Risorta . Морган Райс

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Risorta  - Морган Райс Appunti di un Vampiro

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di questa autrice.

      Questa è un'opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, organizzazioni, luoghi, eventi e fatti sono il frutto dell'immaginazione dell'autrice o sono utilizzati a puro scopo d'intrattenimento. Qualsiasi somiglianza a persone reali, viventi o meno, è frutto di una pura coincidenza.

      “Chi mai ha amato che non amò a prima vista?”

      —William Shakespeare

      INDICE

       CAPITOLO UNO

       CAPITOLO DUE

       CAPITOLO TRE

       CAPITOLO QUATTRO

       CAPITOLO CINQUE

       CAPITOLO SEI

       CAPITOLO SETTE

       CAPITOLO NOVE

       CAPITOLO DIECI

       CAPITOLO UNDICI

       CAPITOLO DODICI

       CAPITOLO TREDICI

       CAPITOLO QUATTORDICI

      CAPITOLO UNO

      Rhinebeck, New York (Valle dell'Hudson)

      Ai giorni nostri

      Caitlin Paine era seduta in soggiorno, esausta; aveva gli occhi gonfi di pianto e lo sguardo fisso verso la finestra, dominata da un tramonto rosso sangue. A malapena prestava ascolto agli agenti di polizia che affollavano l'ambiente. Volgendo lo sguardo intorno, realizzó che la stanza era piena di persone - fin troppe persone.

      Il soggiorno pullulava di agenti di polizia, tutti funzionari locali; qualcuno era seduto, altri stavano in piedi. Molti avevano in mano delle tazze di caffè. Sedevano con lo sguardo triste sui divani e sulle sedie di fronte a lei, rivolgendole infinite domande. Oramai erano lì da ore. Tutti in quella piccola cittadina si conoscevano tra loro e coloro che l'attorniavano erano proprio le persone che aveva imparato a conoscere, che aveva incontrato al supermercato e salutato nei negozi del posto. Caitlin riusciva a malapena a credere che fossero lì. In casa sua. Le sembrava una situazione da incubo.

      Era surreale. Tutto era accaduto così in fretta, la sua vita si era capovolta così facilmente, che riusciva a malapena a elaborarla. Provò ad aggrapparsi a qualcosa di normale, qualcosa che fosse la solita routine, che in genere le dava sollievo ma tutto sembrava irrimediabilmente sfuggito al controllo. La normalità non esisteva più.

      Caitlin sentì una mano stringere la sua con presa rassicurante, si voltò e vide Caleb accanto a lei, il volto pallido e segnato dalla preoccupazione. Sulle sedie imbottite accanto a loro sedevano Sam e Polly, anche loro visibilmente preoccupati. Quel soggiorno era affollato, ben più di quanto Caitlin desiderasse. Voleva semplicemente che tutti sparissero, che tutto tornasse com'era appena il giorno precedente, per il sedicesimo compleanno di Scarlet, quando erano stati tutti seduti intorno alla tavola, a mangiare la torta e a ridere. Voleva provare di nuovo la sensazione che se tutto fosse perfetto al mondo, come se niente non dovesse mai cambiare.

      Caitlin ripensò alla notte precedente, ai suoi pensieri della mezzanotte, al suo desiderare che il suo mondo, la sua vita non fossero semplicemente normali. Ora ne era pentita. Avrebbe dato qualunque cosa pur di tornare di nuovo alla normalità.

      Era stato tutto un vortice di eventi, sin da quando era tornata a casa, dopo il triste incontro con Aiden. Quando Scarlet si era precipitata fuori casa, Caitlin le era corsa dietro, lungo le strade secondarie della cittadina. Caleb si era ripreso subito dal colpo subito e si era unito a lei nell'inseguimento; avevano corso attraverso tutta la loro piccola cittadina, come matti, provando a recuperare la figlia.

      Ma era stato inutile. Presto erano rimasti entrambi a corto di fiato e Scarlet era scomparsa completamente alla loro vista. La ragazza aveva corso ad una velocità impressionante, era saltata ad oltre due metri di altezza con un singolo balzo, senza neanche rallentare. Caleb ne era rimasto stupito, ma Caitlin no: sapeva che cos'era Scarlet. Aveva compreso fin da subito, anche quando si era gettata all'inseguimento, che sarebbe stato uno sforzo futile, che Scarlet poteva correre velocissima e fare balzi ad altezze impensabili, e che, nell'arco di pochi istanti, l'avrebbero completamente persa di vista.

      Così fu. A quel punto erano tornati a casa di corsa, erano saliti in auto ed avevano iniziato a girare per le strade, impegnati in una frenetica ricerca. Ma, anche in quel momento, Caitlin sapeva; anche se Caleb non rispettava i segnali di stop, svoltava bruscamente ad ogni incrocio, non potevano farcela. Non l'avrebbero raggiunta. Scarlet, la madre lo sapeva, era molto lontana oramai.

      Dopo ore, finalmente, Caitlin ne aveva avuto abbastanza ed aveva insistito affinché tornassero a casa e chiamassero la polizia.

      Erano trascorse diverse ore - era quasi mezzanotte - ed erano ancor lì; Scarlet non era tornata e la polizia non era stata in grado di trovarla. Fortunatamente la loro era una piccola città, in cui non accadeva mai nulla di particolare; la polizia aveva inviato immediatamente delle pattuglie a cercare la ragazza e stavano ancora proseguendo la ricerca. Il resto della squadra - tre agenti seduti dall'altra parte della stanza, oltre ai tre intorno a lei — erano rimasti lì ed avevano continuato a farle una domanda dopo l'altra.

      “Caitlin?”

      Caitlin si riscosse. Si voltò e vide il volto dell'agente seduto sul divano di fronte a lei. Ed Hardy. Era un buon uomo, aveva una figlia dell'età di Scarlet e frequentava la stessa classe. Lui la guardò con compassione e preoccupazione. Lei sapeva che l'uomo percepiva il suo dolore in quanto genitore, e che avrebbe fatto del suo meglio.

      “So che è difficile,” lui disse. “Ma abbiamo soltanto poche domande ancora. Abbiamo davvero bisogno di sapere tutto se vogliamo trovare Scarlet.”

      Caitlin annuì in segno di risposta. Provò a mettere a fuoco.

      “Mi dispiace,” lei disse. “Cos'altro ha bisogno di sapere?”

      L'agente Hardy si schiarì la voce, spostando lo sguardo tra Caitlin e Caleb, poi tornò di nuovo a guardarla. Sembrava riluttante a procedere con la domanda successiva.

      “Odio doverglielo chiedere, ma ci sono state delle discussioni tra lei e sua figlia negli ultimi giorni?”

      Caitlin lo guardò, perplessa.

      “Discussioni?”

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