Grido d’Onore . Морган Райс

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Grido d’Onore  - Морган Райс L’Anello Dello Stregone

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a sgorgare. Fortunatamente non era una ferita profonda e non gli impedì di continuare a combattere, per cui non smise di lottare.

      Thor si batteva con entrambe le mani ed era circondato da guerrieri di McCloud. Presto i colpi iniziarono a farsi meno pesanti e altri membri della Legione raggiunsero il gruppo. Il frastuono delle armi si fece ancora più sonoro mentre gli uomini di McCloud combattevano contro i ragazzi della Legione. Le spade cozzavano contro gli scudi, le lance colpivano i cavalli, i giavellotti venivano scagliati contro le armature, tutti combattevano in ogni modo possibile. Le grida si levavano da entrambe le parti.

      La Legione era avvantaggiata in quanto era una piccola e agile forza: dieci ragazzi in mezzo a un enorme esercito che si muoveva a rilento. Si era creato una sorta di imbuto e non tutti gli uomini di McCloud riuscivano a passarvi insieme. Thor si ritrovò a combattere con due o tre uomini alla volta, ma non di più. E i suoi fratelli alle sue spalle gli evitavano di essere attaccato da dietro.

      Quando un guerriero colse Thor alla sprovvista e fece roteare la sua mazza chiodata mirando alla sua testa, Krohn ringhiò e saltò. Balzò alto in aria e atterrò dritto sul polso dell’uomo squarciandoglielo. Il sangue si riversò ovunque e il braccio del guerriero fu deviato un attimo prima che la mazza colpisse il cranio di Thor.

      Regnava il caos mentre Thor combatteva, colpiva e parava colpi in ogni direzione, usando ogni briciolo delle sue capacità per difendersi, attaccare, fare attenzione ai suoi compagni e a se stesso. Istintivamente riportò alla mente ciò che aveva imparato durante le infinite giornate di allenamento, l’essere attaccato da ogni lato e in ogni situazione. In qualche modo gli sembrava naturale. Lo avevano ben addestrato e si sentiva capace di gestire la situazione. La paura era sempre lì, ma era in grado di tenerla a bada.

      Mente continuava a combattere, le braccia sempre più pesanti e le spalle stanche, gli risuonarono nelle orecchie le parole di Kolk:

      Il vostro nemico non combatterà mai ai vostri termini. Combatterà secondo i propri. Guerra per voi significa guerra anche per qualcun altro.

      Thor vide che un guerriero basso e tozzo sollevava una catena chiodata con entrambe le mani e la faceva oscillare mirando alla nuca di Reece. Reece non lo vide arrivare e in un attimo sarebbe potuto morire.

      Thor balzò giù da cavallo saltando a mezz’aria e placcando il guerriero un momento prima che lasciasse andare la catena. I due volarono dai cavalli e atterrarono pesantemente a terra sollevando una nuvola di polvere. Thor rotolò, incapace di riprendere fiato, mentre i cavalli gli scalpitavano tutt’attorno. Lottò corpo a corpo a terra con il guerriero e quando questi sollevò i pollici per conficcarglieli negli occhi, udì improvvisamente uno stridio, e vide Estofele lanciarsi in picchiata e artigliare gli occhi del suo avversario prima che questi potesse fargli del male. L’uomo gridò portandosi le mani agli occhi e Thor gli diede una forte gomitata levandoselo violentemente di dosso.

      Senza avere la possibilità di gioire per la sua vittoria, si sentì calciare con violenza all’addome e cadde sulla schiena. Sollevando lo sguardo vide un guerriero che brandiva con entrambe le mani un picco d’armi con l’evidente intenzione di calarlo sul suo petto.

      Thor rotolò e il picco lo sfiorò conficcandosi completamente nel terreno fino all’impugnatura. Si rese conto che l’avrebbe ucciso.

      Krohn si lanciò sull’uomo, balzando in avanti e affondandogli le zanne nel gomito. Il soldato colpì più volte Krohn con un pugno, ma il leopardo non lasciò la presa. Continuò a ringhiare fino a che riuscì a staccare il braccio dell’uomo dal corpo. Il guerriero strillò e cadde a terra.

      Un altro soldato si fece avanti e roteò la spade contro Krohn, ma Thor si spinse in avanti con lo scudo e fermò il colpo. Tutto il suo corpo fu scosso dalla botta, ma Krohn fu salvo. Lì inginocchiato però Thor era un facile bersaglio e un guerriero gli si lanciò contro a cavallo, passandogli sopra e mandandolo a terra a faccia in giù. Thor si sentì come se gli zoccoli del cavallo gli sbriciolassero le ossa.

      Diversi soldati di McCloud saltarono a terra e lo circondarono, stringendosi attorno a lui.

      Thor si rese conto di essere in una brutta posizione. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter tornare in groppa al suo cavallo in quel preciso istante. Mentre giaceva lì a terra, la testa che gli esplodeva dal dolore, con la coda dell’occhio vide i suoi compagni della Legione che combattevano perdendo terreno. Uno dei ragazzi che non conosceva lanciò un grido acuto e Thor vide che aveva una spada conficcata nel petto. Il giovane cadde a terra morto.

      Un altro dei ragazzi che non conosceva corse in suo aiuto uccidendo il suo aggressore con un colpo di lancia, ma nello stesso istante un McCloud lo attaccò alle spalle piantandogli un pugnale nel collo. Il ragazzo gridò e cadde da cavallo, morto anche lui.

      Thor sollevò lo sguardo e vide cinque o sei soldati che gli si appressavano. Uno di loro alzò una spada e la portò in basso verso il suo volto, ma lui riuscì a bloccarla con lo scudo. Il forte clangore metallico gli risuonò nelle orecchie. Un altro sollevò un piede e gli calciò lo scudo via dalle mani.

      Un terzo gli pestò il polso e lo bloccò a terra.

      Un quarto si fece avanti e sollevò una lancia, preparandosi a piantargliela nel petto.

      Thor udì un forte ruggito e Krohn balzò sul soldato, facendolo cadere a terra e bloccandolo al suolo. Ma un altro guerriero si fece avanti con una mazza e colpì Krohn così forte da tramortirlo: con un gemito il leopardo si afflosciò a terra.

      Un altro soldato si portò sopra Thor e levò un tridente. Lo guardò con sguardo torvo: questa volta non c’era nessuno a fermarlo. Si preparò ad abbassarlo sul volto di Thor che, lì a terra bloccato e indifeso non poté fare a meno di pensare che, alla fine, era giunta la sua ora.

      CAPITOLO SETTE

      Gwen era inginocchiata accanto a Godfrey nella piccolo stanza, Illepra al suo fianco, e non ce la faceva più. Erano ore che sentiva i gemiti di suo fratello e guardava il volto di Illepra diventare sempre più cupo. Sembrava certo che Godfrey sarebbe morto. Si sentiva così inutile a starsene seduta lì senza poter fare niente. Aveva bisogno di fare qualcosa. Qualsiasi cosa.

      Non solo era scossa dal senso di colpa e dalla preoccupazione per Godfrey, ma ancor più per Thor. Non riusciva a scacciare dalla mente l’immagine di lui in battaglia, mandato da Gareth in trappola, prossimo alla morte. Sentiva che in qualche modo doveva aiutare anche lui. Stava diventando pazza seduta lì.

      Improvvisamente si alzò in piedi e attraversò di corsa la stanza.

      “Dove stai andando?” le chiese Illepra, la voce roca a forza di cantilenare preghiere.

      Gwen si voltò a guardarla.

      “Torno subito,” disse. “Devo provare a fare una cosa.”

      Aprì la porta e corse fuori, nell’aria del tramonto, e sbatté le palpebre sorpresa da ciò che si trovò di fronte: il cielo era striato di rosso e viola, il secondo sole sembrava una palla verde che scendeva all’orizzonte. Akorth e Fulton, a loro credito, erano ancora lì di guardia. Balzarono in piedi e la guardarono con la preoccupazione stampata sul volto.

      “Sopravviverà?” le chiese Akorth.

      “Non  lo so,” rispose Gwen. “Rimanete qui. State di guardia.”

      “E tu dove vai?” le chiese Fulton.

      Le venne un’idea guardando il cielo rosso sangue e sentì che nell’aria c’era qualcosa di mistico. C’era un uomo che avrebbe potuto aiutarla.

      Argon.

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