fatica in piedi e zoppicò attraverso la camera, andando a sbattere contro un tavolo. Avvicinandosi alla porta scorse un busto di alabastro che raffigurava suo padre. Era una scultura che suo padre aveva amato: la prese afferrandola per la testa e la scagliò contro la parete.

      Andò in mille pezzi e per la prima volta in quella giornata Gareth  riuscì a sorridere. Forse quel giorno, dopotutto, non era così male.

*

      Gareth entrò con irruenza nella Sala del Consiglio affiancato da numerosi servitori, sbattendo il portone di quercia e facendo sobbalzare tutti i  presenti. Velocemente si alzarono tutti in piedi mettendosi sull’attenti.

      Mentre normalmente un comportamento del genere gli dava una certa soddisfazione, quel giorno quasi non se ne accorse. Era tormentato dal fantasma di suo padre e pieno di rabbia per la fuga di sua sorella. Le emozioni vorticavano dentro di lui e aveva bisogno di sfogarsi.

      Attraversò zoppicando la grande sala, ancora intontito dall’oppio, e raggiunse il centro dove si trovava il suo trono. Decine di uomini del consiglio si alzarono in piedi al suo passaggio. L’energia che emanava dalla sua corte era più che mai elettrica, sembrava che la gente fosse più che mai in fibrillazione per la notizia della partenza di metà degli abitanti della Corte del Re e per la novità dello scudo non più funzionante. Era come se ciò che era rimasto della Corte del Re si fosse riversato lì per avere delle risposte.

      E ovviamente Gareth non ne aveva.

      Salendo barcollando gli scalini fino al trono di suo padre, vide, paziente dietro ad esso, Lord Kultin, il capo mercenario del suo esercito privato, l’unico uomo rimasto a corte di cui si potesse realmente fidare. Accanto a lui erano schierate decine di guerrieri, in silenzio, le mani posate sulle loro spade, pronti a combattere fino alla morte per Gareth. Era l’unica cosa che gli desse un po’ di conforto.

      Gareth si sedette sul trono e guardò la stanza. C’erano così tanti volti: un pochi li riconobbe, ma molti non li conosceva. Non si fidava di nessuno di loro. Ogni giorno eliminava qualcuno per purificare la sua corte, ne aveva già mandati un sacco nelle segrete e ancora di più sul patibolo. Non passava giorno che non uccidesse almeno una manciata di uomini. La riteneva una buona politica: teneva le persone al loro posto ed era un’ottima prevenzione contro ogni colpo di stato.

      Nella sala regnava il silenzio e tutti lo guardavano stupiti. Sembravano tutti terrorizzati all’idea di prendere la parola. Ed era proprio ciò che lui desiderava. Non c’era niente di più eccitante che infondere paura nei suoi sudditi.

      Alla fine fu Aberthol a fare un passo avanti, il bastone risonante contro il pavimento, schiarendosi la voce.

      “Mio signore,” iniziò con voce antica, “ci troviamo in un momento di grande scompiglio nella Corte del Re. Non so quali notizie vi siano già giunte: lo Scudo è inattivo, Gwendolyn ha lasciato la Corte del Re ed ha preso con sé Kolk, Brom, Kendrick, Atme, l’Argento, la Legione e metà del vostro esercito, insieme a metà della Corte stessa. Quelli che sono rimasti guardano a voi come guida, per sapere quale sarà la nostra prossima mossa. Il popolo vuole delle riposte, mio signore.”

      “Per di più,” aggiunse un altro membro del consiglio che Gareth riconobbe vagamente, “si è diffusa la notizia che il Canyon sia già stato oltrepassato.

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