Voto Di Gloria . Морган Райс
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“Non può essere vero!” esclamò un soldato.
“Invece lo è!” rispose il membro del consiglio.
“Se è così, ogni speranza è perduta,” gridò un altro. “Se i McCloud vengono conquistati, l’Impero verrà poi verso la Corte del Re. Non c’è modo di tenerli a bada.”
“Dobbiamo discutere i termini di resa, mio signore,” disse Aberthol a Gareth.
“Resa!?” gridò un altro uomo. “Non ci arrenderemo mai!”
“Se non lo facciamo,” intervenne un altro, “saremo annientati. Come possiamo fronteggiare un milione di uomini?”
Nella stanza si diffuse un brusio concitato, i soldati e i consiglieri iniziarono a discutere tra loro in un generale disordine.
Il capo del consiglio sbatté il bastone di ferro sul pavimento e gridò: “ORDINE!”
Gradualmente tutti fecero silenzio. Gli uomini si voltarono verso di lui.
“Queste sono decisioni che spettano al re, non a noi,” disse uno degli uomini del consiglio. “Gareth è il legittimo sovrano e non sta a noi discutere i termini di resa, o se arrenderci del tutto.”
Tutti si voltarono verso Gareth.
“Mio signore,” disse Aberthol con voce esausta, “come dite di comportarci con l’esercito dell’Impero?”
Un silenzio di tomba calò nella sala.
Gareth rimase seduto a guardare gli uomini che attendevano una risposta da lui. Ma era sempre più difficile schiarirsi le idee. Continuava a sentire nella sua testa la voce di suo padre che gli gridava contro, come quando era bambino. Lo stava facendo impazzire e non smetteva un solo momento.
Grattò ripetutamente i braccioli del trono con le unghie: era l’unico rumore che si poteva udire nella stanza.
I membri del consiglio si scambiarono sguardi preoccupati.
“Mio signore,” insistette un altro membro del consiglio, “se deciderete che non dobbiamo arrenderci, allora dovremo fortificare subito la Corte del Re. Dobbiamo rendere più sicuri tutti gli ingressi, le strade, i cancelli. Dobbiamo richiamare tutti i soldati e preparare la difesa. Dobbiamo prepararci a un assedio, razionare il cibo, proteggere i cittadini. C’è molto da fare. Vi prego, mio signore. Dateci degli ordini. Diteci cosa fare.”
Di nuovo scese il silenzio e tutti gli occhi rimasero fissi su Gareth.
Alla fine Gareth sollevò il mento e li guardò.
“Non combatteremo contro l’Impero,” dichiarò. “Ma neppure ci arrenderemo.”
Tutti si guardarono confusi.
“E allora cosa faremo, mio signore?” chiese Aberthol.
Gareth si schiarì la voce.
“Uccideremo Gwendolyn!” dichiarò. “È tutto ciò che conta ora.”
Seguì un silenzio scioccato.
“Gwendolyn?” chiese un membro del consiglio mentre gli altri erompevano nuovamente in un mormorio incontrollato.
“Le manderemo contro tutte le nostre forze armate, faremo massacrare lei e quelli che la stanno seguendo prima che raggiungano Silesia,” continuò.
“Ma, mio signore, come può esserci d’aiuto questo?” chiese un membro del concilio. “Se ci avventuriamo all’attacco di Gwendolyn, questo non farà che lasciare esposti i nostri eserciti. Saranno presto circondati e massacrati dall’Impero.”
“E anche la Corte del Re verrà così lasciata libera di essere attaccata,” aggiunse un altro. “Se non abbiamo intenzione di arrenderci, dobbiamo fortificare la città il prima possibile!”
Un gruppo di uomini iniziarono a discutere a voce alta.
Gareth si voltò a guardare i membri del consiglio con occhi di ghiaccio.
“Useremo tutti gli uomini che abbiamo per uccidere mia sorella,” disse con tono cupo. “Non ne risparmieremo neanche uno.”
Nella sala calò nuovamente il silenzio e uno dei membri del consiglio spinse indietro la sua sedia, facendola strisciare rumorosamente sul pavimento e alzandosi in piedi.
“Non starò a guardare la Corte del Re rovinata dalla vostra ossessione personale. Io, per me, non sto dalla vostra parte!
“Neppure io!” gli fecero eco la metà degli uomini che si trovavano nella sala.
Gareth fumava di rabbia e stava per alzarsi in piedi quando improvvisamente le porte si aprirono di schianto ed entrò in fretta e furia l’unico comandante dell’esercito rimasto. Tutti gli occhi erano puntati su di lui. Trascinava dietro di sé un uomo, un mascalzone dai capelli arruffati e sporchi, la barba incolta, i polsi legati dietro la schiena. Lo portò fino al centro della stanza, fermandosi di fronte al re.
“Mio signore,” disse il comandante freddamente. “Dei sei ladri giustiziati per il furto della Spada della Dinastia, questo è il settimo, quello che era riuscito a fuggire. Racconta la storia più fantasiosa riguardo a ciò che è accaduto. Parla!” gli intimò il comandante, scuotendolo.
Il mascalzone guardava nervosamente in ogni direzione, i capelli appiccicati alle guance, lo sguardo incerto. Alla fine disse: “Ci hanno ordinato di rubare la spada!”
I presenti iniziarono a mormorare in modo concitato.
“Eravamo diciannove!” continuò l’uomo. “In dodici dovevano portarla via, nell’oscurità, oltre il ponte sul Canyon, nelle Terre Selvagge. L’hanno nascosta in un carro che hanno scortato attraverso il ponte così che i soldati non potessero avere idea di cosa celasse. Gli altri, noi sette, hanno ricevuto l’ordine di rimanere indietro dopo il furto. Ci hanno detto che saremmo stati imprigionati, come dimostrazione, ma che poi ci avrebbero liberati. Invece i miei amici sono stati tutti giustiziati. Sarebbe successo anche a me se non fossi scappato.”
Il brusio nella sala si fece più agitato.
“E dove stanno portando la spada?” insistette il comandante.
“Non ne ho idea. Da qualche parte nell’Impero.”
“E chi ha ordinato una cosa del genere?”
“Lui!” disse il malvivente, girandosi di scatto e puntando un dito ossuto contro Gareth. “Il nostro re! Ce l’ha ordinato lui!”
Il brusio si tramutò in un vociare concitato, si levarono delle grida, fino a che alla fine un membro del consiglio batté il bastone di ferro diverse volte e gridò di fare silenzio.
Tutti tacquero, anche se a fatica.
Gareth già tremava di paura e di rabbia, si alzò lentamente dal trono e tutti gli occhi si puntarono su di lui.
Un gradino alla volta scese i gradini d’avorio, facendoli risuonare sotto i suoi passi. Il silenzio era così fitto che lo si sarebbe potuto tagliare con un coltello.
Attraversò